Cambio di terminologia: dall’integrazione all’inclusione
di Gianfranco Palmariggi – La parola inclusione è entrata da poco nel nostro sistema educativo e questo è avvenuto, principalmente, per adeguarsi alla terminologia internazionale.
di Gianfranco Palmariggi – La parola inclusione è entrata da poco nel nostro sistema educativo e questo è avvenuto, principalmente, per adeguarsi alla terminologia internazionale.
In molti paesi europei, infatti, si usa il termine inclusion per indicare, in generale, un processo che porta all’istruzione degli alunni con disabilità nelle classi comuni, quindi sostanzialmente simile alla nostra integrazione (da osservare, d’altro lato, che integration è una parola collegata praticamente ovunque all’immigrazione).
Sarebbe riduttivo, e probabilmente inutile, usare inclusione come sinonimo di integrazione, o di integrazione di qualità, anche se certamente tra i due termini non c’è la frattura logica e culturale che ha segnato il passaggio da inserimento a integrazione.
L’inclusione deve essere intesa come un’estensione del concetto di integrazione che coinvolge non solo gli alunni con disabilità, formalmente certificati, ma tutti i compagni, con le loro difficoltà e diversità. Oggi, nella scuola italiana, si presta particolare attenzione agli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ossia in generale a coloro che per vari motivi, anche temporanei, non rispondono in maniera attesa alla programmazione della classe e richiedono, quindi, una forma di aiuto aggiuntivo.