Aiutiamo gli studenti: la cattedra non deve essere un muro

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L’ inno alla vita è stato ancora una volta dissacrato dall’ennesimo suicidio di una giovane universitaria che non si “sentiva adeguata”, pare dispiaciuta per i suoi fallimenti universitari. A tale tragedia non si può rimanere inermi soprattutto quando il fenomeno si perpetua da tempo.

Secondo gli ultimi dati Istat, aggiornati al 2019, in Italia si registrano ogni anno circa 4000 morti per suicidio. Poiché il suicidio è un evento estremamente raro nell’infanzia, i tassi vengono calcolati prendendo come riferimento la popolazione di 15 anni e più. i suicidi nella fascia di età 15 -34 anni sono circa 468. Di questi si contano circa 200 casi tra gli under 24, che in altissima percentuale risultano essere proprio studenti universitari.

Lo scorso giugno, la giovane studentessa Giuli Grasso, laureatasi presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, ha dedicato la sua tesi e la sua laurea in Lettere Classiche a quegli studenti che non ce l’hanno fatta. In una sua lettera sui social ha espresso il suo pensiero: “nessuno parla mai di loro. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell’esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura”. “Ogni giorno sentiamo notizie riguardanti studenti che si laureano in tempo record, di ragazzi che frequentano due facoltà, e chi più ne ha più ne metta. Io invece ho voluto dedicare tutti i miei sforzi […] a quelle persone che hanno preferito rinunciare, che sono state soffocate dall’ansia, che sono arrivate a preferire la morte piuttosto che a dover dire di non riuscire ad affrontare l’università italiana “.

“La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere …giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così”, perché, prosegue “non siete l’opinione di uno sconosciuto. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco alla fine dell’appello e vuole tornare a casa. Non siete la performance che date all’ultimo appello di luglio, dopo aver atteso 10 ore il vostro turno “.

Scuola vs Università

Il mondo della scuola è spesso nell’occhio del ciclone, argomento preferito di molti anche di chi purtroppo la scuola non la vive sul campo e che ha una rimembranza remota nella propria mente, di quando era studente. Un dato certo è che si insegna per passione, e si può avere anche un C.V. arricchito di titoli e master conseguiti ma se si dimentica di dare la priorità agli aspetti relazionali, educativi, comunicativi e progettuali, si rischia di fallire nella funzione docente.

Senza voler generalizzare, molti studenti universitari lamentano quel rapporto che avevano con i loro docenti quando erano alla scuola secondaria di secondo grado, è come se quel muro divisorio tra docenti e studenti, simboleggiato dalla cattedra, dietro la quale c’erano gli insegnanti, abolito poi dagli stessi, l’abbiano ritrovato all’università, solo un po’ più alto e solido.

Si è sempre docenti, indipendentemente dalla sede presso cui si insegna, alla stessa stregua, lo studente che si iscrive all’università anche se ha chiari quali siano i suoi obiettivi, continuerà a portare con sé, le sue ansie, paure, e aspetti caratteriali che da sempre lo hanno determinato, resta comunque un essere umano e in quanto tale va considerato. Esistono indubbiamente le eccellenze ma non per questo devono essere tutti dei Super eroi.

E le parole della giovane studentessa succitata esprimono quello che molti studenti provano nelle aule universitarie dove vengono identificati semplicemente con il numero di matricola, quasi fossero degli automi privi di sentimenti.

Puntare il dito verso i professori universitari non è certo la soluzione ma buttare giù quella cattedra forse aiuterebbe i nostri giovani a meglio pianificare e realizzare un futuro che già di per sé, si presenta abbastanza tortuoso.

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