Alternanza scuola-lavoro, il prossimo Governo ha intenzioni serie di superarne storture? Lettera

inviato da Giuseppe Semeraro- Appena è stata resa pubblica la versione definitiva del “contratto” di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle ho cercato nella parte sulla scuola informazioni che riguardassero le intenzioni della due forze politiche nei confronti dell’alternanza scuola-lavoro. Ho trovato che quella parte recita testualmente: “La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso.”
Spero di sbagliarmi, ma non mi sembra che ci siano intenzioni serie da parte dei due partiti di intervenire seriamente in questo ambito per correggerne le tante storture, forse semplicemente perché non le conoscono. Allora in qualità di malcapitato tutor scolastico per l’alternanza, che le problematiche ha avuto modo di conoscerle direttamente in questi tre anni di applicazione della legge, vorrei sfruttare questo spazio per spiegarne almeno una, quella che secondo me è la madre di tutte le storture, quella che dimostra che quando alcune esperienze di alternanza vanno male non è necessariamente perché sono state realizzate male, ma perché il fallimento era già scritto nella maniera in cui l’A.S.L. è stata concepita.
Tutte le volte che ci sono state critiche nei confronti dell’alternanza, dal MIUR si sono precipitati a dire che chi si lamenta non ha capito il suo valore, perché essa non è né un’esperienza di lavoro, né uno stage, ma addirittura una “metodologia didattica” innovativa. In effetti nel personalissimo iperuranio di chi l’ha concepita l’alternanza funziona benissimo: l’azienda è una perfetta estensione della scuola, che ha tutta la volontà e l’intenzione di conformarsi ai progetti interdisciplinari della scuola e seguirne le regole e che presenta al suo interno dipendenti specializzati che hanno capacità di trasmettere le competenze e valutarle come se fossero insegnanti.
La realtà dei fatti purtroppo è molto diversa da quella che incredibilmente immaginavano gli ideatori di questa geniale “metodologia” e, ancora più incredibilmente, gli stessi ideatori non se ne sono accorti nemmeno quando il fallimento si è concretizzato (o hanno finto di non accorgersene). Ovviamente nel mondo reale il livello di coinvolgimento e di accettazione di questa esperienza concepita dal punto di vista scolastico e in base agli obiettivi scolastici è variabile da azienda ad azienda, ma generalmente esso non è molto alto, altrettanto prevedibilmente è variabile, in ambienti lavorativi in cui i tempi sono accelerati e non ci si possono permettere distrazioni, la disponibilità a sacrificare il tempo prezioso di figure importanti all’interno della ditta per seguire i ragazzi.
Affinché una alternanza così pensata come “metodologia” potesse funzionare si sarebbe dovuta realizzare una situazione in cui le aziende, spinte da un forte interesse, corteggiassero letteralmente le scuole per ambire alla possibilità di ospitare gli studenti, invece noi poveri tutor sperimentiamo la situazione esattamente opposta: siamo noi a dover pregare le aziende di farci il favore di accogliere i ragazzi. Con queste premesse non deve stupire che ci siano aziende che sfruttano gli stagisti, perché si ricavano furbescamente un interesse là dove l’interesse non c’è. Quindi non bisogna credere a chi dice che l’alternanza nasce già con l’intenzione di creare manodopera a costo zero per le aziende, probabilmente è stata concepita malissimo, ma con le migliori intenzioni. Niente di nuovo se Oscar Wilde aveva ragione quando sosteneva che “le cose peggiori sono sempre state fatte con le migliori intenzioni.”
Come è stata difesa l’ASL dal suo fallimento da parte del MIUR?
Come prima cosa hanno ricordato le esperienze positive. Ma è ovvio che essendo il livello di coinvolgimento delle aziende variabile, sarebbe stato variabile anche il livello dei risultati. È mia opinione, anche in base alla conoscenza di quello che è stato fatto in diverse scuole, che le esperienze negative siano di gran lunga più numerose. Non bisogna dimenticare che nel momento in cui il concetto di “metodologia didattica” viene meno, resta la perdita delle lezioni scolastiche. Inoltre siamo sicuri che le esperienze che vengono messe in vetrina come specchietto per le allodole abbiano attuato l’alternanza davvero considerandola una metodologia, oppure parliamo soltanto di esperienze in cui gli studenti hanno imparato varie cose interessanti, ma ne hanno perse di altrettanto interessanti, se non più, non andando a scuola?
La seconda difesa del MIUR alle critiche è stata quella di dire che l’ASL nei casi negativi è stata attuata male, quindi ha scaricato la colpa sulle aziende che si sono comportate scorrettamente e sulle scuole, che a loro volta hanno scaricato la colpa sui tutor. A questo punto le parole del contratto Lega-M5S che dicono che l’ASL non ha funzionato perché non prevede “alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente”, mi fanno temere che, nella loro interpretazione, l’ASL non abbia funzionato solo perché non si è vigilato abbastanza (è simile alla versione del MIUR) e quindi per noi tutor-capri espiatori la deposizione del governo della “buona scuola” non rappresenti una liberazione come speravamo. Sembra mancare la comprensione che, per risolverne i problemi, bisogna proprio modificare alla radice l’impianto dell’alternanza e oltre a questo toglierne l’obbligatorietà.
Per concludere vorrei far riflettere su un paradosso di questa interessante “metodologia”.
È stata concepita per rendere gli studenti capaci di affrontare “compiti di realtà”, cioè di andare oltre la teoria tipica delle aule scolastiche, dove la realtà è semplificata e idealizzata, sapendosi confrontare con il mondo reale così come esso è.
La cosa assurda è che sono proprio gli ideatori dell’alternanza ad aver miseramente fallito il loro compito di realtà.