“ChatGPT e Wikipedia sanno molto più di me, ma non saranno mai in grado di educare”, la tecnologia cambia il nostro modo di pensare e di insegnare. INTERVISTA a Simone Digennaro

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Il digitale sta cambiando molti aspetti della nostra vita, ma quanto siamo consapevoli di questi mutamenti e come regolarli? Ne abbiamo parlato con il Professor Simone Digennaro, Presidente dei Corsi di Laurea in Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

Professor Digennaro le tecnologie digitali stanno portando ad un assottigliamento sempre più labile del confine tra vita online e vita reale, tanto da portare il Professor Floridi a coniare il nuovo termine di “vita onlife”. Cosa comporta per i nostri ragazzi questo nuovo modo di crescere?

Diciamo che questa provocazione, questo stimolo di Floridi è veramente affascinante. La sua idea che da un certo punto di vista non esistano più dei confini tra la vita digitale e la vita reale è molto interessante, questo vale soprattutto per le nuove generazioni, per i nativi digitali che sono nati in un mondo reale. Questa assenza di confini fa sì che non ci sia una soluzione di continuità tra quello che avviene nella vita reale e quello che avviene nella vita digitale, tant’è vero che con il nostro gruppo di ricerca abbiamo cominciato ad utilizzare questo termine e ci siamo appropriati anche del termine di iperrealtà. Da un certo punto di vista le nuove generazione vivono una iperrealtà, una realtà che è stata amplificata dalle opportunità che sono state offerte dalla tecnologia e dal mondo digitale. Questo ha determinato dei cambiamenti epocali, soprattutto nel modo in cui facciamo esperienza della nostra vita, in cui siamo educati e possiamo educare.

Lei, con il suo gruppo di ricerca, ha scelto come punto di osservazione il corpo per lo studio dei cambiamenti legati al digitale. Ci spiega le ragioni di questa decisione?

Collegandoci con i ragionamenti che ha fatto Freud, siamo partiti dal presupposto freudiano che il nostro io è un io incarnato, nel senso che noi costruiamo la nostra identità a partire dal corpo, noi siamo il nostro corpo. Tant’è vero che nel momento in cui scopriamo di avere un corpo cerchiamo di modificarlo, di adattarlo, di modellarlo, di farlo più nostro. Cerchiamo di modellare questo corpo in una maniera tale che sia più rappresentativo di noi. Ovviamente il corpo è anche oggetto di influenze che possono arrivare dalla società o da influenze di tipo culturale e quindi c’è questo doppio legame, questa doppia influenza, un’influenza dell’individuo e un’influenza della società.

Sul corpo e attraverso il corpo è scritta, da un certo punto di vista, la storia degli individui e la storia della società. Quindi diventa uno straordinario punto di osservazione, osservare le dinamiche che riguardano il corpo, osservare il modo in cui le persone utilizzano il proprio corpo, lo modificano, lo adattano, osservare anche il modo in cui la società interviene sul corpo. Solo per fare degli esempi, pensiamo al tema legato alla questione del genere, oppure al tema legato all’eutanasia, queste sono tutte questioni che riguardano il corpo e che ovviamente ci informano del legame e del rapporto che una società ha con il corpo. Ovviamente questo diventa uno straordinario punto di osservazione per capire in che modo la società influenza il corpo e quali cambiamenti si stanno determinando. Da un certo punto di vista capire come il digitale ed il mondo virtuale stanno influenzando il corpo degli individui ci permette di scendere in profondità su questi cambiamenti epocali che stanno avvenendo.

Quali sono i principali cambiamenti legati ad uno stile di vita onlife?

Sono cambiate tante cose, non lo dico io ma ne facciamo esperienza tutti i giorni e soprattutto ce l’ha raccontato la scienza. È cambiato il modo di comunicare, il modo di relazionarci, ma soprattutto è cambiato il modo di vivere e costruire la nostra identità. Un errore che spesso viene fatto, soprattutto da noi delle vecchie generazioni, è quello di creare una dicotomia tra il modo in cui facciamo esperienza della nostra quotidianità, della nostra esistenza e il modo in cui le nuove generazioni fanno le loro esperienze.

Spesso sento dire che i giovani non sanno più comunicare, non sanno più relazionarsi, non sanno più emozionarsi e probabilmente qui sta l’errore, perché è cambiato il modo in cui loro lo fanno, è cambiato il modo in cui comunicano, in cui entrano in relazione con l’altro, è cambiato il modo in cui si emozionano e quindi c’è una nuova socialità, una socialità che abbiamo detto essere una socialità onlife, in cui digitale e virtuale sono tra di loro fuse.

Dobbiamo accettare questo stato di fatto e ovviamente gli adulti di riferimento, insegnanti, educatori e via dicendo, devono fare i conti con questa novità senza porsi in contrapposizione, devono cercare di capire quali sono le nuove esigenze dal punto di vista educativo di queste nuove generazioni che hanno uno stile di vita completamente diverso, o in parte diverso, rispetto a quello che avevamo noi in passato.

Un’ultima domanda. Con l’approccio onlife come può cambiare il modello educativo e di conseguenza la nostra scuola?

Questo è un tema davvero interessante su cui noi, come gruppo di ricerca, stiamo cercando di approfondire e comprendere meglio quali siano gli esiti di questi profondi cambiamenti che stanno avvenendo. La scuola, ci ammonisce Howard Gardner, è un’istituzione che probabilmente, insieme alla chiesa, tende a cambiare meno, si rinnova con maggiore lentezza e difficoltà, ha una difficoltà maggiore a seguire quelle complesse dinamiche sociali che riguardano i cambiamenti della società e che quindi hanno difficoltà a poter essere seguiti da un contesto sociale, da un’istituzione così complessa e così lenta al cambiamento.

Oggi noi abbiamo dei ragazzi che vivono nell’iperreale, come abbiamo detto in precedenza, in questa vita onlife, fatta di integrazione tra digitale e reale, che sta cambiando il modo in cui socializzano, si relazionano, comunicano e apprendono, quindi devono essere educati diversamente. Quando varcano la soglia della scuola è come se entrassero all’interno di un salto temporale e vengono ricacciati indietro nel tempo, perché appunto questa istituzione fa fatica ad allinearsi ai cambiamenti che stanno avvenendo.

C’è stato uno sforzo di adeguamento degli strumenti e dei dispositivi, tanta tecnologia è entrata all’interno della scuola, anche gli insegnanti, da parte loro, hanno cercato di innovare, modificare e sviluppare le loro competenze, ma possiamo dire che da un certo punto di vista è stato uno sviluppo parziale, uno sviluppo solo tecnico. Spesso in classe è entrata la lavagna digitale ma si è fatto semplicemente la stessa cosa che si faceva in precedenza con la lavagna tradizionale, è cambiato lo strumento ma i contenuti, il modo in cui venivano presentati, gli esiti di questi contenuti non sono cambiati. Capiamo bene che c’è una contraddizione di termini, perché se oggi la vita che viviamo è una vita onlife, evidentemente abbiamo bisogno di un’educazione onlife.

È giusto insegnare ai ragazzi a navigare la rete, ma non va fatto in termini tecnici, non bisogna insegnare loro come si accede su internet o quali strumenti possono essere utilizzati per navigare, bisogna, invece, che vengano educati a questo nuovo tipo di vita, non solo dal punto di vista dei pericoli che possono incontrare, un aspetto fondamentale, ma soprattutto guidarli in questo novo processo di costruzione del sé, in questo nuovo modo di apprendere. Da un certo punto di vista c’è la necessità di rinnovare il modo in cui si fa scuola.

Una battuta finale vorrei la dedicasse a cosa si può fare per aiutare i docenti a trovare queste nuove metodologie e tecniche di insegnamento.

Intanto credo che dobbiamo uscire da questa dicotomia, anche da punto di vista educativo, di reale e digitale. Quindi, come dicevo prima, dobbiamo scendere in questo nuovo paradigma, in questo nuovo modello in cui viviamo questa iperrealtà e comprendere, ovviamente, che le opportunità che possono arrivare dalla tecnologia e dal mondo digitale debbano essere tradotte in opportunità di tipo didattico-educativo.

Faccio un esempio per capire in che modo può cambiare la prospettiva, poco prima dell’estate siamo stati travolti dalla novità dell’intelligenza artificiale che ci permette di sviluppare dei contenuti complessi in maniera semplice dando solo degli input, la più famosa è Chat GPT. Ad un certo punto c’è stato un dibattito dal quale è emerso che molti insegnanti erano preoccupati che, attraverso questi strumenti, si potesse perdere il ruolo dell’insegnante, perché ovviamente sono degli strumenti talmente complessi, talmente sofisticati che hanno una capacità di elaborazione, quindi di restituire una serie di informazioni, che nessun essere umano potrebbe mai raggiungere.

Ma qui è stato l’errore, perché nel momento in cui siamo preoccupati che questi strumenti possano mettere in crisi il ruolo di insegnanti, evidentemente non stiamo interpretando bene il nostro ruolo e non stiamo neanche interpretando bene, nella giusta maniera, il rapporto e le opportunità che possiamo avere attraverso questa tecnologia. È chiaro che Wikipedia ne sa molto più di me, ma Wikipedia non sarà mai in grado di educare. È uno straordinario strumento attraverso il quale mi posso informare, ma l’approccio educativo richiede tutt’altro, a proposito di quello che dicevamo prima di corpo, richiede relazione, presenza, emozione, richiede la capacità di saper creare un’esperienza. Quindi l’insegante probabilmente oggi deve fare questo passo in avanti, sposare le opportunità che vengono offerte dalle nuove tecnologie e dal mondo digitale e ricostruire, se vogliamo, un nuovo modo di insegnare, che è arricchito rispetto a quello del passato e non sostituito.

 

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