Calo iscritti all’Università. I giovani preferiscono il “guadagno facile”

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red – Ha fatto clamore la notizia del calo degli iscritti all’Università, infatti dal 2003-2004 al 2011-2012 gli iscritti sono passati da 338.482 a 280.144. Il pensiero di molti commentatori è andavo alla crisi e alle difficoltà economiche delle famiglie. Ma non tutti la pensano così. Per Michele Lenocci,  preside della facoltà di Scienze della Formazione all’università Cattolica di Milano, c’è una confluenza di tre fattori.

red – Ha fatto clamore la notizia del calo degli iscritti all’Università, infatti dal 2003-2004 al 2011-2012 gli iscritti sono passati da 338.482 a 280.144. Il pensiero di molti commentatori è andavo alla crisi e alle difficoltà economiche delle famiglie. Ma non tutti la pensano così. Per Michele Lenocci,  preside della facoltà di Scienze della Formazione all’università Cattolica di Milano, c’è una confluenza di tre fattori.

Le affermazioni che riportiamo sono tratte da quest’articolo di tempi.it

Secondo il Preside, le difficoltà economiche delle famiglie hanno inciso, ma la crisi non è che uno dei fattori che ha determinato il calo di iscritti. Ad influenzare le scelte c’è anche la mentalità del guadagnare "molto e in fretta", del guadagno "facile e senza fatica". "La laurea spesso – afferma Lenocci – non garantisce nell’immediato un lavoro e, se lo garantisce, non subito ben remunerato. Per questo, pensano in tanti, è meglio restare a casa, trovarsi un lavoretto e comprarsi la macchina".

Altro motivo è legato alle scelte lavorative tipiche dell’Italia, dedicandosi al mondo artigianale e creativo "allora non sarebbe un male, perché – afferma Lenocci – vorrebbe dire che finalmente siamo riusciti a valorizzare l’istruzione professionale". E per questo tipo di lavori non è necessaria la laurea.

Il terzo motivo è legato alle scelte territoriali di alcune aree italiane. Ad esempio nel nord-est "c’è un disamore per lo studio e la laurea perché i figli e i ragazzi vengono messi in fabbrica subito, dove lavorano moltissimo e anche bene".

In queste aree del paese, dice Lenocci, "la cultura è ritenuta un lusso non necessario. Il rischio, secondo gli industriali, è che il know-how su cui lavorano i giovani, che è quello dei vecchi, non si rinnovi. I giovani lavoratori senza capacità tecniche e culturali rischiano di perdere genialità e quindi capacità di innovare."

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