Bravo insegnante fa miracoli anche in scuola disastrata, pessimo neppure in scuola perfetta. [INTERVISTA]

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“Un bravo insegnante fa miracoli anche in una scuola disastrata. Un cattivo insegnante non ottiene buoni risultati nemmeno in una scuola organizzata perfettamente e riccamente dotata”.

E ancora: “In questo momento, solo dei santi missionari per i quali l’insegnamento sia una passione assoluta possono assoggettarsi ad accettare l’umiliante trafila burocratica per entrare nel mondo della scuola e i corrispondenti stipendi da fame. Oppure, solo chi davvero non ha alternative migliori può adattarsi oggi a diventare insegnante”.

Il professor Andrea Ichino, docente di Economia politica all’Università di Bologna e profondo conoscitore del mondo della scuola, è molto severo in merito alla condizione attuale del sistema scolastico italiano e ancor di più verso il sistema di assunzione degli insegnanti. Vorrebbe che il reclutamento fosse completamente liberalizzato per consentire ai dirigenti, una volta dotati di una vera autonomia e sottoposti alle conseguenze prodotte da scelte sbagliate, di scegliersi i docenti migliori e anche di pagarli bene. Poiché solo pagando bene i docenti la scuola riuscirebbe finalmente ad attirare i migliori, i quali, specie nelle materie scientifiche, preferiscono invece lavorare altrove. Il problema è di una estrema attualità, dopo che la Ue proprio nei giorni scorsi ha stigmatizzato l’Italia per gli stipendi bassi dei propri insegnanti che per la loro esiguità non sono capaci di attrarre nella scuola pubblica i docenti più dotati.

“Bassi – precisa la Ue – rispetto agli standard internazionali e rispetto ai lavoratori con un titolo di istruzione terziaria. Le retribuzioni crescono più lentamente rispetto a quelle dei colleghi di altri paesi e le prospettive di carriera sono più limitate, basate su un percorso di carriera unico con promozioni esclusivamente in funzione dell’anzianità anziché del merito”. D’altra parte, un numero impressionante di lavoratori precari vanta il diritto di essere risarcito per l’eccessiva reiterazione di contratti a termine. “Ma a fronte del loro diritto a essere risarciti – obietta Ichino – c’è il diritto, almeno altrettanto rilevante, degli studenti ad avere professori di ottima qualità non professori che si siano adattati al precariato per mancanza di alternative. Il Ministero dell’Istruzione non deve sostituirsi al Ministero del lavoro: deve difendere l’interesse degli studenti a ricevere un’ottima istruzione, non quello degli insegnanti ad avere un posto fisso indipendentemente dalle loro qualità”.

Il professor Ichino ha redatto e presentato alcune proposte per liberalizzare il sistema di reclutamento dei docenti. “La prima cosa da fare – annuncia – è liberalizzare il reclutamento, gli stipendi e le carriere degli insegnanti per attirare i giovani migliori ad insegnare nelle scuole Italiane. Per fare questo è necessario che le scuole interessate a percorrere questa strada siano autorizzate ad uscire dal sistema statale tradizionale, per entrare in un nuovo sistema statale di scuole autonome. Ma non chiedo di imporre in tutte le scuole la mia proposta: vorrei solo che fosse possibile metterla in pratica per chi vuole provarci”. E quanto alla chiamata diretta, introdotta dalla Buona scuola e poi eliminata dal nuovo governo, osserva: “Se il governo introduce la chiamata diretta ma non cambia gli incentivi per il dirigente, è chiaro che il dirigente non è indotto a scegliere i più bravi. Non si può introdurre la chiamata diretta senza introdurre le conseguenze per il dirigente che compie scelte sbagliate. Il rischio che assuma il cugino si concretizza solo se non ci sono gli incentivi giusti: se so di perdere risorse assumendo un insegnante incapace non lo farò. Inoltre, la chiamata diretta introdotta dal Governo Renzi aveva mille vincoli e non era legata a un aumento di stipendio del professore. Le scuole invece dovrebbero poter attirare i docenti migliori, specie nelle materie scientifiche, pagandoli di più. Si pensi agli ingegneri, che trovano ottimi lavori in pochi mesi dopo la laurea. Perché mai dovrebbero fare i “concorsoni” per insegnare in un istituto tecnico? Sono stupito che cose ovvie debbano suscitare meraviglia”.

Professor Ichino, lei sostiene che per migliorare la scuola occorra migliorare la qualità degli insegnanti. Sembrerebbe un’osservazione ovvia. Invece non lo è?

Non lo è perché molti ritengono che altri interventi, come rifornire gli edifici di migliori attrezzature didattiche o modificare i programmi, producano miglioramenti più significativi. L’evidenza prodotta dalla migliore ricerca internazionale – ma credo sia anche la personale esperienza di ciascuno di noi – dice invece che la qualità degli insegnanti è molto più rilevante delle altre tipologie di intervento. Un bravo insegnante fa miracoli anche in una scuola disastrata. Un cattivo insegnante non ottiene buoni risultati nemmeno in una scuola organizzata perfettamente e riccamente dotata. Poiché nel budget delle scuole, soprattutto in Italia, la voce di costo largamente preponderante è lo stipendio degli insegnanti, il primo intervento da fare non può che essere il miglioramento della loro qualità”.

Lei sostiene che gli attuali sistemi di reclutamento non attirano i giovani migliori, quelli più preparati. Perché?

Perché le modalità di ingresso nel mondo della scuola, gli stipendi iniziali e soprattutto le prospettive di carriera scoraggiano i giovani più bravi e meglio preparati, i quali trovano condizioni di lavoro molto più favorevoli in altri ambiti, soprattutto nel privato. Questo non è ovviamente vero allo stesso modo in tutte le discipline. Il mercato del lavoro privato offre poche posizioni attraenti per laureati in greco, latino o filosofia che vogliano un impiego nel quale utilizzare le loro conoscenze in queste materie. Quindi per questi laureati diventare professore di liceo è ancora una delle prospettive più attraenti. Ma per laureati in materie tecniche, economiche e scientifiche, il mercato offre modalità di reperimento di un impiego rapide e trasparenti, stipendi molto più elevati e prospettive di carriera basate sul merito e non solo sull’anzianità. Non capisco perché queste affermazioni debbano destare stupore, data la loro ovvietà. Certamente ci sono i santi missionari che sono felici di insegnare matematica in un liceo anche se potrebbero andare a insegnare a Princeton o a lavorare per Google. Ma non possiamo basare un sistema scolastico che ha bisogno di quasi un milione di insegnanti sulla speranza che ci siano un milione di santi missionari”.

Non potrebbe esserci semplicemente assenza di interesse per l’insegnamento da parte di tanti giovani preparati, specie nelle materie scientifiche che offrono sbocchi alternativi nel mondo del lavoro?

Ciascuno di noi nello scegliere il proprio lavoro soppesa una serie di caratteristiche che non si limitano a stipendio e carriera. Ma quando la perdita in termini di stipendio e carriera, se scegliamo il lavoro che più ci interessa, è troppo elevata, è naturale rinunciare almeno parzialmente a fare quello che più ci piace sul piano lavorativo per avere risorse che ci consentano di fare anche quello che ci piace su altri fronti: una casa adeguata, viaggi, sport, e altro. In questo momento, ripeto, solo dei santi missionari per i quali l’insegnamento sia una passione assoluta possono assoggettarsi ad accettare l’umiliante trafila burocratica per entrare nel mondo della scuola e i corrispondenti stipendi da fame. Oppure, solo chi davvero non ha alternative migliori può adattarsi oggi a diventare insegnante. Dobbiamo puntare alla situazione opposta, nella quale l’insegnamento sia il lavoro maggiormente desiderato dai giovani migliori e più adatti ad insegnare”

Come fare per rendere l’insegnamento attraente per i giovani più dotati?

Introduciamo un metodo di reclutamento che sia davvero in grado di selezionare i giovani più preparati e con le migliori capacità di insegnare. Questo non basta, però. Dobbiamo anche aumentare gli stipendi e le prospettive di carriera per gli insegnanti meritevoli, in modo che i giovani migliori abbiano voglia di cercare lavoro nel mondo della scuola”.

Attualmente nella scuola pubblica risultano scoperte almeno 150.000 cattedre, si parla addirittura di 200.000, coperte a tempo determinato da un numero impressionante di docenti precari. Non crede che a queste persone vada il giusto riconoscimento? La stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha stigmatizzato l’eccessiva reiterazione dei contratti a termine.

Questo è proprio il risultato della pessima procedura di reclutamento degli insegnanti che è stata seguita per decenni in Italia, e contro la quale mi sto battendo da tempo senza alcun successo. Questi docenti precari hanno tutto il diritto di essere risarciti per i danni subiti a causa della assurdità di questo sistema di reclutamento. Ma a fronte del loro diritto a essere risarciti, c’è il diritto, almeno altrettanto rilevante, degli studenti ad avere professori di ottima qualità non professori che si siano adattati al precariato per mancanza di alternative. Il Ministero dell’Istruzione non deve sostituirsi al Ministero del lavoro: deve difendere l’interesse degli studenti a ricevere una ottima istruzione, non quello degli insegnanti ad avere un posto fisso indipendentemente dalle loro qualità. Ripeto ancora una volta, a scanso di equivoci, che certamente tra questi precari ci sono anche ottimi insegnanti, ma nella media i giovani migliori son andati altrove per i motivi sopra esposti”.

Lei ha scritto che chi accetta di fare il precario per anni e spesso per decenni sia in fondo un insegnante privo di qualità. Magari non ha qualità da spendere in altri settori, ma a scuola magari starà dando il meglio di sé. Che cosa pensa in merito?

Come già detto, sicuramente tra i precari ci sono ottimi insegnanti che hanno una passione per l’insegnamento tale da superare i soprusi subiti in procedure concorsuali non più al passo con i tempi, i bassi stipendi e le deprimenti prospettive di carriera. Ma faccio fatica a credere che questo sia vero per la maggioranza. Comunque, la mia proposta è di liberalizzare la chiamata degli insegnanti da parte di scuole completamente autonome nella selezione degli insegnanti e nella determinazione dei loro salari e delle loro carriere. Quindi questi precari, se sono davvero bravi, avrebbero tutto da guadagnare dalla mia proposta, i cui dettagli possono essere trovati in rete” (In italiano http://www.andreaichino.it/liberiamo_la_scuola.html. In inglese: http://www.andreaichino.it/scientific_publications/labeco_ichino_tabellini_9.pdf)

Qual è il suo pensiero circa agli attuali sistemi di valutazione delle nostre scuole?

Non mi sembra che oggi in Italia si faccia davvero una seria valutazione delle scuole. Manca un accordo su cosa debba essere valutato e su come misurarlo. La proposta che in vari ambiti ho cercato di portare avanti – senza successo – è che la valutazione debbano farla le famiglie con le loro scelte, in modo che le scuole più ricercate siano quelle che ricevono fondi maggiori. Ma affinché le scelte delle famiglie siano sensate, informate e ben motivate, è necessario che lo Stato fornisca alle famiglie le informazioni elementari per valutare le scuole. Attenzione: lo Stato non deve fare una classifica delle scuole”.

Approfondiamo questo punto

Supponiamo di poter misurare in ogni scuola 100 caratteristiche: per esempio, numero di studenti per classe, il valore aggiunto in termini di miglioramento nei test invalsi, indicatori del successo dei diplomati, tassi di abbandono, qualifiche dei docenti, dimensione delle palestre e delle dotazioni sportive … . La lista può essere molto lunga. Ogni famiglia deve poter dare un peso diverso a queste caratteristiche, e questi pesi non possono e non devono essere stabiliti dallo Stato. Ci sono famiglie alle quali interessano le strutture sportive e altre alle quali interessano la dimensione delle classi o la qualità degli insegnanti. Lo Stato deve limitarsi a fornire alle famiglie le informazioni elementari, su una piattaforma web appropriata, e poi saranno le famiglie a fare la loro aggregazione e a premiare le scuole da loro preferite. Dove questo succede, la valutazione dà i risultati migliori, ma in Italia siamo ben lontani”.

Spesso i docenti, anche quelli più preparati, sono obbligati dal sistema a insegnare discipline diverse da quelle nelle quali si sono formati più in profondità perché ogni laurea consente di insegnare diverse discipline anche quelle… sconosciute. Come mai secondo lei questo tema non è mai affrontato nelle discussioni sulla qualità degli apprendimenti?

Non è affrontato perché implicherebbe accettare il principio per cui il diritto di un docente al suo posto di lavoro, anche se questo significa insegnare una materia di cui non sa nulla, vale di meno del diritto dello studente ad avere invece un insegnante davvero preparato in quella materia. Le mie proposte affrontano apertamente questo problema: se mancano insegnanti di fisica o di francese non possiamo sostituirli con geologi e esperti di tedesco. Dobbiamo aumentare gli stipendi degli insegnanti di fisica e francese per far crescere il numero di giovani esperti in queste materie che siano disposti ad insegnare”.

La scuola è una comunità educante che deve servire soprattutto ai nostri studenti. Quali sono le sue proposte per esaltarne finalmente qualità, efficienza e sviluppo degli apprendimenti?

Come ho già detto, la prima cosa da fare è liberalizzare il reclutamento, gli stipendi e le carriere degli insegnanti per attirare i giovani migliori ad insegnare nelle scuole Italiane. Per fare questo è necessario che le scuole interessate a percorrere questa strada siano autorizzate ad uscire dal sistema statale tradizionale, per entrare in un nuovo sistema statale di scuole autonome. In questo sistema, però, le scuole saranno attentamente valutate, come detto, e riceveranno maggiori fondi solo se riceveranno valutazioni positive. Chi vuole continuare con il vecchio sistema, può continuare, però. Chiedo solo che almeno sperimentalmente (vedi di nuovo le mie proposte reperibili in rete, che ho indicato sopra) chi vuole percorrere una strada diversa possa farlo”.

Come pensa che le sue proposte potrebbero essere valutare dalla politica e dai sindacati della scuola? In genere si parla di concorsi riservati per i precari di lungo corso e di concorsi ordinari, come peraltro vuole la Costituzione.

Servirebbero politici e sindacalisti illuminati, che abbiano davvero a cuore l’interesse degli studenti e l’obiettivo di aumentare il capitale umano del Paese per migliorarne la crescita. Vorrei ripetere ancora una volta che non chiedo di imporre in tutte le scuole la mia proposta: vorrei solo che fosse possibile metterla in pratica per chi vuole provarci. E ho incontrato tanti dirigenti che sarebbero disposti a farlo se dotati della necessaria autonomia decisionale e degli strumenti finanziari appropriati. Ossia senza essere costretti a operare come comandanti di navi che non possono scegliersi l’equipaggio e decidere la rotta. Sarei felice di vedere anche solo una scuola alla quale sia concesso di seguire questa proposta, ma che sia interamente libera di farlo. E se avrà successo le altre seguiranno …”.

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