Calcolo contributivo pensione, come funziona?
Il calcolo della pensione nel sistema contributivo, la guida a massimali, montante contributivo, coefficienti e aliquote.
Capire quanto si prenderà di pensione una volta usciti dal lavoro è senza dubbio una domanda a cui molti lavoratori cercano risposta. Ma non è una domanda semplice da rispondere, perché sulle pensioni incidono il numero di anni di contributi versati, che genere di contributi sono stati accreditati, l’età di uscita e il periodo in cui sono stati effettuati i versamenti dei contributi, se nel sistema contributivo o retributivo.
In aiuto dei contribuenti l’Inps ha predisposto sul suo portale un simulatore on line che permette grosso modo di calcolare la propria pensione futura. Proprio il sistema di calcolo è la parte più difficoltosa del calcolo, perché ci sono periodi di lavoro che finiscono nel sistema contributivo e periodi di lavoro che finiscono nel retributivo. Oggi affrontiamo il nodo del sistema contributivo, cioè le regole di calcolo della pensione nel sistema introdotto dalla riforma delle pensioni del governo presieduto da Lanfranco Dini.
La guida al calcolo contributivo della pensione
Il calcolo contributivo della pensione, come si evince chiaramente anche dal nome stesso di questo sistema, si basa sull’ammontare dei contributi versati dal lavoratore. Aliquote contributive, coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione e massimali, sono tutti fattori utili a capire come funziona questo particolare metodo di calcolo delle pensioni.
In questo regime di calcolo degli assegni è quindi collegato alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il sistema contributivo di calcolo della pensione è stato introdotto dalla riforma delle pensioni del 1995 ed è una autentica rivoluzione rispetto al metodo di calcolo precedente basato esclusivamente sulle retribuzioni del lavoratore durante gli ultimi anni di carriera.
Il sistema contributivo fu introdotto nel momento in cui si è iniziato a capire che il calcolo retributivo era pesantemente iniquo e troppo oneroso per le casse dello stato. Per esempio, è al sistema retributivo che molti danno la colpa per i conti in rosso dell’Inps.
L’introduzione del metodo contributivo infatti nasce proprio per dare riequilibrio alla spesa previdenziale, arrivata a livelli insostenibili nel periodo antecedente la riforma. Naturalmente un riequilibrio da raggiungere una volta andato a pieno regime questo sistema, dal momento che ancora oggi il sistema contributivo convive con il retributivo. Una volta spariti i lavoratori retributivi, perché andati in pensione tutti, ed una volta rimasti i cosiddetti contributivi puri (lavoratori con carriera iniziata dopo il 1995), il sistema previdenziale italiano sarà tutto contributivo.
Il doppio sistema di calcolo delle pensioni
A seguito della riforma Dini, il sistema di calcolo della pensione si differenzia in base all’anzianità maturata al 31 dicembre 1995. Pertanto, per chi poteva contare su almeno 18 anni di contribuzione a quella data, si continuava ad applicare il metodo retributivo, mentre per chi aveva meno di 18 anni di contributi, il criterio utilizzato è il misto, cioè retributivo per l’anzianità maturata sino al 1995 e contributivo per i periodi di attività successivi.
Con l’avvento della famosa riforma Fornero, dal primo gennaio 2012 il sistema contributivo è stato poi esteso a tutti i lavoratori. Resta la differenza relativa al numero dei contributi antecedenti il 1995, che se restano più di 18, consentono di sfruttare il calcolo retributivo fino al 31 dicembre 2011, mentre se sono di meno permettono il calcolo retributivo fino al 31 dicembre 1995.
Come funziona il metodo di calcolo contributivo della pensione
Il sistema contributivo altro non è che una specie di salvadanaio o libretto di risparmio, dove confluiscono soldi ogni mese sotto forma di versamento di contributi.
Si accantonano, quindi, mese per mese delle somme che sono nello specifico pari al 33% del proprio stipendio per i lavoratori dipendenti (23,81% è a carico dell’azienda e 9,19% a carico del lavoratore). Solo pere i lavoratori con stipendi annuali medio alti, cioè superiori a 47.380 euro, la quota a carico del dipendente sale al 10,19%.
Parliamo naturalmente di aliquote 2020, perché i versamenti sono sempre rivalutati anno per anno, così come le soglie. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, l’aliquota 2020 è stabilita in misura pari al 24% e al 24,09% per i commercianti.
Se il lavoratore è invece un coadiuvante di età inferiore ai 21 anni le aliquote sono pari al 21,90% per gli artigiani e 21,99% per i commercianti. La somma di tutti questi versamenti da il cosiddetto montante contributivo, che poi viene rivalutato e maggiorato di una specie di interesse. Il tasso di interesse utilizzato è legato alla dinamica di PIL e inflazione e calcolato ogni lustro. Alla data del pensionamento il montante contributivo, viene trasformato in pensione tramite dei coefficienti. SI tratta dei coefficienti di trasformazione o di conversione come li chiamano molti. Più giovani si lascia il lavoro, meno favorevole è questo coefficiente, perché teoricamente un lavoratore che centra la pensione in età meno avanzata, gode della pensione per un periodo più lungo e l’Inps eroga assegno più basso.
Il sistema contributivo presenta pure una soglia massima di contributi pensionabili. Una specie di salvaguardia per le casse statali. Il cosiddetto tetto contributivo-pensionabile o massimale, altro non è che il limite oltre il quale non sono dovuti i contributi. Anche il tetto contributivo-pensionabile viene rivalutato ogni anno sulla base dell’indice Istat dei prezzi al consumo, cioè sul tasso di inflazione. Tanto per fare un esempio, il tetto 2020 è pari a 103.055 euro e pertanto, più di 33.974 euro non si può accantonare per i lavoratori dipendenti (il 33% di 103.055).