Bambino precipitato dalle scale, vigilanza e controllo attivo. Ecco perché una maestra è stata scagionata

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Bambino precipitato dalle scale. Vicenda complicata che ha richiesto diverso tempo.  Confermati i criteri della continuità sulla vigilanza e il controllo attivo. Da qui la decisione che ha scagionato una maestra, non il personale scolastico sul piano.

Bambino precipitato dalle scale, una triste e complicata vicenda

Bambino precipitato dalle scale. Nell’ottobre 2019 si leggeva sui giornali: “Secondo le prime informazioni, verso le 9,45 di oggi, venerdì 18 ottobre, un bambino di sei anni sarebbe caduto dal secondo piano nella tromba delle scale all’interno della scuola elementare Giovanni Battista Pirelli sita in via Goffredo da Bussero al civico 9, una traversa di viale Fulvio Testi. Il piccolo avrebbe fatto un volo di qualche metro prima di cadere al suolo”.

Immediatamente la situazione è risultata complicata. Lo sono sempre, quando avvengono a scuola. I docenti e il personale scolastico, infatti devono gestire eventi dove in alcuni step la vigilanza non è garantita al 100%. E questo dipende spesso dalla diversa ubicazione di alcuni locali (bagni), da percorsi con cambi di direzione che ne impediscono la completa visuale (i cosiddetti punti ciechi) e non ultimo l’incombenza di dover gestire la presenza di più bambini. Il riferimento è sempre il bagno, ma potrebbe essere anche il giardino… Il tutto è reso difficile dall’impegno di coniugare una graduale autonomia del minore con i doveri di vigilanza senza soluzione di continuità.

Ecco spiegato il lungo intervallo di tempo tra il tragico evento occorso al bambino molto piccolo (la giovanissima età è un aggravante) e l’importante sentenza (Ottobre 2019-aprile/maggio 2022). Maggiore è l’intervallo, più si è sicuri che le indagini sono state meticolose e certosina è stata la raccolta delle prove variamente documentali.

L’affidamento e il controllo attivo, i criteri stabiliti dall’art.2048 c.c.

Tutto questo ha permesso ai giudici di emettere una sentenza coerente con i principi che caratterizzano l’art.2048 del c.c. composto da tre commi. Tralasciando il primo, i seguenti invece rivestono una grande importanza, in quanto perimetrano l’area di responsabilità del docente e del personale scolastico. Si legge: “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilita’ soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.”

Quindi l’affidamento e il relativo controllo rimandano a una vigilanza continua dei minori per tutto il tempo della  loro permanenza a scuola e nelle sue pertinenze (aree e ambienti all’interno del suo perimetro). Ovviamente la vigilanza non può limitarsi a una presenza fisica, ma deve risultare attiva. Quest’ultima richiede l’ osservazione dell’ambiente e la valutazione dei potenziali rischi (ad es. zaini negli spazi tra i banchi…). Ovviamente il livello di  sorveglianza e di controllo non può azzerare il rischio di eventi che devono sempre presentarsi con le caratteristiche dell’imprevedibilità e della inevitabilità.

Tutto questo si giustifica con il profilo del minore che richiama la sua inadeguata capacità d’intendere e volere. Nel  tempo l’assoluta immaturità è divenuta relativa, cioè correlata  “all’età ed al normale grado di maturazione degli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto” (Trib . Milano , 28 giugno 1999) . La vigilanza degli insegnanti e dei collaboratori scolastici  , ” deve raggiungere il massimo grado di continuità ed attenzione nella prima classe elementare ” (Cass. 4 marzo 1977 n. 894) e “il massimo grado di efficienza nelle classi inferiori” Cass . 22 gennaio 1980 n. 516).

Inevitabilmente tutto questo porta a un controllo visivo diretto sugli allievi (Cass. 4 marzo 1977) che conduce al carattere preventivo e attivo dell’azione di sorveglianza.

La coerenza della sentenza

L’illustrazione dei criteri che perimetrano la responsabilità civile e penale dei docenti e del personale scolastico nei confronti dei minori era necessaria, per comprendere la sentenza sulla tragica vicenda del piccolo Tommaso. I giudici  hanno scagionato la docente, in quanto le condizioni che hanno portato all’evento tragico non sono a lei imputabili. La sua responsabilità è limitata alla mancata attenzione “nel non avere assicurato la sorveglianza dell’alunno fuori dalla classe, nel non averlo affidato alla supervisione di alcuno altro adulto e di avergli consentito di andare in bagno da solo, e senza neppure avere cercato l’accompagnamento di un collaboratore scolastico)”
E giungiamo al cuore della sentenza dove i principi di sorveglianza continua e di controllo attivo trovano la loro traduzione nel seguente passaggio “il bambino veniva a un certo punto ugualmente preso in carico da chi [la collaboratrice scolastica] aveva un’autonoma posizione di garanzia nel riportarlo in classe sano e salvo… nella sua specificità e nello sviluppo tragico del suoi verificarsi non è rimproverabile all’imputata in quanto la situazione di affidamento a un collaboratore, che la condotta inizialmente omessa doveva garantire, si era comunque verificata”  In altri termini, l’incidente e avvenuto durante il ritorno. E questo presuppone che il personale scolastico (la bidella) aveva assunto la responsabilità sul bambino. Probabilmente in modo inconsapevole, ma anche in questi casi la legge non consente l’ignoranza.
Concludono i giudici che non esiste alcuna relazione causale tra il mancato affidamento (andata) e il tragico evento (ritorno) avvenuto sotto la responsabilità della collaboratrice scolastica che era tenuta a controllare attivamente e direttamente il rientro del bambino in aula. Questo prevede l’art. 2048 c.c..

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