Caro Baricco, la scuola è l’ultimo presidio (concreto) dell’inclusione. Lettera

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Inviato da Pasquale Giannino – Il suo intervento sulla scuola ha scatenato in rete l’indignazione della categoria a cui appartengo: gli insegnanti, e dalla quale io “mi dissocio”.

È il tormentone in voga fra i ragazzi, e io lo uso per dirle subito qual è il punto debole della sua invettiva: lei parla di una realtà molto complessa, mostrando di conoscerla in modo piuttosto superficiale.

Parla della scuola come se fosse una fabbrica di talenti. Ma è proprio questo suo abbaglio che, seppure inconsapevolmente, suggerisce una riflessione sulla sfida più ardua che la scuola oggi deve affrontare: conciliare lo sviluppo delle famose competenze – quelle che dovrebbero aiutare i ragazzi a realizzarsi nel mondo del lavoro – con il carattere sociale e inclusivo della propria missione. In un mondo sempre più competitivo, la scuola è forse l’ultimo presidio dell’inclusione. Un presidio concreto, non retorico.

Un’istituzione che difende e tutela gli alunni socialmente più deboli, garantendo loro il diritto allo studio sancito dalla Costituzione. Il problema è semmai quello dei mezzi e delle risorse, che non sempre sono adeguati. Lei punta il dito contro la DAD. Lo fa con un risentimento da genitore, che è umanamente comprensibile. Dal punto di vista intellettuale lo è un po’ meno. Lei parla della DAD come se fosse il male assoluto. Ma trascura i rapporti di causa ed effetto.

Trascura il contesto che ha reso necessaria la didattica a distanza: quello di una gravissima crisi sanitaria mondiale. Una crisi in cui la scuola ha dovuto affrontare una sfida ancora più ardua: conciliare il diritto allo studio con un altro diritto fondamentale: quello alla salute. La didattica a distanza ha consentito alla scuola di rimanere aperta, nonostante la “guerra” in corso.

Molti insegnanti si sono prodigati nel realizzare una didattica innovativa, di cui nessuno di loro aveva mai avuto esperienza. Hanno approntato dispense e altri materiali, test online per le valutazioni. Hanno combinato metodi di scuola attiva con l’utilizzo delle aule virtuali. Molti genitori li hanno ringraziati. Da un punto di vista didattico, in un tale difficile frangente, la DAD era il meglio che la scuola potesse offrire. Non solo. Ha indotto molti insegnanti a mettere in discussione le proprie metodologie didattiche. Ha suggerito il ricorso a quei metodi di scuola attiva che in ambito anglosassone sono da tempo conosciuti e praticati e verso i quali, nel nostro paese, una certa cultura di stampo gentiliano è da sempre ostile.

Il mio auspicio è che si possa superare presto l’emergenza sanitaria, e ritornare in aula arricchiti da tale esperienza. Introdurre i metodi di scuola attiva utilizzati durante la DAD potrebbe essere un modo efficace per superare i confini rigidi di quella classe che lei vorrebbe disintegrare. Le dico la verità, vedere trenta ragazzi incastrati fra i banchi per delle ore non piace neanche a me.

D’altra parte, non sarebbe il massimo neanche vederli sciamare da un’aula all’altra a ogni cambio di materia, e ricombinarsi con ragazzi di altre classi per seguire le lezioni come lei propone.

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