“Anche il Nilo commette errori, ma non tutti gli errori sono sbagli”. Intervista a Enrico Galiano

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L’adolescenza e le sue criticità, ne abbiamo parlato con Enrico Galiano, docente e scrittore.

Professor Galiano, nel suo ultimo romanzo “Una vita non basta” lei dà voce ad un ragazzo in sofferenza, Teo, che non riesce a comprendersi e che commette una serie di sbagli che lo stanno portando verso una cattiva direzione. Quello della difficoltà degli adolescenti è un aspetto che ha trattato anche in altri romanzi. Cosa la porta a centrare la sua scrittura su questo tema?

In realtà non lo so, nel senso che non è una decisione presa a tavolino, ma è qualcosa che viene da sé. Cerco semplicemente di raccontare quello che vedo, quello che un po’ è il mio mondo. Alla fine sono abbastanza fedele alla teoria del “scrivi di ciò che sai e conosci” e questo è il materiale su cui posso esprimermi di più perché è quello che conosco meglio per quanto in realtà lo conosca pochissimo.

Come docente ha una visione diretta sui suoi studenti, può essere questo un aspetto che la porta a riflettere su queste tematiche e quanto è importante per un docente osservare la propria classe?

Direi che è tutto, nel senso che l’osservazione è alla base di tutto il lavoro, altrimenti basterebbe mandare un computer in classe o trasmettere dei video. Questo per dire che al primo posto c’è la relazione, il rapporto personale e quindi anche l’osservazione e l’ascolto. Questo perché anche loro osservano tutto, registrano tutto e sono veramente molto attenti a captare l’umore, la pettinatura, come uno si veste e si comporta. Perciò si deve partire dalla costruzione della relazione e solo dopo possiamo cominciare a parlare della grammatica, della geografia, della letteratura e della storia.

Lei accennava alle materie, però a scuola l’errore è visto in maniera negativa, i nostri alunni non dovrebbero mai sbagliare, quando invece sappiamo che chi impara incorre inevitabilmente nell’errore. Lei, al recente convegno del CPP, ha paragonato l’apprendimento al percorso del fiume Nilo, ce lo spiega?

Quello che cerco di divulgare è l’idea dell’errore come risorsa e quindi uso la metafora del Nilo per spiegare questo concetto. Il Nilo, come ogni fiume al mondo, segue un percorso molto tortuoso e quindi fatto di molti errori: inizialmente sembra andare verso il Mar Rosso, ad un certo punto poi cambia idea e punta verso l’Atlantico e poi di nuovo cambia ancora idea fino a sfociare nel Mar Mediterraneo; questo per dire che non tutti gli errori sono sbagli, si può riassumere così il concetto, a volte gli errori ti portano esattamente dove dovresti essere e a scuola possono essere davvero una risorsa, perché è attraverso l’errore che si formulano le scoperte. Il metodo scientifico si basa su questo, su esperimenti ed errori che si susseguono fino a che non si riesce a trovare la giusta spiegazione ad un fenomeno. Da questo punto di vista non faccio niente di nuovo, cerco solo di liberare il concetto di errore dal concetto di colpa, dal concetto di stigma, che spesso viene percepito dagli studenti, almeno per come ho vissuto la scuola da studente. L’errore è quel qualcosa che ti mette lì nell’angolo di quelli che non sanno fare, invece li dovremmo mettere nell’angolo di quelli che sanno come si fa, perché solo sbagliando si riesce ad acquisire conoscenza.

Torna il Professor Bove, docente di filosofia, un personaggio che nei suoi libri viene amato e odiato. In particolare quella del Professor Bove non è una filosofia nozionistica, ma di scoperta, che porta gli studenti a porsi le giuste domande per scoprire le proprie potenzialità. È corretta questa interpretazione e le chiedo se sarebbe la figura da seguire per tutti i docenti.

Mettiamo subito in chiaro una cosa, scrivere un libro è diverso rispetto ad essere nella realtà. Il Professor Bove ha il grande vantaggio rispetto a noi di essere sulla carta e lì le cose vanno in un certo modo, questo per dire che come personaggio è un po’ una sorta di supereroe che riesce a fare cose che noi comuni mortali non riusciamo a fare, in particolare riuscire ad insegnarti ciò ce ti vuole insegnare ma senza dirtelo, cioè fa in modo che ci arrivi tu da solo attraverso tante domande, tanti racconti, tante riflessioni, in questo modo è sempre Teo, così com’era Gioia nella serie di “Eppure cadiamo Felici”, che arrivano poi alle proprie risposte ed è una delle cose più difficili al mondo. È il metodo socratico e anche Socrate ci riusciva perché era sulla carta, non è dato sapere come funzionava il vero Socrate.

Quando un ragazzo sbaglia la scuola lo espelle, quando invece sarebbe necessaria una maggiore azione educativa. È quello che lei ha proposto con la relazione tra Teo e il Professor Bove, è corretto?

Non credo che la scuola espella nessuno, la scuola però, verso alcuni studenti, ha un’azione respingente, questo sì. Nel senso che la scuola non espelle nessuno, però ad un certo punto tanti ragazzi perdono la motivazione, perdono la voglia di andarci, come succede al personaggio di Teo e come è successo a tanti che ho incontrato nella mia vita sia di insegnante che di scrittore. Questo succede quando la scuola si dimentica di spiegare il senso di quello che fa, diventa mera trasmissione di saperi e tratta i ragazzi come vasi da riempire, invece gli studenti sono fuochi da accendere e questo è quello che il Professor Bove cerca di fare, di riaccendere quel fuoco. Poi ovviamente generalizzare è sempre molto pericoloso, di sicuro possiamo però guardare i numeri e i numeri purtroppo ci dicono che uno studente ogni dieci non finisce gli studi, questo è un grande campanello d’allarme che ci dovrebbe far riflettere sul perché succede, non dobbiamo semplicemente arroccarci dietro le tante giustificazioni che ci diamo sempre, anche se sono vere, come la scuola con stipendi bassi e con classi sovraffollate, ma chiediamoci se invece non sarebbe il caso di cambiare il modo di pensarla, ovvero non più incentrando tutto sulle nozioni ma creando prima le relazioni e poi le nozioni.

Tramite la voce del Professor Bove lei parla del mondo greco come modello educativo, in particolare mi ha incuriosito la figura del Daimon che può avere un’interpretazione negativa e una positiva, ce la spiega?

La parola demone ha un doppio significato in italiano, si chiamano enantiosemie le parole che possono significare, nello spettro del positivo e negativo, sia l’estremamente positivo che l’estremamente negativo. Il demone, infatti, nel mondo greco è una specie di angelo custode che suggerisce la strada da percorrere ed in particolare la strada da non percorrere. Poi però nel mondo cristiano il demone diventa qualcosa di estremamente negativo, un qualcosa da scacciare e tenere lontano. Nel libro il Professor Bove cerca di far capire a Teo che il demone è sia l’uno che l’altro, non è solo una delle due cose, e diventa demone negativo quando non lo ascoltiamo e non ci facciamo guidare da lui. Quando lo reprimiamo e lo comprimiamo troppo nel silenzio ecco che poi si ribella, e quando lo fa non è mai in un modo positivo, specie quando siamo molto giovani, e gli esempi sono tanti. Nel libro ho parlato di un ragazzo immaginario ma che in realtà non è affatto immaginario, perché sono tanti i ragazzi che vanno da un estremo all’altro o che si chiudono totalmente in sé stessi, che cercano di scappare dal mondo oppure cercano esperienze molto forti per spostare l’asticella più in alto, a volte mettendo a rischio anche la propria vita, proprio perché non hanno avuto modo di dare al loro demone la possibilità di esprimere la propria voce.

Un’ultima domanda. Si parla spesso di ragazzi fragili, di una gioventù che non riesce a trovare la propria dimensione, ma certamente anche la famiglia ha un grosso problema e anche nei suoi libri spesso le famiglie di questi ragazzi sono rappresentate come famiglie “rotte” che non danno punti di riferimento e i figli sono sballottati. A questo punto le chiedo come è possibile far crescere figli sani in questo mondo che non dà punti di riferimento.

In realtà è proprio così. Parto dal dire che ci sono tanti aspetti positivi nel nuovo modo di essere genitori e di cui non si parla mai o poco, ad esempio del fatto che oggi c’è più dialogo fra genitori e figli rispetto al passato, c’è più condivisione di esperienze e questo ha una grande ricaduta positiva sugli aspetti psicologici e sul creare una grammatica delle emozioni. Però ci sono anche degli aspetti negativi, per esempio il fatto che si è dilatato il tempo dell’adultità, nel senso che si denta adulti molto più tardi, e questo per un ragazzo può creare tanta disconnessione, fragilità e incertezza. Ti manca quel punto di riferimento dell’adulto, magari anche solo come adulto da contrastare, anzi a volte è proprio così che il giovane trova le proprie coordinate, sa di avere una specie di “nemico” su cui costruire nel negativo di questa figura la propria identità. Purtroppo oggi abbiamo un po’ perso questa capacità di essere adulti con i nostri figli e questo ha una ricaduta veramente destabilizzante su di loro.

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