Bassetti: “Aprire scuole in zona rossa, prima dose AstraZeneca a personale scolastico garantisce 93% da rischio Covid” [VIDEO INTERVISTA]
Continua la campagna vaccinale nel nostro paese che potrebbe portarci gradualmente ad un ritorno alla normalità. Tuttavia alcune questioni sono state sollevate circa quelli a vettore virale come AstraZeneca, oggi Vaxzervia, e Johnson & Johnson. Per capire meglio abbiamo intervistato il Professor Matteo Bassetti, Professore Ordinario presso l’Università di Genova e Direttore della Clinica di malattie infettive e tropicali dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova.
Negli Stati Uniti è stato chiesto lo stop all’uso del vaccino Johnson & Johnson da parte di FDA (Food and Drug Administration) e dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) dopo la segnalazione che sei donne hanno sviluppato una malattia rara. Si parla di estrema precauzione in attesa di accertamenti. L’Italia rinvia l’inizio della somministrazione. Non si rischia un nuovo caso AstraZeneca?
Direi di sì, anche perché il vaccino di Johnson & Johnson è stato sviluppato con una tecnologia molto simile a quella di AstraZeneca, è un vaccino a vettore virale, e questo effetto possibile della trombocinotepia indotta appunto dalla vaccinazione è probabilmente legata all’adenovirus. Quindi non riguarderebbe solo AstraZeneca e Johnson & Johnson, ma verosimilmente anche Sputnik e il nostro vaccino Reithera, che è il vaccino italiano, tutti sviluppati con tecnologia a vettore virale. Mi auguro che a livello europeo non si arrivi ad una sospensione di questi vaccini, perché se negli Stati Uniti se lo possono permettere avendo moltissime dosi di Pfizer e Moderna, e poi avranno a brevissimo anche il vaccino CureVac, e quindi riusciranno a concludere la campagna vaccinale con questi vaccini pur rinunciando a Johnson & Johnson, in Italia e in Europa non può valere lo stesso discorso, in quanto noi abbiamo puntato molto sui vaccini di AstraZeneca e Johnson & Johnson che comunque sono vaccini molto sicuri. Non dimentichiamo che la sospensione di J&J negli Stati Uniti è riferita al riscontro di sette casi di reazioni avverse gravi, di cui una mortale, su sette milioni di dosi, cioè siamo a un evento avverso grave ogni milione di abitanti. In Europa l’incidenza di trombosi da vaccino AstraZeneca ha un rischio di tre/quattro casi ogni milione di dosi. Per comprendere questi numeri facciamo un paragone tra questi dati e quelli di rischio di trombosi legati alla pillola anticoncezionale che ha un’incidenza mille volte superiore a quella del vaccino, eppure le donne che ne fanno uso non credo si domandino se potrebbero incorrere in questo rischio. È evidente, i vaccini sono farmaci e come tali hanno degli effetti collaterali, ma quando questi effetti sono così piccoli, credo che dovremmo sempre guardare a quello che è l’obiettivo finale, che è, evidentemente, quello della riduzione delle ospedalizzazioni e soprattutto dei decessi per questa gravissima infezione.
Nel terzo rapporto di farmacovigilanza di AIFA sono state riportate le segnalazioni di sospette reazioni ai vaccini in uso, ovvero Pfizer, Moderna e AstraZeneca. Tuttavia nei media si parla esclusivamente di AstraZeneca, oggi Vaxzevria. A complicare le cose ci sono stati i continui cambi di indicazione che hanno creato una grande confusione portando le persone ad avere una forte diffidenza nei confronti di questo vaccino. Allo Spallanzani dovrebbe partire una sperimentazione sulla possibilità di utilizzare altri vaccini per la seconda dose. Ci aiuta a capire meglio qual è la situazione attuale e come devono comportarsi le persone che hanno ricevuto la prima dose?
Intanto diciamo che le reazioni avverse gravi, intese per gravi come potenziali decessi, che nell’ultimo report della farmacovigilanza, presentato proprio ieri, sono cento di cui solo uno è stato correlato al vaccino. Di questi decessi potenzialmente avvenuti dopo la vaccinazione abbiamo che la maggioranza, circa settanta, sono avvenuti dopo la somministrazione di Pfizer, dodici con Moderna e i restanti con AstraZeneca. Da questi dati si intuisce che gli effetti collaterali potenziali sono stati riportati con tutti i tipi di vaccino. Dicevamo potenziali perché dopo gli studi di questi casi solo un decesso è avvenuto come potenzialmente legato alla vaccinazione su oltre dodici milioni di persone vaccinate in Italia. Per quanto riguarda il discorso seconda dose, chi ha fatto la prima dose con AstraZeneca dovrebbe fare anche la seconda con lo stesso vaccino, oppure rinunciare alla seconda dose e prendersi comunque un effetto protettivo dovuto alla prima dose, che è adeguato, per quanto riguarda il vaccino di AstraZeneca, in una grande maggioranza dei casi. Eviterei di mischiare il vaccino con un altro, anche se sono a conoscenza che ci sono degli studi in corso sia inglesi che allo Spallanzani. Aspettiamo di vedere i dati degli studi a dimostrazione del fatto che mischiare i vaccini sia efficace. Al momento sarei un po’ cauto, poi se i dati scientifici mi convinceranno, e ci convinceranno, evidentemente si potrà decidere di mischiare i vaccini. In genere mischiare tecnologie diverse non dovrebbe essere il massimo, ovvero se hai fatto Pfizer, in caso di mancanza di questo si potrebbe optare per Moderna, ma se hai fatto Pfizer fare il richiamo con AstraZeneca, o viceversa, non so quanto questa cosa possa essere intelligente.
Oltre ai vaccini esistono altre armi a disposizione dei medici per contrastare il virus. Recenti studi, però, hanno dimostrato la scarsa efficacia del plasma iperimmune sui pazienti Covid gravi. Pare invece che funzionino le terapie con anticorpi monoclonali, ma sono allo studio anche farmaci inibitori di proteasi che hanno già dimostrato la loro utilità nelle infezioni da HIV, virus a RNA come il SARS-CoV-2. Ci spiega come funzionano?
Sul plasma iperimmune, dopo i numerosi studi dei paesi all’estero, è stato fatto anche uno studio clinico italiano, randomizzato e controllato chiamato TSUNAMI e promosso da ISS e AIFA, che dimostra che nelle forme gravi, dove è stato prioritariamente utilizzato in Italia, non funziona in quanto non ha un beneficio rispetto al farmaco placebo. Potrebbe funzionare in altre forme, magari più precoci, dove però sono stati studiati di più e meglio gli effetti degli anticorpi monoclonali. Sfatiamo un primo mito, quello della gratuità delle cure con il plasma, perché non è assolutamente vera in quanto per le cure con il plasma ci vuole un donatore che si rechi nei centri trasfusionali a donare il plasma, una persona che effetti la trasfusione, poi ci vuole qualcuno che prenda la sacca, che la stocchi e la metta nel freezer per poi essere somministrata. Certamente gli anticorpi monoclonali costano molto di più di quanto costi il plasma, però c’è da dire che questi anticorpi hanno una florida letteratura scientifica che ne supporta il potenziale utilizzo. Possiamo dire che gli anticorpi monoclonali sono un trattamento per le fasi molto precoci dell’infezione, entro massimo cinque giorni dall’esordio infettivo, quando si è nella fase viremica, ovvero quando c’è tanto virus che circola, perché questi anticorpi monoclonali hanno lo stesso principio del vaccino, solamente sono tanti anticorpi già pronti all’utilizzo. Per azzardare un paragone è come se noi avessimo un cibo in freezer, ad esempio una pasta pronta, che basta metterla nel microonde ed è pronta, ecco questo è il principio degli anticorpi monoclonali, sono anticorpi già formati che agiscono sulla proteina spike ad evitare che questa proteina si leghi e faccia dei danni al nostro organismo. Per quanto riguarda invece i farmaci in sviluppo, lei parlava degli inibitori delle proteasi, noi abbiamo alcuni farmaci molto interessanti, tra cui uno che si chiama Molnupiravir, che è un farmaco di ricerca americana di cui dovrebbe partire la sperimentazione a breve anche nel nostro paese, che ha la capacità di ridurre in maniera molto importante la carica virale nei primi giorni di trattamento. Questo potrebbe essere un trattamento per via orale da fare a casa, sarebbe perfetto. In pratica anziché essere somministrato per via endovenosa, tramite delle flebo, come avviene per gli anticorpi monoclonali, viene assunto per via orale essendo delle semplici pastiglie. Ha un funzionamento differente rispetto agli anticorpi monoclonali, perché questo farmaco è un antivirale e agisce direttamente contro il virus, ma è un modo molto utile per portare a casa le terapie contro questo virus anche perché al momento ci sono poche possibilità di cura domiciliare.
Professor Bassetti, negli Stati Uniti hanno completato la vaccinazione il 22% della popolazione, il Regno unito è all’ 11%, Israele ha superato il 57%. L’Italia è al 7,0% e comunque in Europa al decimo posto dietro Germania, Francia e Spagna. Sempre in Italia circa il 16% della popolazione ha ricevuto almeno la prima dose. Alla luce di questi dati, quanto è importante accelerare sulla campagna vaccinale anche in prospettiva di una possibile quarta ondata che si potrebbe verificare nel prossimo autunno?
La quarta ondata, e speriamo tutti che sia un’ondina e quindi si potrebbe limitare a pochi casi, dipende da quanti vaccini riusciremo a somministrare tra adesso ed il prossimo autunno. Per cui, se saremo bravi a somministrare il vaccino al 70%, o magari anche più, della popolazione entro l’autunno, potremmo sperare in un autunno tranquillo, dove avremmo dei casi dovuti alla stagionalità del virus, che però non metteranno in difficoltà il sistema sanitario. Saranno ospedalizzati, torneranno a casa loro dove li cureremo, faremo i monoclonali e via così, questo per dire che in qualche modo abbiamo imparato la lezione. Diverso è se non saremo in grado di vaccinare il 70/75% della popolazione. Su questo punto però sono fiducioso, Figliuolo sta lavorando molto bene, anche se da una parte mancano dosi e dall’altra ci sono alcune regioni che procedono lentamente e quindi bisognerebbe uniformarsi tutti a numeri che definirei importanti. Ad esempio in Liguria, che è la regione dove lavoro, ieri sono state somministrate sedicimila dosi di vaccino su un milione e seicentomila abitanti, vuol dire che abbiamo vaccinato in un giorno l’1% della popolazione regionale. Questi sono i ritmi a cui dovrebbero andare tutte le regioni, che vorrebbe dire vaccinare circa seicentocinquantamila persone al giorno. È evidente che con questi numeri, e se tutte le regioni lavorassero allo stesso modo, potremmo arrivare all’immunità di gregge già a luglio.
Cambia ancora la campagna vaccinale, il 9 aprile il commissario Figliuolo ha firmato la nuova ordinanza nella quale vengono stabilite le nuove priorità nelle quali non rientra più il personale scolastico. Attualmente il 72% del personale ha ricevuto la prima dose vaccinale, di cui quasi l’1% ha ricevuto anche la seconda dose, mentre il restante personale che non ha ricevuto nemmeno la prima dose, come confermato anche dal Ministero dell’Istruzione in un recente incontro con i sindacati, al momento dovrà attendere. Una recente ricerca ha dimostrato che la chiusura delle scuole non ha inciso sulla curva pandemica. In un’ottica di apertura delle scuole anche in zona rossa, cosa comporta un quadro come quello che abbiamo appena analizzato.
Non credo comporti particolari rischi essendo il personale scolastico, per la stragrande maggioranza, vaccinato con AstraZeneca e il 93% di chi ha ricevuto la prima dose lo possiamo considerare già coperto. La seconda dose è possibile spostarla tranquillamente oltre i quattro mesi e quindi è verosimile che finiranno le scuole ed il personale potrà tranquillamente ricevere la seconda dose oppure si valuterà cosa fare. Una dose è abbastanza, gli inglesi lo hanno dimostrato arrivando in qualche modo ud una riduzione significativa sia dei contagi che dei decessi grazie ad una sola dose di AstraZeneca. Le scuole devono riprendere anche in zona rossa, perché, come giustamente ha detto lei, i contagi avvenuti nella scuola sono assolutamente pochissimi e soprattutto la chiusura della scuola non ha influenzato l’andamento dell’epidemia. Credo che, anche alla luce della mia esperienza di Professore Universitario, sia giusto per i ragazzi tornare ad avere una socialità, hanno perso due anni della loro vita dal punto di vista scolastico. La DAD non è scuola, mi spiace dirlo ma nel nostro paese non siamo attrezzati, organizzati e culturalmente evoluti per avere la DAD, questo ce lo dobbiamo dire con onestà. Per arrivare alla DAD ci vuole un percorso che altri paesi hanno fatto ben prima di noi e quindi hanno sofferto meno di noi. Ci siamo trovati da un giorno all’altro ad avere aperto un interruttore per arrivare a fare in DAD quello che si faceva in classe. Non erano pronti i professori, non erano pronti gli studenti, ma soprattutto non erano pronte le strutture dal punto di vista tecnologico. Ma sono convinto che ancora non siamo pronti, quindi il ritorno a scuola è il ritorno ad una normalità di una grande scuola, come è quella italiana, che però ha bisogno del contatto. Noi siamo un popolo che ha bisogno del contatto, ovviamente in sicurezza, e dobbiamo tornare a fare scuola come lo abbiamo sempre fatto perché è un’ottima scuola.
Lei ha parlato dell’impreparazione a fare DAD, in altre occasioni dalle nostre pagine abbiamo parlato anche delle ripercussioni dal punto di vista psicologico per i nostri ragazzi dovute a questo isolamento. Tornando all’aspetto della vaccinazione, non si parla mai dei più giovani. A questo punto le chiedo se anche loro dovranno vaccinarsi oppure si ritrovano in una fascia relativamente tranquilla?
I ragazzi sicuramente si trovano in una fascia più tranquilla rispetto al rischio di malattia più grave. Al momento i ragazzi dai sedici anni in poi possono tranquillamente fare il vaccino perché questi farmaci sono autorizzati in quella fascia d’età. Il vaccino di Pfizer probabilmente a breve sarà autorizzato anche nella fascia d’età più giovane che arriva fino ai dodici anni. Quindi quando arriverà il momento dei più giovani credo sia importante che anche loro si vaccinino, sempre nell’ambito dell’ottica di far circolare sempre meno il virus, perché se da una parte avranno meno effetti in caso di infezione, dall’altra diventeranno anche loro uno scudo alla propagazione del virus in modo da poter permettere a tutti di poter vivere in ambienti dove il virus circola sempre meno e quindi avremo ambienti migliori per la salute di tutti.
Un’ultima domanda, lei prima ci tranquillizzava sulla copertura che già avviene alla prima dose di vaccinazione. Ci fa capire meglio quanta copertura potremmo avere già con la prima dose e quanto dura questa copertura anche alla luce delle varianti che circolano?
La possibilità di copertura è molto alta già con la prima dose, arriviamo a parlare di oltre il 90% dopo circa tre settimane dalla somministrazione e parliamo soprattutto del vaccino di AstraZeneca. Per quanto riguarda la durata della copertura questa non è certa, però si parla di una copertura di almeno un anno. Per cui dovremmo abituarci all’idea che il vaccino per il Covid diventerà un richiamo annuale esattamente come oggi lo è quello per l’influenza. Sono da sempre fautore della vaccinazione antinfluenzale per tutto il personale docente e quindi, se si riuscirà a combaciare le due vaccinazioni contemporaneamente, oppure in momenti diversi, sarà fondamentale un richiamo su base annuale, o al massimo su base biennale, anche per il vaccino Covid.
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