Autolesionismo giovanile, comprendere il dolore silenzioso degli adolescenti: una guida per genitori ed educatori. INTERVISTA ad Alessandra Marcazzan

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L’autolesionismo tra gli adolescenti rappresenta una delle sfide più complesse che genitori, insegnanti ed educatori si trovano ad affrontare. Un fenomeno in preoccupante crescita, soprattutto dopo la pandemia, che richiede strumenti adeguati per essere compreso e gestito.

Alessandra Marcazzan, psicologa e psicoterapeuta, coautrice insieme a Sara Baroni del libro “Adolescenti che si tagliano. Forme e significati dei comportamenti autolesivi”, offre una chiave di lettura professionale per interpretare questi segnali di disagio.

“La pandemia ha fatto emergere problematiche di salute mentale già latenti nella società, con un impatto particolarmente significativo sugli adolescenti”, spiega Marcazzan nell’intervista rilasciata a Orizzonte Scuola. Le segnalazioni di comportamenti autolesionistici sono più che raddoppiate nella fascia adolescenziale, configurandosi come l’espressione di un’angoscia che fatica a tradursi in parole.

Il volume si rivolge non solo agli specialisti ma anche a genitori ed educatori, offrendo strumenti concreti per comprendere e gestire questo fenomeno. L’approccio proposto è quello di andare oltre lo shock iniziale per mettersi in ascolto dei giovani, aiutandoli a trasformare l’impulso autolesionistico in pensieri ed emozioni comunicabili, sempre con il supporto di professionisti qualificati.

Il libro si concentra sull’autolesionismo non suicidario. Come distinguere, nella pratica clinica, tra autolesionismo e tentativi di suicidio, soprattutto in adolescenza? Quali segnali di allarme devono far sospettare un rischio suicidario?

“Il primo e più importante fattore per una diagnosi differenziale è sicuramente la presenza o meno di un’ideazione suicidaria, cioè di pensieri e fantasie ricorrenti riguardanti la scena del suicidio, il metodo utilizzato, le reazioni che il gesto provocherà da parte della famiglia e degli amici. Un adolescente che si taglia può lambire questi pensieri, ma solitamente finisce per allontanarli: il comportamento autolesionista va nella direzione opposta, in quanto permette di scaricare la tensione e alleviare l’angoscia. Quando però i comportamenti autolesivi sono presenti da molto tempo, e il loro utilizzo è costante e crescente, possono segnalare il bisogno di tenere a bada pensieri di morte che occupano sempre maggiore spazio nella mente dell’adolescente”. 

Come è cambiato il fenomeno dell’autolesionismo in adolescenza negli ultimi anni, anche alla luce dell’impatto della pandemia e dell’uso sempre più pervasivo dei social media?

“La pandemia ha fatto emergere problematiche di salute mentale già presenti in modo latente nella società, ma sugli adolescenti ha avuto un impatto eclatante: molte situazioni in bilico tra la fisiologia e il disagio conclamato sono evolute nella seconda direzione. Le segnalazioni riguardanti i comportamenti autolesionistici, in particolare, sono più che raddoppiate nella fascia adolescenziale, probabilmente proprio perchè è un sintomo che si presta a dare espressione a un’angoscia inesprimibile, che fatica a tradursi in parole. L’uso dei social media invece sembra invece avere un impatto soprattutto sulla manifestazione del fenomeno: solitamente, quando i ragazzi cercano informazioni o fanno domande su questi canali, hanno già qualche esperienza in merito a questi comportamenti e vogliono trovare qualcuno con cui poterne parlare”.

Quali sono le principali difficoltà che incontrano genitori, insegnanti ed educatori nel comprendere e affrontare il comportamento autolesivo degli adolescenti? Quali consigli pratici potete offrire loro?

“La difficoltà più grande per gli adulti è probabilmente quella di gestire l’ansia che suscita  la scoperta del comportamento autolesionista del proprio figlio o allievo, che può comprensibilmente provocare sconcerto, sbigottimento, o la paura di altri e più gravi comportamenti autodistruttivi. I tagli sono in genere tenuti nascosti agli adulti, ma spesso disseminano tracce e indizi, rivelando l’ambivalenza dell’adolescente che, sebbene non riesca a parlare del proprio malessere, chiede di essere visto e notato. Un’indicazione da dare agli adulti può essere allora quella di non farsi travolgere dall’urgenza di trovare soluzioni, ma piuttosto di mettersi in ascolto, cercare di comprenderne il significato e aiutare la ragazza o il ragazzo a trasformare l’impulso di farsi male in pensieri e in parole. E, naturalmente, chiedere aiuto a un professionista”.

Il libro menziona l’importanza del lavoro di équipe. Potete approfondire come questo approccio multidisciplinare si concretizza nella presa in carico degli adolescenti che si tagliano e delle loro famiglie?

“Gli adolescenti indossano un’identità caleidoscopica, fisiologicamente frammentata in una molteplicità di immagini di sè che variano a seconda degli interlocutori e dei contesti in cui si muovono. Per questo, per comprendere in profondità il significato dei loro gesti, è importante coinvolgere le figure più significative a loro vicine, a partire dai genitori, ma interagendo anche con insegnanti e educatori e dando voce agli amici e agli affetti, qualche volta anche   facendoli fisicamente entrare nella stanza del colloquio. Il lavoro d’equipe permette di ampliare il campo della consultazione dando uno spazio di ascolto a ognuno di questi interlocutori, nel rispetto della privacy dell’adolescente.”

Come affrontare il tema dell’autolesionismo con l’adolescente in terapia, senza rischiare di banalizzare il suo gesto o di incoraggiare comportamenti imitativi? 

“La psicoterapia, in quanto spazio privato, di elaborazione del significato personale espresso dal sintomo in relazione alla storia del soggetto e alle vicende attuali che lo coinvolgono, si configura piuttosto come un fattore protettivo rispetto a questo tipo di rischi. Il problema si presenta maggiormente quando si tratta di affrontare il tema dell’autolesionismo con gruppi di adolescenti, per esempio a scuola o nei contesti educativi. In queste occasioni andrà posta molta attenzione alla rilevazione e al rispetto delle situazioni individuali potenzialmente sensibili, e ad evidenziare nell’intervento la dimensione sempre soggettiva del dolore che alimenta questi comportamenti, evitando sia generalizzazioni che atteggiamenti troppo enfatici”.

Come l’uso dei social media, in particolare Instagram e TikTok, influenza la percezione del corpo e il comportamento autolesivo degli adolescenti?

“Nella società attuale, in cui le immagini sono così importanti sia per esprimere che per produrre valore, il corpo ha uno statuto particolare, è sovraesposto. Si tratta di un fenomeno che non riguarda solo gli adolescenti: liberato dal peso del lavoro fisico e degli stereotipi sessuali, il corpo sembra aver assunto per molte persone il valore di un accessorio estetico, da perfezionare ed esibire, come un vessillo identitario. Non ne sono responsabili solo i social: è un processo complesso che coinvolge la funzione del limite, di cui la fisicità del corpo è testimonianza concreta e incarnata. Gli adolescenti sono fisiologicamente insofferenti a limiti e restrizioni, e per questo l’espansione potenzialmente illimitata del Sè offerta dall’esperienza virtuale è loro particolarmente congeniale. Gli adolescenti usano i social come una piazza virtuale, in cui confrontarsi, sperimentarsi, mettere alla prova l’immagine che vogliono proporre di sè cosi come le relazioni e legami. Le dinamiche che si creano sono molto potenti e spesso allarmano gli adulti che non ne hanno il controllo, ma questo non significa che siano  per forza dannose. E’ improprio ritenere che ci sia un collegamento diretto tra l’uso massiccio dei social e l’impulso a farsi male: i ragazzi che si tagliano esprimono con questo gesto una sofferenza interiore profonda e molto personale. Magari alcuni di essi cercano effettivamente rispecchiamento e sostegno sui social; tuttavia una lettura che attribuisca in modo prevalente al condizionamento esterno l’origine degli atti di autolesionismo di appare psicologicamente infondata”

Quali sono i rischi e le opportunità dell’utilizzo dei social media nella prevenzione e nel trattamento dell’autolesionismo in adolescenza?

“Quasi sempre dove ci sono fenomeni in rapida trasformazione ci sono dei rischi ma, appunto, anche grandi opportunità. Credo che la velocità e la capillarità con cui i social raggiungono un numero molto ampio di persone, e la possibilità che offrono di individuare e rispecchiare bisogni anche molto specifici, costituiscano delle grandi risorse che possono essere sfruttate per la prevenzione, come numerose campagne di sensibilizzazione e found raising già dimostrano. Soprattutto, l’immediatezza della comunicazione virtuale offre grandi potenzialità rispetto all’intercettare e rispondere precocemente al bisogno di ascolto degli adolescenti. Per citare solo due esempi banali, non c’è psicologo o terapeuta di adolescenti, oggi, che non sia in grado di valutare se e come usare la chat su whatsapp o la seduta online come strumenti potenzialmente preziosi per accogliere le richieste più urgenti dei ragazzi in difficoltà, in modo complementare e per nulla sostitutivo rispetto alla ricchezza e profondità del colloquio in presenza”.

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