Ansia da matematica, “non è colpa dell’insegnante, né dell’alunno e neppure della famiglia. Vi spiego da cosa dipende”. INTERVISTA alla docente Roberta Serravall

“Quello che si nota, quando gli alunni arrivano a scuola media, è che secondo loro alla primaria avevano già fatto tutto. Ma di quel tutto sono poche le cose che hanno consolidato bene”. E ancora: “Il problema grande è l’ansia per la sconfitta. Oggi i bambini e i ragazzi non hanno più il senso della sana sconfitta, quella per cui se non riesco a fare una cosa ci provo e ci riprovo finché non ci sarò riuscito”.
Roberta Serravall, insegna Matematica e scienze presso la Scuola Media “Ferraris” di Modena. Una laurea in Fisica e un dottorato in Ingegneria fluidodinamica, un master di secondo livello per la formazione degli insegnanti di matematica, già referente della valutazione, Serravall interviene con questa intervista sul tema dell’ansia da matematica che secondo alcune ricerche pare pervada la serenità di un buon numero di studenti italiani. Un’ansia che si accompagna, non si sa se con un rapporto di causa ed effetto, “all’ansia da prestazione di molti docenti, in tutti i gradi di istruzione – precisa la docente – che vogliono aver fatto tutto il programma” e al contenuto pletorico, sovrabbondante dei libri di testo: “I libri – conferma lei – riportano troppe cose. Una volta c’era un libro di scuola media per l’aritmetica e l’altro di geometria che riassumevano tutto il programma dei tre anni. Ora ci sono due libri per ognuno dei tre anni e a volte alcuni i docenti li seguono pedissequamente fino al punto che gli alunni non riescono a fare a scuola lo devono poi fare a casa”.
Ma torniamo alla ricerca. L’ansia da matematica – come abbiamo riferito nei giorni scorsi – è una forma specifica di ansia che si manifesta quando si deve affrontare questa disciplina. Secondo uno studio, condotto su 100 studenti della scuola superiore, un elevato livello di ansia matematica è correlato a peggiori performance nei test matematici. Gli studenti con livelli alti di ansia hanno ottenuto punteggi significativamente inferiori rispetto a quelli con ansia bassa. Il 42,47% degli studenti non ha mostrato miglioramenti, con un calo da 17,03 a 14,87 punti, sottolineando l’importanza di affrontare l’ansia matematica per favorire l’apprendimento. Lo studio ha utilizzato la Battery for the Assessment of Calculation Ability, un insieme di test utilizzata comunemente nelle scuole italiane per valutare le competenze matematiche degli studenti, e la Abbreviated Math Anxiety Scale (AMAS) per misurare i livelli di ansia matematica.
I risultati della ricerca suggeriscono che l’ansia da matematica non è solo un problema individuale, ma anche un problema che può essere influenzato dal modo in cui la matematica viene insegnata e presentata. Gli stereotipi culturali e il contesto familiare possono anche giocare un ruolo importante nell’influenzare l’ansia da matematica. Secondo Gian Franco Lanfaloni, uno degli autori dello studio, come abbiamo riferito, “i nostri dati non implicano che l’ansia sia l’unico fattore coinvolto nell’influenzare negativamente le prestazioni in matematica. Certamente, il ruolo degli insegnanti e del contesto familiare non può essere trascurato”. Lo studio suggerisce che è importante affrontare l’ansia da matematica per favorire l’apprendimento e migliorare le prestazioni degli studenti nella matematica.
Professoressa Roberta Serravall, lei insegna matematica e gli alunni hanno ansia da matematica. Come la mettiamo?
“L’ansia della matematica è una cosa molto ampia. Insegno nella scuola secondaria di primo grado e dunque non parlo per la scuola primaria, tuttavia vedo ogni anno ragazzini che arrivano da lì”.
E che cosa vede?
“Gli alunni della primaria non hanno ancora sviluppato il senso della logica. Sono pochissimi quelli che hanno il senso della logica poiché alcuni lo sviluppano anche a cinque anni oppure a otto. Ma la maggioranza di loro lo sviluppa verso i 13 anni. Io vedo solo in terza il fatto che abbiano davvero sviluppato il senso di logica, anche se questo non esclude che alcuni ci arrivino prima e alcuni dopo”
Faccia un esempio concreto in merito al senso di logica non acquisto
“Ad esempio alla primaria si affrontano i problemi, ma quando una maestra assegna un problema l’alunno deve affrontarlo con dei processi logici e non tutti ci riescono. Questo crea una frustrazione per cui i ragazzi pensano di essere stupidi e di non essere in grado. A casa magari non hanno nessuno che li aiuti – ma non dovrebbe essere questa la soluzione – e questo peggiora la loro ansia da prestazione, tanto che alla fine dicono: io per la matematica non sono portato. E anche molte famiglie ripetono questa cosa: mio figlio non è portato per la matematica”
E non è così?
“Secondo me no. Se si lavorasse in un determinato modo, dando a ognuno lo strumento per affrontare il problemino, tutti ci riuscirebbero in base alle proprie possibilità. Il problema è anche dovuto al fatto che alla primaria si fa troppo. I programmi della scuola primaria comprendono cose che dovremmo fare noi alla scuola secondaria, non dovrebbero farle loro”.
Ad esempio?
“A esempio le potenze, o le frazioni. Un conto è che io faccia dividere la torta in tante porzioni, un altro conto è che faccia fare operazioni con le frazioni e con le potenze. Quello che si nota, quando arrivano alle medie, è che secondo loro hanno già fatto tutto, ma di quel tutto sono poche le cose che hanno consolidato bene. Non parlo di singoli insegnanti, ma tante volte c’è l’ansia di prestazione di alcuni docenti – e questo si verifica in tutti i gradi d’istruzione, che alla fine dell’anno vogliono aver fatto tutto. Probabilmente è quello che è scritto nelle Indicazioni nazionali per il Curricolo”.
Lei dice che questo non succede solo alla primaria.
“La stessa cosa la vedono gli insegnanti delle superiori guardando agli studenti appena arrivati dalle medie: hanno fatto tutto e invece mancano proprio le basi”.
Torniamo ai libri di testo
“I libri riportano troppe cose. Una volta c’era un libro di scuola media per l’aritmetica e un altro di geometria. Riassumevano tutto il programma dei tre anni. Ora ci sono due libri per ognuno dei tre anni. A volte alcuni i docenti seguono pedissequamente i libri e quello che non riescono a fare a scuola lo fanno fare a casa. Certo, dipende dalla tipologia del docente”.
E’ una questione legata alla formazione, secondo lei?
“La formazione che viene fatta all’interno del sistema scolastico conta molto, ma conta molto la componente personale. Un insegnante di scuola media non sempre è laureato in matematica, o in fisica o in ingegneria. Può essere laureato in biologia, scienze agrarie, geologia. Tutti noi sappiamo che alcuni insegnanti sono accaniti sul programma mentre altri sono più tranquilli, in tanti del resto ricordano gli insegnanti che ti hanno passato la passione per la materia”.
Torniamo all’ansia degli alunni
“Il problema grande per l’ansia è la sconfitta. Oggi i bambini e i ragazzi non hanno più il senso della sana sconfitta per cui se non riesco a fare una cosa ci provo e ci riprovo finché non ci sarò riuscito: loro ci provano solo una volta e poi o riescono oppure dicono: ci rinuncio. C’è una sorta di indolenza. Io dico sempre a i miei studenti che la matematica è come un puzzle, è composta da tanti pezzi che messi in fila fanno un tutt’uno. Se perdi un pezzo, finché non lo recuperi – e devi capire qual è il pezzo mancante – il puzzle non lo finisci. Questo è uno dei motivi per cui un insegnante spiega e rispiega fin quando, dopo tante esercitazioni, alla fine molti ci riescono. Però c’è la parte di ragazzi più indolenti che si lascia abbattere e il compito di matematica è una tabula rasa. Loro guardano il compito, magari saprebbero farlo. Ma o uno si mette lì con loro e pezzo a pezzo lo fanno, oppure da soli non vanno avanti”.
Non si può però dire che la matematica non sia una disciplina obiettivamente difficile, impegnativa.
“Certo, ci sono i passaggi di difficoltà della matematica. Ad esempio, fin quando si trattano i numeri interi non c’è nessun problema. Ma nel momento in cui devono passare al calcolo frazionario, e non hanno imparato quelle regole, si piazzano sul voto basso e da lì in poi, visto che tutto si basa sul calcolo frazionario, se non avranno imparato le regole il voto sarà sempre insufficiente perché l’esercizio non lo fanno”.
E cosa fanno invece?
“Applicano le regole che s’inventano al momento, molti tirano regole a caso. E questo diventa un ulteriore fallimento”.
La responsabilità di tutto questo di chi è? Dell’insegnante o dell’alunno?
“Non è dell’insegnante, né dell’alunno e neppure della famiglia”.
Di qualcuno sarà.
“Il problema è il metodo di studio. Perché se i ragazzi torna a casa e rivedono quello che hanno fatto, alla fine prima o poi ci riusciranno. Se invece passano il tempo a stare su TikTok e il lavoro non lo svolgono, se praticano tutto lo sport del mondo, se devono svolgere molte attività, se passano il tempo sui videogiochi fino a notte fonda, se stanno sempre fuori con gli amici, ecco, allora si perde quella costanza e quella abilità per cui applico la regola e risolvo il problema. Ripeto talvolta un esempio ai miei studenti. Un allievo che va dal maestro di musica impara un brano, impara a leggere la musica sullo spartito, il maestro glielo insegna, la volta dopo ripetono e ancora la volta successiva perché c’è un concerto. Dopo due mesi, se il ragazzo va al concerto senza averlo mai provato e riprovato cento volte, è chiaro che al concerto sarà un flop: non riuscirà. Prima devi imparare la tecnica, poi devi affinare il risultato, devi fare uscire la tua creatività, devi riuscire a risolvere un problema. Il problema grande è la costanza. Quanto ci tengo ad arrivare a un risultato positivo? Stabilito quello, mi applico di conseguenza. Ma se non mi applico, non si arriva a nulla”.
Anche questo conduce all’ansia?
“La cosa che noto sempre più è la rinuncia perché non sono capace. E lì ci può entrare anche il ruolo della famiglia che dice che la materia è difficile e che la colpa è dell’insegnante. E’ ovvio che c’è una caratteristica della materia, e che per potere arrivare a certi risultati devo impegnarmi molto. Ormai c’ è l’idea che nella nostra società tutti possono fare tutto, ma è anche vero che se uno non ci vede l’aereo non lo può pilotare. Se però uno ha la forza della costanza allora può riuscire meglio di altri. Ho visto tante persone che nella vita erano intelligenti e che però non si applicavano. E’ vero anche che uno che nasce con una predisposizione se non affina certe tecniche non arriva mai a un risultato, al contrario di altri che hanno difficoltà ma che a testa bassa raggiungono i risultati a differenza di altri che si sono persi prima. Quindi l’ansia da prestazione della matematica dovrebbe essere affrontata con una sinergia tra le parti, dove lo studente cerca di superarla non arrendendosi al primo ostacolo. Da parte sua, l’insegnante cerca di dare i mezzi per appassionarlo un po’ di più e la famiglia non mette l’ostacolo sostenendo che è stupido o non è portato o è un genio e non lo capiscono. No, occorre invece dare un po’ di fiducia ai ragazzi e spronarli a fare meglio”.
Ma è proprio indispensabile insistere con la matematica se la matematica proprio non vuole entrare in testa, come tanti dicono?
“Se il ragazzo non risponde alle sollecitazioni non è che senza matematica si muore: se uno non vuole non è che lo puoi costringere. Non è che per essere un padre o una madre, un lavoratore o una lavoratrice o altro, devi andare bene in matematica. Se proprio non ti va di studiarla o hai difficoltà più grandi di te, te ne farai una ragione. Ma è brutto quando si parte con un pregiudizio. Mi sono arrivati dei ragazzi che in seconda dicevano: non è per me. Poi però in terza si sono messi in gioco e alla fine sono andati al liceo scientifico. Io vedo casi rari di ragazzi che non potrebbero andare allo scientifico. Con un po’ di impegno ci si riesce. Solo due o tre ragazzi per classe potrebbero avere delle difficoltà oggettive facendo studi scientifici o tecnici ma anche loro verso i sedici anni potrebbero assumere una capacità di miglioramento perché crescono e perché affinano il senso di logica e perché maturano l’amor proprio per ottenere risultati desiderati”.
Però intanto voi docenti li bocciate
“Ci sono dei docenti che dicono che la bocciatura sia una opportunità che si dà allo studente per rimettersi in gioco l’anno dopo o per indurli a scegliere un altro tipo di scuola. Per me tenerlo un anno in più a scuola media serve solo se il ragazzo ha delle esigenze legate all’immaturità o se è un modo per tutelarlo da problematiche che esulano dalla materia e dunque per dargli delle spalle più forti. Oppure nel caso di ragazzi che per un anno non abbiano frequentato la scuola. Per il resto invece sono per non bocciare a scuola media, è un mio principio. Ovviamente io cerco di fare il massimo, abbiamo corsi di recupero in continuazione e non sempre le famiglie sono disposte a mandarli, perché c’è il calcio o perché c’è l’insegnante privato che li segue in tutte le materie. Mi è capitato di avere degli alunni che dicono di no perché i genitori non li mandano o perché hanno impegni, sebbene i corsi siano gratuiti e tenuti da professori di matematica interni alla scuola”.
Quanto incide sull’ansia la valutazione e quanto l’ansia potrebbe essere ridotta operando con trasparenza sulla valutazione?
“A livello di valutazione è importante l’autovalutazione. Quando consegno la verifica, prima di dargliela la vediamo insieme in tutti i punti, per ogni cosa che fanno c’è un punteggio. Sanno che se fanno una cosa è un punto e se non l’hanno fatta è un punto in meno. Io do il compito per capire se hanno compreso quello che abbiamo fatto. Quando porto i compiti li analizzo con loro. Io do la verifica, la correggiamo insieme ma non do il voto, dico: segnatevi gli errori che avete fatto, poi io pubblico la verifica corretta e loro confrontano la loro verifica con quella che ho fatto io, cioè con quella che andava fatta. Anche i ragazzi che hanno fatto bene dico loro di provare a farlo nella metà del tempo. Chi vuole, il processo di miglioramento lo può fare. Bisogna lavorare con loro e devono capire come sono valutati e su cosa sono valutati. Se io spiego il quadrato e poi do la verifica sul cerchio è chiaro che sarà un fallimento. E’ una questione di trasparenza, non è per fregarli. Parlare con i ragazzi della valutazione è importante. Tutto questo riduce l’ansia: perché quando uno sa bene qual è il tipo di verifica, sa quali sono gli argomenti, si è già esercitato su problemi simili, ha calcolato il tempo per ogni esercizio, in quel caso non c’è un salto verso il buio. Dev’essere tutto chiarito, limpido e trasparente”.
La palla torna dunque nel campo degli insegnanti
“Ci sono problemi di formazione dei docenti. E’ come se andassi a fare una scuola per falegnami e mi chiedessero di fare un tavolo in radica di noce. Bisogna insegnare le tecniche: prima sego i pezzi, poi li incollo, poi metto i chiodi, poi la sagoma, inizio a scartavetrarli, li lucido, poi ci metto la radica e infine la lucido. Non si devono saltare i passaggi, occorre lavorare insieme ai ragazzi, bisogna strutturarli, dare dei formulari, insegnare a usarli. Se invece io butto delle formule lì e lascio che si organizzino, o a casa c’è qualcuno che li aiuta – e non dovrebbe essere questa la soluzione – oppure non ci riescono e così i soliti indolenti si perdono il formulario e quando devono fare i compiti a casa non sanno cosa sia”
Gli alunni nel tempo sono peggiorati, secondo lei?
“Mediamente sì. Vediamo ancora gli effetti del Covid ma peggiora la tendenza a rinunciare. Invece di affrontare la sfida e le difficoltà si tende a rinunciare, a gettare la spugna. Molti dicono: ma tanto, anche gli altri vanno male, e ci si adagia sul livello minimo invece di lavorare ispirandosi a quelli che cercano di migliorare. Oggi si verifica molto meno, rispetto a quanto succedeva invece in passato, che gli alunni bravi vengano scherniti per declassarli all’interno della classe. Questo, negli ultimi anni, non li tocca proprio. Vediamola anche come positiva, questa novità, nel senso che in classe non peggiora il clima, in realtà è negativa perché è sintomo di indolenza e perché indica che non c’è aspirazione al miglioramento. Mio padre diceva sempre: meglio essere l’ultimo dei primi che il primo degli ultimi. Non bisogna fare il leader di quelli che non arrivano a niente”.