Burnout, “insegnare logora, schiacciati da stereotipi (‘lavorano mezza giornata e fanno 3 mesi di vacanza’)”. INTERVISTA al dottor Vittorio Lodolo D’Oria
“Insegnare logora”, fenomeno spesso ignorato per via degli stereotipi “lavorano mezza giornata e fanno tre mesi di vacanza all’anno”. A Orizzonte Scuola Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista che da 33 anni si occupa di malattie professionali degli insegnanti, descrive i sintomi del burnout e propone degli interventi.
È stato pubblicato in Gazzetta ufficiale l’elenco aggiornato delle malattie professionali. Nessun riferimento al burnout per i docenti, conferma?
Occorre fare due precisazioni prima di rispondere al quesito: 1) l’elenco delle Malattie professionali viene aggiornato in base a nuovi dati disponibili o a evidenze emerse di recente; 2) il burnout e lo stress-lavoro- correlato non sono patologie/diagnosi mediche né, tantomeno, sindromi. Al più sono considerate delle “condizioni” o “pre-condizioni” che non danno diritto ad alcun intervento, ristoro o indennizzo del lavoratore. Adesso risulta chiaro il motivo per cui il nuovo elenco non contempla minimamente gli insegnanti e le loro Malattie professionali: nessun dato è stato prodotto e la materia di cui si parla non possiede alcun riconoscimento scientifico ufficiale di patologia. Limitarsi semplicemente ad affermare che gli insegnanti sono più esposti al burnout – come si fa oggi – equivale a ignorare una situazione divenuta esplosiva e dare un contentino, a un milione di lavoratori (84% donne) a costo zero.
Come si presenta il burnout? Come si può prevenire e come uscirne?
Insegnare logora – è un dato di fatto – ma gli stessi docenti ignorano le profonde ragioni di questo fenomeno, restando schiacciati dagli stereotipi dell’opinione pubblica (“lavorano mezza giornata e fanno tre mesi di vacanza all’anno”) che tutt’oggi vigono producendo un nefasto effetto. Il primo
passo, dunque, consiste nell’informare gli stessi docenti che, a dispetto degli stereotipi correnti, la loro professione è psicofisicamente usurante per sue precise specificità. In seconda battuta occorre avvertirli che le conseguenze sono di natura psichica (ansia e depressione reattiva più frequentemente) perché originate da usura relazionale. Quindi occorre spiegare loro le manifestazioni cliniche e i sintomi sin dal loro esordio (affaticabilità, ansia, anedonia, irritabilità, insonnia, agitazione, affanno, amnesie, ritiro sociale, frustrazione, conflittualità, disappetenza, evitamento, cinismo, somatizzazioni, fuga, dissimulazione etc). Da ultimo resta da illustrare come sviluppare le strategie di adattamento allo stress (coping strategies) e comunicare gli strumenti (accertamento sanitario in Collegio Medico di Verifica) forniti dal legislatore ma spesso inutilizzati. Insomma si deve agire e intervenire sulla categoria, così come sul singolo docente.
Perché la categoria docenti ne è particolarmente colpita? In un suo recente articolo ha dichiarato che l’usura psicofisica dipende principalmente dalla professione. Ci spiega meglio?
L’usura psicofisica, contrariamente a quello che si può pensare, dipende principalmente dalla professione svolta e non dalle singole variabili esterne quali il sistema scolastico adottato, l’ordine di studi in cui si insegna, il genere del docente. La professione dell’insegnante ha una peculiarità unica rispetto a tutte le altre: la tipologia del rapporto con l’utenza. Non esiste infatti altra professione in cui il rapporto con l’utenza – e per giunta la medesima utenza – avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 9 mesi all’anno, per cicli di 3/5 anni. In questa particolarissima e unica tipologia di rapporto con l’utenza, per di più, l’insegnante invecchia, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) ringiovanisce: una sorta di “effetto Dorian Gray capovolto”. Si consideri poi la permanente asimmetria del rapporto medesimo che condizionerà l’insegnante, rendendolo poco propenso a sviluppare una relazione tra pari (soprattutto coi colleghi), per condividere e contrastare efficacemente il disagio mentale.
Dal suo ultimo studio è emerso un dato allarmante: 100 docenti morti suicidi negli ultimi dieci anni. È stata accertata l’esistenza di un nesso di causalità tra il gesto estremo e la professione di insegnante?
Lo studio non ha potuto accertare il nesso di causalità perché la fonte dell’informazione era pubblica (quotidiani nazionali e locali sul web) e quindi volta a tutelare i dati sensibili e la privacy dei docenti scomparsi. Il dato finale è certamente sottostimato: in famiglia si tende a nascondere un suicidio
piuttosto che a pubblicizzarlo di fronte ad amici e conoscenti. Circa il nesso di causalità, seppure manchino indicatori diretti, vi sono un discreto numero di indicatori indiretti che suggeriscono di prendere sul serio i dati autolesivi italiani. L’alta usura psicofisica della professione docente è infatti documentata da sei macro-indicatori:
1) è presente in tutti i Paesi a prescindere dal diverso sistema scolastico adottato;
2) colpisce tutti i quattro ordini d’insegnamento in ugual misura (Infanzia, Primaria, Secondaria I e II grado);
3) annulla le pur cospicue differenze tra i generi (2,5 F :1 M) nella predisposizione/suscettibilità alla patologia ansiosa/depressiva;
4) dal 1992 al 2023 è in netta progressione l’incidenza delle diagnosi psichiatriche nelle inidoneità all’insegnamento (da 31% a 80%) a causa delle riforme previdenziali fatte “al buio”, cioè senza valutare la salute professionale della categoria prima di passare da un estremo all’altro in 20 anni
(abolizione baby-pensioni a riforma Monti-Fornero);
5) secondo dati francesi e inglesi, comporta un rischio suicidario superiore alle altre categorie professionali nonostante il corpo docente sia quasi totalmente composto da donne (83%). Il dato è oltremodo allarmante e significativo poiché le statistiche sull’intera popolazione rivelano che il
rapporto dei suicidi è di 4:1 a sfavore degli uomini. In Italia si registrano 10-12 suicidi di insegnanti all’anno. Infine la Germania ha rilevato nel 2015 che le diagnosi alla base dei prepensionamenti a causa di salute erano in larga maggioranza psichiatriche;
6) il rapporto tra patologie psichiatriche e disfonie nel determinare le inidoneità all’insegnamento è di 6:1.
Cosa si può fare per cambiare questa situazione?
Dopo 33 anni che studio il fenomeno, ho le idee abbastanza chiare e mi sono sentito di suggerire pochi giorni fa, al ministro in carica, i seguenti interventi immediati:
• Riconoscere le reali malattie professionali degli insegnanti attraverso uno studio epidemiologico retrospettivo (ventennale) sulla base dei dati delle visite di inidoneità/inabilità nei Collegi Medici di Verifica (CMV). I suddetti dati sono in possesso dell’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze (MEF) cui andranno richiesti. Dopo 20 anni la gestione delle CMV è passata all’INPS dal 1° giugno e sarebbe opportuno elaborare i dati.
• Formazione docenti e DS, sui rischi professionali per la salute, sulla prevenzione (in modo da favorire anche l’uniformità dei Documenti Valutazione Rischio tra le scuole), sugli strumenti a tutela dei docenti (es. ricorso all’accertamento medico in CMV-INPS).
• Formazione dirigenti scolastici: sulle incombenze medico-legali con particolare riguardo all’accertamento medico d’ufficio, la stesura della relazione ex art.15 DPR 461/01 e il ricorso alla sospensione cautelare ex art.6 DPR 171/11.
• Creazione di uno “Sportello medico-legale” di supporto (USR o MIM) ai DS per affrontare le tante incombenze medico-legali.
• Restituire ai DS la piena responsabilità nella tutela dell’utenza evitando il problematico ingresso/interferenza della Autorità Giudiziaria nella scuola (nido, infanzia, primaria) nei casi di Presunti Maltrattamenti a Scuola;
• Politiche previdenziali operate in base a condizione di salute professionale docenti.
Troveranno ascolto queste istanze? Gli ultimi 10 ministri le hanno snobbate. Sarebbe ora di invertire la rotta, tanto più che il 13 gennaio 2011 Valditara presentò al Senato un’interrogazione parlamentare – sempre da me suggerita – in questo senso.