Aggressioni verbali in sede collegiale può determinare condotta mobbizzante, Dirigente condannato per danno erariale

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Una sentenza della Corte dei Conti sezione terza giurisdizionale centrale, la numero 126/2020, tratta il caso di una condanna di un dirigente scolastico per danni erariali in relazione alla condanna del subita dal Ministero, ai sensi degli articoli 2087 e 2043 c.c., da un tribunale del lavoro in relazione ad una causa di risarcimento del pregiudizio patrimoniale, morale e biologico, arrecato ad un docente a seguito del comportamento vessatorio posto in essere anche dal Dirigente scolastico.

La nozione di danno che determina l’azione della Corte dei Conti
Il collegio osserva che la giurisprudenza della Corte dei conti “si è consolidata nel ritenere che l’espressione “notizia specifica e concreta di danno” concerne “fatti o notizie che facciano presumere comportamenti di pubblici funzionari ipoteticamente configuranti illeciti produttivi di danno erariale”, con l’esclusione di comportamenti generici, ovvero di attività istruttorie esplorative, miranti, cioè, proprio all’acquisizione della notitia damni, e trasmodanti in un potere di controllo generalizzato e permanente dell’operato della pubblica amministrazione (Sezioni Riunite n. 12/QM/2011; in termini: Sezione Prima Centrale Giurisdizionale di appello 18 aprile 2017 n. 122; Sezione Seconda Centrale Giurisdizionale di appello 4 giugno 2020, n. 145). I principi enunciati dalle Sezioni riunite nella citata sentenza, depongono nel senso che l’emersione di “fatti o notizie che facciano presumere comportamenti di pubblici funzionari ipoteticamente configuranti illeciti produttivi di danno erariale” nel corso di attività di controllo, possano costituire una valida notitia damni; approdo che trae origine dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 104 del 1989, n. 100 del 1995, n. 209 del 1994 e n. 337 del 2005)”.

Aggressioni verbali in sede collegiale determinano condotta mobizzante
Affermano i giudici, in base alla ricostruzione effettuata nei gradi di giudizio, che a detta loro “la responsabilità dell’appellante non è stata affermata dalla Corte territoriale quale mera conseguenza del giudicato civile, secondo il principio di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per il quale il giudicato fa stato tra le parti del giudizio e i loro aventi causa. Il giudice territoriale, infatti, con la sentenza impugnata, nel rispetto del contraddittorio tra le parti, ha liberamente apprezzato le risultanze probatorie giungendo alla convinzione che nella specie si trattasse effettivamente di mobbing e che detti comportamenti fossero riconducibili all’odierno appellante. Nel delineato contesto la ricostruzione dei fatti resa dall’appellante, per il quale sarebbe stata l’insegnante oggetto di atti vessatori, assieme ad altra collega, ad assumere atteggiamenti irriguardosi nei suoi confronti e ordito addirittura una “congiura” ai suoi danni, configura una mera prospettazione priva di qualsiasi riscontro probatorio”. Rilevano i giudici, invece, il fatto che nell’arco temporale di riferimento siano state consumate nei confronti dell’insegnante “aggressioni verbali in sede collegiale, umiliazioni in pubblico, intimazioni, escludendola dal fondo di incentivazione e dalla concessione di sussidi didattici condotte che hanno cagionato danni patrimoniali da dequalificazione, biologici, morali ed esistenziali, quantificati in euro 30.000,00”. Atti ritenuti idonei a costituire nel loro insieme condotta mobizzante sino a questo grado di giudizio.

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