Cari ragazzi, oggi vi racconto una storia. Lettera

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Inviata da Antonella Mongiardo – E se, per una volta, il messaggio che carichiamo sul registro elettronico non
fosse “studiare da pag. 20 a pag. 40”, ma “cari ragazzi, oggi vi racconto una storia”?

Nel giorno del p-day, festa internazionale della matematica, vorrei rivolgere (da operatrice della scuola), un augurio a tutta la comunità educante di ritornare, al più presto, a vivere la vita di sempre.

Si dice che le cose normali della vita quotidiana, che diamo per scontate, le
apprezziamo davvero e ne comprendiamo il valore proprio quando ci
vengono tolte.

E’ così. E mi riferisco, in particolare, al rapporto con gli studenti, allo stare in classe con loro, all’appello, alla spiegazione, ai lavori di gruppo, agli
esperimenti, ai voti, ai commenti, agli scontri, alla ricreazione, alle visite
frequenti al distributore del caffè. A tutto ciò che è la mattinata di un
insegnante.

Quegli aspetti della routine quotidiana che, per un docente, significano di
solito lavoro, dovere, obbligo di servizio, fonte, spesso, di stress e di tensioni.

Eppure, queste piccole cose, oggi, ci sembrano un miraggio. La sospensione
forzata delle lezioni, dettata da un’emergenza sanitaria che ha fatto diventare surreale la vita del nostro paese, ci fa capire come il rapporto ravvicinato con gli studenti sia per noi la vita vera. Ripensiamo ai loro sorrisi, alle loro voci, persino alle loro monellerie come ad un bene prezioso, un privilegio che, purtroppo ci è stato tolto, ma che ora, più che mai, vorremmo riavere. Perché è sinonimo di normalità e di vita. Vita reale.

Vorrei ringraziare tutti coloro che, in queste difficili ore, si stanno impegnando al massimo per organizzare e far funzionare la scuola a distanza, supportando chi si trova in difficoltà, alle prese con tecnologie sconosciute e bombardato da una molteplicità di proposte metodologiche e strumentali.

Grazie agli amici, ai colleghi, ai tecnici informatici, gli animatori digitali, ai
dirigenti sensibili e alle famiglie che collaborano seguendo da vicino i propri
figli. Una straordinaria rete di mutuo soccorso, che lavora nell’ombra e in
modo silenzioso, a riprova di quanto sia importante stare uniti, anche se
distanti, in questo difficile momento della nostra storia.

Ai colleghi vorrei rivolgere anche un invito, che può sembrare una piccola
provocazione. E, in un certo senso, lo è. Perché, per una volta, anziché
caricare compiti ed esercizi nelle nostre piattaforme, non inseriamo un piccolo dono per i nostri ragazzi, qualcosa di virtuale e reale nello stesso tempo.

Un messaggio, una lettera, una storia, un segnale della nostra umanità e
della nostra vicinanza a loro, al loro apprendimento, alla loro crescita
culturale e umana. Qualcosa che faccia loro comprendere che per noi sono
importanti. E che ci mancano, con le loro domande, i loro dubbi, le loro proteste, le loro monellerie, le soddisfazioni piccole e grandi che sanno
regalarci.

Io, personalmente, oggi festeggerò così il p-day. Raccontando una bella
storia, una storia matematica, un esempio di umiltà e di amicizia, sperando
che i ragazzi possano conservarla sempre nella scatola dei ricordi della loro
scuola.

“Cari ragazzi, vi racconto la storia di un giovane semplice e povero, ma con
un grande talento matematico. Nell’India di inizio ‘900, negli ambienti della Capitaneria di porto di Madras emerse uno dei più brillanti talenti matematici di tutti i tempi: Srinivasa Ramanujan.

Nato in un piccolo villaggio indiano da una famiglia poverissima, Ramanujan non ebbe mai la possibilità di seguire un regolare corso di studi. Tuttavia, già da piccolo rivelò uno straordinario intuito. All’età di quindici anni, ricevette in regalo un libro contenente un elenco di oltre 4000 teoremi matematici, senza dimostrazioni. Il giovane Ramanujan si appassionò talmente alla lettura di questo testo che passò gli anni seguenti a spiegare tutte le formule contenute in esso.

Scrive Du Sautoy: “Avendo ben poca familiarità con lo stile occidentale di
dimostrazione, Ramanujan fu costretto a creare una propria matematica. Il
fatto di non essere ingabbiato nella camicia di forza dei modi di pensiero
convenzionali gli dava la libertà di muoversi a proprio piacimento…Possedeva una capacità fantastica di intuire come girare e
rigirare le formule finché non emergevano nuove prospettive”.

La creatività che albergava in questo giovane, privo di un’istruzione formale
ma che riusciva a inventare le formule dal nulla, ebbe sempre qualcosa di
misterioso. Ramanujan sosteneva che le idee gli venivano portate in sogno
dalla dea Namagiri, protettrice della sua famiglia. Negli uffici della capitaneria di porto di Madras, Ramanujan si interessò alla ricerca di una formula che potesse generare i numeri primi. Problema quest’ultimo a cui si erano interessati e si stavano ancora interessando i più grandi matematici
dell’epoca, da Gauss a Hardy, nel tentativo di ricostruire la formula scoperta
da Riemann cinquant’anni prima e andata persa dopo la sua morte. Così,
invece di impegnarsi nell’occupazione tediosa di tenere i registri contabili, egli passava le ore a riempire taccuini di calcoli e osservazioni. Quando nel 1913 Ramanujan inviò la sua formula dei numeri primi al grande matematico inglese G. H. Hardy, quest’ultimo capì che si trattava dell’opera di un genio.

Bertrand Russel scrisse di aver trovato Hardy “in uno stato di grande
eccitazione perché riteneva di aver scoperto un novello Newton, un impiegato indù con uno stipendio di 20 sterline all’anno”. Tra Hardy e Ramanujan nacque una profonda stima reciproca. Hardy cercò di aiutare
economicamente l’amico in tutti i modi, trovandogli finanche una sistemazione presso l’università di Cambridge. Gli anni trascorsi a Cambridge videro una collaborazione appassionante tra Hardy e Ramanujan, che traevano piacere l’uno dalle idee dell’altro. Hardy ricorda il periodo trascorso con Ramanujan come uno dei più felici della sua vita. Tuttavia, il clima freddo di Cambridge non giovò alla salute di Ramanujan, che si ammalò.

Si racconta che Hardy fosse andato a trovare Ramanujan a Putney, mentre
era malato, e che gli avesse detto:“Il numero del mio taxi è il 1729, mi sembr a un numero alquanto stupido”.

Al che Ramanujan rispose: “No Hardy! No! E’ un numero molto interessante.
Il più piccolo esprimibile come somma di due cubi in due modi diversi: 1729 =10^3 + 9^3 = 12^3 + 1^3”. Hardy, per ricordare il genio di Ramanujan scriverà: “Quando sono depresso e costretto ad ascoltare gente pomposa e noiosa, mi dico: Beh!, io ho fatto una cosa che voi non avreste mai potuto fare e cioè aver collaborato con Ramanujan pressappoco alla pari”.

Se avrete voglia di approfondire l’argomento, vi invito a leggere “L’enigma dei numeri primi” di Marcus De Sautoy. Un libro molto bello, che vi terrà
compagnia.

Vi abbraccio forte. La vostra prof.

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