Annie Ernaux. La donna gelata. L’Orma Editore (2021)
Fossimo su un treno che stride e sibila sulle rotaie poco prima dell’arresto e qualcuno mi dovesse chiedere di racchiudere in poche parole il senso del romanzo di Annie Ernaux, “La donna gelata”, direi che è come cercare la rima giusta tra nostalgia e libertà. Ma mi sembrerebbe di non aver detto a sufficienza, perché in questo romanzo si racconta di una bambina selvatica, di un’adolescente piena di domande e di una giovane donna che cresce negli anni in cui Simone De Beauvoir dà alle stampe “Secondo Sesso”.
L’anelito alla libertà semmai fa pendant con lo struggimento che s’impossessa di questa donna che nel frattempo è diventata sposina e si trova a fare i conti con le incombenze casalinghe e con la nascita del primo figlio.
È un inanellarsi di riflessioni intorno alla condizione deprivata di una donna tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, durante i quali le traiettorie esistenziali erano descritte dal ruolo che si era chiamati a incarnare dentro una società che rigidamente separava i generi, codificava le loro aspirazioni e i loro bisogni.
“Il manifesto di una crema solare, certo. Ma sentivo che io non sarei mai più stata una ragazza in riva al mare, che sarei scivolata in un’altra pubblicità, quella della giovane casalinga indaffarata e sempre sorridente delle réclame dei detersivi. Tra la prima e la seconda immagine c’è la storia di un apprendistato che mi ha rimodellata”
Scrittura magistrale, quella di Annie Ernaux, priva di metafore, snocciola il susseguirsi di piccoli accadimenti dentro i quali accade che cresca in noi quell’inquietudine senza nome che forse è la stessa che ti assale quando sai di non aver prestato orecchio ala vocina del tuo daimon.
E la voce narrante cresce, indomita e addomesticata al contempo, nel tentativo disperato di conservare quella libertà che ha contraddistinto la prima parte della sua vita, quando l’impronta familiare, soprattutto quella di una madre energica e sincera, determina una volta per sempre il sentimento che si coltiverà della vita.
La traduzione di Lorenzo Flabbi è inappuntabile: lessico e sintassi sono magistralmente resi, tant’è che ci si dimentica che è stato scritto in un’altra lingua e per tutta la durata della lettura si ha l’impressione di essere dentro una storia nostrana, eccezion fatta per i nomi.
Perché il destino di Annie è il medesimo che ha atteso milioni di donne nel corso del tempo, non di tutte, semmai di quelle che, al pari dell’autrice, hanno cercato di non soffocare mai del tutto la loro voglia di libertà e di indipendenza e che la signora Ernaux ha ri-trovato in una scrittura densa, porporina e scabra che non fa sconti a chi, invece, si arrende.
I testi recensiti sono stati offerti dalla Libreria Cortina di Milano