“Avevo un impiego nel privato e ho scelto di diventare insegnante per vocazione. Ecco perché me ne sono pentita!”

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La lettera di una docente pone l’accento su una serie di questioni molto dibattute e che investono il dilemma “resto nel privato o vado nel pubblico?”. Un argomento che è facile intuire riguardi la questione retributiva, la formazione e le responsabilità collegate al ruolo degli insegnanti.

Il peso delle scelte personali

La docente racconta di aver lasciato un impiego stabile in un’azienda privata per seguire una vocazione autentica verso l’insegnamento. Una scelta consapevole ma che, col tempo, si è rivelata economicamente svantaggiosa.

Secondo quanto riportato nella lettera, questo tipo di transizione professionale, sebbene motivata da passione e convinzione, non viene riconosciuta né sostenuta dal sistema scolastico, che manca di strumenti per valutare e premiare i sacrifici personali legati a tale percorso.

L’esperienza che non conta

Un altro punto sollevato nella lettera riguarda la mancata valorizzazione delle esperienze lavorative maturate in altri contesti. Anche dopo oltre vent’anni di attività nel settore privato, non vi è alcun riconoscimento formale delle competenze acquisite.

L’autrice sottolinea l’incoerenza tra le affermazioni istituzionali – che promuovono il valore delle competenze trasversali – e la realtà di una scuola che, nei fatti, ignora i profili professionali con percorsi atipici.

Un sistema percepito come sbilanciato

In chiusura della lettera, si denuncia il disallineamento tra ciò che la scuola pubblica domanda ai propri insegnanti e ciò che offre in cambio. La docente descrive un ambiente che richiede disponibilità, aggiornamento continuo e dedizione, ma che non restituisce un adeguato riconoscimento economico e professionale.

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