ATA da Avellino a Brescia: “Ho lasciato giù mio figlio di un anno, sono caduto in depressione. L’obiettivo ora è il ruolo”. La storia di Michele

Michele Contino, 33 anni, assistente tecnico supplente a Rovato, provincia di Brescia, nel 2021 ha lasciato il figlio di poco più di un anno nell’Alta Irpinia, provincia di Avellino, per iniziare a lavorare come ATA a scuola.
“Avevo deciso di fare domanda come ATA per trovare un lavoro stabile. Con un figlio non potevo più permettermi lavori saltuari per guadagnare 700-800 euro al mese. Ho fatto l’autista, il pizzaiolo, il cameriere, il becchino, ho lavorato in fabbrica. Ho iniziato a lavorare da quando ero ragazzino. In Irpinia ci sono poche possibilità, se non scegli la strada della malavita devi darti da fare. Io ho scelto la seconda, ma per portare un gruzzoletto a casa ero costretto a fare mille mestieri. Nel frattempo mi sono laureato in scienze pedagogiche, anche se poi lavoro non ce n’era” racconta il giovane ATA a Orizzonte Scuola.
“Nel settembre 2021 mi è arrivata la convocazione come supplente e ho deciso di partire. Mio figlio aveva compiuto un anno il 5 giugno. E’ stata dura. Le prime notti ho dormito in macchina. I colleghi mi hanno aiutato e ho trovato una sistemazione provvisoria in un b&b, poi a dicembre sono andato a vivere con altri due coinquilini per risparmiare. Con 1.300 euro non c’erano molte scelte. Tuttora condivido l’appartamento. Per forza devo fare così, altrimenti non posso prendere i biglietti per andare da mia moglie, che fa l’insegnante giù, e mio figlio. Il sabato sera e la domenica, per arrotondare, faccio altri lavori. Lo stipendio non basta qui” spiega Michele.
“Lasciare mio figlio così piccolo a casa da solo con la mamma è stata difficile. I primi mesi ero concentrato sulla novità e non ho avvertito tanto il colpo. Poi a novembre ho iniziato a realizzare che prima di 4-5 anni non sarei potuto tornare se avessi voluto fare questo lavoro, e mi è caduto il mondo addosso. Sono andato in depressione e volevo gettare la spugna” ricorda.
“Il pensiero di tornare alla vita di prima e di non poter dare un futuro stabile a mio figlio, oltre alla terapia psicologica, mi hanno spinto a continuare. Pensavo a mio figlio a scuola e alle domande che avrebbero potuto fargli sul mio lavoro, sarei stato un papà di tanti mestieri, e questo non lo volevo. Dovevo stringere i denti ed eccomi qui. Ora aspiro al ruolo, aspetto la domanda per le 24 mesi e spero di farcela già quest’anno così potrò fare domanda di mobilità il prossimo anno”.
“La distanza da mio figlio – dice con tristezza Michele – è forse peggio adesso, perché finché era piccolissimo non capiva tanto, ora invece che ha quasi 4 anni sente di più la mia mancanza. Ieri sono partito, dopo le festività pasquali, e l’ho fatto quando lui dormiva ancora. Spesso parto quando lui dorme per non fargli vedere che me ne vado. Nonostante tutto ogni volta che parto per l’intera giornata, almeno, chiede dov’è il papà. Anche le maestre se ne accorgono quando parto perché lui è nervoso e agitato. Purtroppo è così”.
“Per fortuna riesco ad andare spesso giù, tra congedi e 104 di mio padre, che ha bisogno di assistenza. Cerco i biglietti più economici, ad esempio parto la domenica anziché il sabato. Stavolta sono partito la domenica delle palme. Il mio obiettivo principale adesso è il ruolo come assistente tecnico, ma mi piacerebbe diventare DSGA” conclude Michele.