Bonetti: “Giusto riaprire le scuole, Dad a scelta è un errore. Sì al recupero degli apprendimenti e della socialità” [INTERVISTA]

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La ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, esponente di Italia Viva, in un’intervista a Orizzonte Scuola, fa il punto sull’attività del proprio dicastero e sulla riapertura delle scuole. 

La riapertura della scuola è stata ritenuta fondamentale dal governo. Ritiene positivo il fatto di ritornare in classe per un mese e in particolare ritiene che ci siano le condizioni per farlo?

“È positivo che si sia data priorità, nel pacchetto delle riaperture, alla scuola e in generale all’educazione, soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria di primo e secondo grado. Nell’ambito di un calo dei contagi avvenuto dagli inizi di aprile, il governo ha deciso di fare una scelta chiara: ripartire dalla riapertura delle scuole in presenza. Per continuare in questa fase occorre complessivamente un dimensionamento ridotto del contagio nella società e per questo non si possono riaprire tutte le attività insieme. Abbiamo scelto di farlo in modo graduale e sicuro, dando priorità alla scuola. È un cambio di passo importante, che Italia Viva ha sempre chiesto. Ci sono le condizioni per il ritorno in classe perché c’è stato un ridimensionamento dei contagi grazie alle misure che, al diffondersi delle varianti, questo governo ha assunto in modo tempestivo. Oggi abbiamo un RT in decrescita e si ha una previsione di decrescita. È evidente che la riapertura delle scuole si può sostenere anche grazie alla campagna di vaccinazione, che è partita con effetti incrementali positivi che andranno a rafforzare questa scelta”. 

Le Regioni lamentano di non essere state sufficientemente informate sulla riapertura e protestano soprattutto sul fatto che la quota sia stata cambiata all’ultimo. Come sono andate davvero le cose?

“C’è stata una scelta politica chiara del governo, ma fatta sulla base dei dati. Poi ci siamo affidati alla parte organizzativa del Ministero dell’Istruzione e dei Trasporti. Il tema dei trasporti, Italia Viva lo ha sempre detto, è nevralgico, accanto a quello della vaccinazione e dei tamponi. La ministra Gelmini si è confrontata con le Regioni e stanno trovando una soluzione per poter garantire in modo prioritario il ritorno in classe in presenza per tutti gli studenti, anche in zona rossa, secondo le percentuali indicate. La scuola ha fatto un lavoro straordinario nell’organizzazione e il Paese deve riconoscere questo grande e importante sforzo fatto, a partire dagli insegnanti che si sono prodigati nel reimpostare un approccio didattico diverso con la didattica a distanza, con un’attenzione educativa che è stata ed è evidente a tutti. Bisogna d’altra parte provvedere ad un’organizzazione strutturale a servizio del ruolo della scuola: quello che abbiamo evitato è che ci fossero scelte, da parte di alcune Regioni, non corrispondenti con l’indirizzo del governo, quello di riaprire le scuole e riaprirle in sicurezza e, solo nel caso di evidenti situazioni di focolai, con motivati rischi per la salute e sulla base di dati scientifici, operare diversamente dalle indicazioni generali nazionali. Il tema del 60% o del 70% è stato oggetto di rivalutazione in Consiglio dei Ministri. L’indicazione è riconoscere la giusta e doverosa autonomia di organizzazione che deve essere lasciata agli istituti scolastici”.

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Alcuni enti locali puntano sulla dad a scelta per le famiglie per evitare il boom dei contagi e garantire il diritto all’istruzione, ritenendo superiore il diritto alla salute. Lei è d’accordo?

“No, ritengo sia un errore e ho avuto modo di dirlo più volte. Ci sono dei diritti fondamentali che complessivamente vanno tutelati e garantiti. Non c’è un diritto contro un altro né il governo ha dato priorità ad un diritto rispetto ad un altro, ma ha dato garanzia di tutti, compresi quello alla salute e all’educazione. Tutti i diritti vanno garantiti ed è compito di tutti i livelli di governo trovare le modalità per farlo. Le nostre scelte sono state fatte secondo parametri stringenti, sulla oggettività dei contagi e sulla oggettività dei dati scientifici. La discrezionalità della valutazione non aiuta a rendere ottimale il sistema. Io spero che si cambi questa indicazione perché tutti gli studenti, in ogni territorio, abbiano il diritto di accedere ai servizi educativi come nel resto del Paese, ovviamente secondo le regole di sicurezza che abbiamo indicato”.

Si parla di recupero degli apprendimenti e, in generale della socialità per i mesi estivi, lei è d’accordo con l’apertura delle scuole anche a luglio?

“Stiamo prendendo in carico questa esigenza. Da un lato il Ministero dell’Istruzione sta preparando un lavoro importante su questo fronte, e dal mio ministero stiamo organizzando attività nell’ambito dell’educazione non formale. Io credo che ci sia bisogno di un dare un supporto ulteriore agli studenti e alle loro famiglie e che già da ora occorra organizzare il nuovo anno scolastico, con regole di sicurezza e dando attenzione anche all’aspetto psicopedagogico, dopo un’esperienza difficile come quella che i ragazzi hanno dovuto affrontare”.

L’assegno unico universale è un risultato storico, ma immagino sia solo l’inizio. Su cosa bisogna migliorare?

“L’assegno unico universale è il primo pezzo di una riforma più ampia, quella del Family Act. Un altro capitolo importante è l’investimento in educazione, con il sostegno alle spese educative sostenute dalle famiglie. Non solo: investimenti a livello territoriale sui servizi educativi, a partire dagli asili nido che tra l’altro sono tra le azioni strategiche contenute nel PNRR. Accanto a questo c’è la riforma dei congedi parentali paritari tra donne e uomini, per tutte le categorie di lavoratori. Uno dei principi del Family Act, tra l’altro, è che il congedo parentale non è soltanto un diritto del genitore ma una responsabilità esercitata nei confronti del minore. Si prevedono quindi congedi parentali interamente retribuiti, anche per permettere ai genitori di accedere ai colloqui scolastici con i professori e garantire la necessaria sinergia tra scuola e famiglia. C’è il tema del lavoro femminile, con un investimento che deve favorire la piena conciliazione tra la scelta della maternità e quella lavorativa, e un ultimo capitolo importante sull’autonomia dei giovani, anche con un sostegno ai percorsi di formazione universitaria”.

I dati dell’occupazione femminile sono drammatici. Il Recovery Plan sarà un’occasione per rilanciarla?

“Sì, sarà uno degli assi su cui dobbiamo investire per ottenere un risultato effettivo di sviluppo, lo dicono chiaramente anche i dati macroeconomici. Maggiore lavoro femminile significa aumento del PIL. Servono due azioni principali: l’incentivo al lavoro, tra cui l’imprenditoria femminile, e, per me ancora più strategica in prospettiva, la formazione delle competenze, in particolare nelle materie STEM. Per la loro promozione è previsto un investimento di oltre un miliardo, a partire dai primi anni di vita delle bambine e dei bambini per rompere gli stereotipi che vedono le ragazze escluse dalle materie scientifiche. E in questa direzione c’è anche un grande investimento sulla formazione degli insegnanti”.

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