Alternanza scuola-lavoro, ecco perché se ne può parlare solo come metodologia di apprendimento. Lettera
iInviato da Prof. Ing. Vincenzo Milazzo – Tematica molto dibattuta nell’ultimo biennio dall’opinione pubblica quella dell’alternanza scuola lavoro (ASL). Essa continua ad essere qualcosa di lontano dalla vision strategica “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.
Gli addetti ai lavori non sono ancora del tutto formati e i non addetti hanno maggior capacità divulgativa con una visione incompleta e a volte faziosa.
Qualcosa che viene percepito come assolutamente nuovo ma che trova i primi gemiti nella legge del 28 Maggio 2003, n. 53 e un successivo decreto legislativo 15 aprile 2005, n.77.
Se ne parla come se dietro non ci fosse stato il lavoro di diversi tecnici e ricercatori operanti sia in commissioni Europe fino all’istituto INDIRE, con il suo supporto tecnico, nonché il contenuto del lavoro “Costruire insieme l’alternanza scuola lavoro – documento per la discussione”.
Un contesto, quello dell’ASL molto complesso, dove si persegue la diffusione di forme d’apprendimento basate sul lavoro, alle quali sono invitati a partecipare diversi attori, alcuni dei quali: scuole, reti di scuole, reti territoriali e poli tecnici professionali.
Nella gestione di uno scenario sempre più intrecciato ci si trova a concertare sempre e diffusamente la concretezza delle seguenti due analisi.
Il primo fattore ad essere ignorato sono le finalità stesse.
All’interno del sistema educativo del nostro paese la ASL è stata proposta come METODOLOGIA DIDATTICA, diversa sia dall’apprendistato (per il quale si auspica la ratifica di un contratto di primo livello come indicatore di performance (KPI) del percorso di ASL stesso), dallo stage, dai tirocini formativi e di orientamento, e ancor di più dal lavoro vero e proprio.
Diversità conclamate dalle normative che ne governano i processi (si veda la legge 24 giugno 1997, n. 196 (cd. Pacchetto Treu) e il successivo regolamento emanatocon il Decreto interministeriale 25 marzo 1998, n.142).
L’organizzazione/impresa/ente che ospita lo studente assume il ruolo di contesto di apprendimento complementare a quello dell’aula e del laboratorio.
Nella stessa “Carta dei diritti e dei doveri” delle studentesse e degli studenti si fa riferimento al “diritto di un AMBIENTE DI APPRENDIMENTO…” e “frequenza di ATTIVITA’ FORMATIVE” e non erogazione di prestazioni lavorative, concezione errata di come l’alternanza venga percepita e svenduta.
Il secondo fattore riguarda la difficoltà nel reperire esperienze ad alto valore aggiunto in territori poveri di imprenditorialità, come ad esempio al sud.
Progettare in Lombardia porta con sé solo l’imbarazzo della scelta cosa che può non succedere in Sicilia. E non è solo questione di numero di imprese presenti nel territorio ma anche del funzionamento delle reti come quelle territoriali per l’apprendimento permanente o dei Poli tecnici professionali(ancora non sempre pianamente operativi).
Ci si dimentica che, ancor più in territori con scarsità di aziende si può e si devono realizzare progetti di qualità.
Giusto per citare un esempio la legge 107/2015, nel commi dal 33 al 43 dell’articolo 1, sistematizza l’alternanza scuola lavoro dall’a.s.2015-2016 attraverso l’impresa formativa simulata. Del resto in un deserto sarebbe meglio impegnarsi a costruire dei pozzi piuttosto che ricercare l’acqua.
Per non parlare dei diversi attori citati pocanzi e che vengono ignorati dagli addetti ai lavori. La scuola può trovare collocazione in una logica di rete o in un polo tecnico professionale, e se questi non fossero disponibili basta collaborare con altre scuole o con ITS, camere di commercio e ordini professionali presenti in tutte le provincie.
La politica di rete da parte dell’istituzione scolastica può essere realizzata, inoltre, con la partecipazione al partenariato degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), ove l’alternanza trova la sua collocazione naturale fino al 70% del monte ore complessivo dei percorsi.
Dovrebbe essere così ridotta la visione di doversi affidare per l’intero monte ore ad aziende o sostituire l’ASL con vere e proprie gite scolastiche.
Le problematiche dell’ASL? Solo cattiva gestione dovuta alla poca formazione (diamo del tempo e percorsi obbligatori per le funzioni strumentali e maggiore budget) e mancanza di vision a lungo periodo.
Dovremmo anche citare i CTS (comitato tecnico scientifico di rete o filiera o di territorio) nel ruolo di facilitatore per iniziative di ASL.
Lo sfruttamento? Va gestito e segnalato, deve portare ad una interruzione e rimodulazione del percorso con altri partner e altri metodi, compito del tutor.
Oggi il mondo del lavoro viaggia ad una velocità maggiore della formazione.
La maggior parte degli studenti faranno professioni che oggi non esistono, non avrebbe quindi senso parlare di ASL se non come METODOLOGIA DIDATTICA piuttosto che come mera esperienza lavorativa del discente.
Una tematica alla quale alcune istituzioni scolastiche hanno già prestato la massima attenzione grazie anche al coinvolgimento dell’Anpal (Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro) nella progettazione e sperimentazioni di nuovi percorsi.
Poiché la domanda di abilità e competenze di livello superiore nel 2020 crescerà ulteriormente, i sistemi di istruzione devono impegnarsi ad innalzare gli standard di qualità e il livello dei risultati di apprendimento per rispondere adeguatamente al bisogno di competenze e consentire ai giovani di inserirsi con successo nel mondo del lavoro.
Sarà tra le vie d’uscita per rispondere all’automatizzazione che l’industria 4.0 sta incalzando, per riuscire a trovare un proprio spazio nella continua automatizzazione di posti di lavoro che stanno già scomparendo.
Prof. Ing. Vincenzo Milazzo
Politiche di Alternanza Scuola Lavoro.