Anno di prova: troppi test e procedure. Ministro, si potrà cambiare qualcosa? Lettera
Inviato da Pietro Viola – Ho molto apprezzato la sua tempestiva correzione da “umiliazione” ad “umiltà”, di cui condivido l’importanza attribuita alla forma-linguaggio quale contenuto di definizione della realtà e delle prassi che giocoforza ne derivano.
Credo non possa non convincere, circa il valore dell’umiltà quale deterrente alla corsa in atto verso l’annullamento di limiti e confini, e la conseguente riduzione di libertà, l’umiltà che ravviso in tale atto, e che sento non solo politico ma anche personale, di correzione.
Penso Lei possa convenire che è questo l’unico vero modo per favorire l’acquisizione di conoscenze e l’accrescimento della responsabilità di sé in un contesto educativo: parlare non di ciò che altri sono tenuti a fare, mantenendo le distanze, ma mostrare con immediatezza attraverso sé ciò che è possibile, svegliando inevitabilmente il desiderio di fare altrettanto.
Voglio pertanto chiedere un Suo parere circa ciò che sento sulla scuola di oggi.
Valanghe di moduli e documenti che congelano e riducono la relazione educativa in format che tutto descrivono e niente contengono (e dove finisce la creatività che dovremmo stimolare negli studenti?); segmentazione e parcellizzazione di aspetti procedurali (formazione) che dovrebbero invece essere globali e non riducibili per essere efficaci; confusione crescente di piani e livelli (chi è il genitore? chi il figlio? chi lo studente, il docente, l’amico, e quando, perché, e dove?); marketing e progetti, progetti, progetti, e tonnellate di sigle, pifponudaptof…., che aumentano esponenzialmente e cambiano continuamente nome (forse perché nessuna serve davvero ad evitare che uno studente delle scuole superiori non sappia oggi descriversi, leggere le proprie emozioni, accettare l’errore, sentire la verità di sé e dell’altro, in definitiva tirare fuori il coraggio di entusiasmarsi di fronte ai perigli della scoperta di mondi nuovi e di nuovi orizzonti). E la tirannia paradossale dei voti, e famiglie disposte a far ammalare figli sani pur di avere la certificazione che garantisce l’ottimo, e l’attenzione apparente al valore della diversità, quando il diktat imperante è che nessuno può sbagliare, che si è tutti sotto giudizio costante, che i ragazzi del liceo sono di default migliori di quelli del professionale. Eccetera eccetera eccetera.
Non mi fraintenda Ministro, La prego. Io sono entusiasta del mio lavoro, cui dedico tutto me stesso; cerco di non risparmiarmi, perché penso, mi perdonerà se lo ripeto, che è l’unico modo attraverso cui i miei studenti possono smettere di avere paura e di dare a loro volta tutto, ciascuno giusto così com’è. E perché penso che senza passione questo lavoro non può convincere nessuno, intanto me stesso, meno che mai i ragazzi, che sono oggi sì fragili, sì spaesati, sì confusi, ma mantengono sempre dritte le antenne, che spesso si spezzano più avanti negli anni, verso la possibilità, verso qualcuno che sappia riconoscerli e apprezzare ogni singolo minimo sforzo messo in atto per imparare.
Penso anche che, qualsiasi sia la situazione ambientale, la differenza la fa sempre la singola persona, il singolo atto, la singola decisione. E ne conosco tanti di colleghi che non si risparmiano, che navigano tra le carte e le sigle mantenendo sempre la barra puntata verso i ragazzi.
Ne conosco tanti altri che si sono arresi.
Io non voglio arrendermi.
Ed ecco la mia domanda. Pensa possa avere senso, parlando di questo anno di prova che sto facendo, invece che questa pletora di format, e procedure, e richieste di dimostrare, e test, e valutazioni, e scadenze, e quant’altro, ipotizzare una situazione in cui qualcuno mi chieda a voce, all’interno di una relazione, qualcosa come “Ok, sei nell’anno di prova. Cosa ti piace di te? Cosa pensi di saper fare bene, e cosa meno? Tranquillo, in quello che sai fare meno o meno ti piace c’è tutto il valore di ciò che alla fine dell’anno arricchirà ciò che già hai, ciò che sei. Vieni con me e lavoriamo”.
Io non voglio sottrarmi a niente. Voglio essere valutato continuamente. E questa valutazione la trovo nei progressi o nei regressi dei miei alunni, verso i quali posso essere convincente solo se anch’io sono convinto che non devo per forza dimostrare sempre, vincere sempre, non chiedere mai niente, sempre afferrare. Solo se sono umile.