ADHD, sindrome iperattività: cause e strategie di contenimento in classe
ADHD è un acronimo con cui gli insegnanti italiani hanno sempre maggiore familiarità e dietro al quale si nascondono disturbi vari, tutti riconducibili a iperattività e deficit di attenzione.
ADHD è un acronimo con cui gli insegnanti italiani hanno sempre maggiore familiarità e dietro al quale si nascondono disturbi vari, tutti riconducibili a iperattività e deficit di attenzione.
Per approfondirne cause, sintomi e possibili strategie di contenimento in classe, ci siamo rivolti alla dottoressa Adele Fortunato, psicoterapeuta familiare e sistemico relazionale che a Roma si occupa da anni di disturbi nell’età evolutiva, curando progetti terapeutici e riabilitativi in contesti scolastici e familiari.
Quali sono le cose da non fare mai con un alunno affetto da ADHD?
“Possiamo riassumerle in cinque facili regole: non accogliere mai la sua sfida ponendoci sul suo stesso piano; non essere punitivi; non usare la violenza verbale e fisica; non essere confusivi nella comunicazione e incoerenti nel comportamento. Non deve esserci discrepanza tra ciò che si dice e ciò che si fa”.
Al contrario, quali strategie risultano più vantaggiose?
“Funziona molto di più l’approccio positivo, che pone l’accento sulla ricompensa e sul rinforzo. È importante che l’insegnante o il genitore si mostrino sicuri e assertivi nei confronti del bambino e che si confrontino sulla linea educativa da adottare. Essa deve essere basata sulla coerenza e sulla fiducia nelle possibilità del bambino. Inoltre, è necessario individuare quali sono per lui le attività più piacevoli e cosa può gratificarlo dopo un’attività didattica o un compito”.
Che cosa differenzia una vivacità magari un po’ esagerata da una vera e propria patologia?
“Una vivacità esagerata o un problema di educazione rientra nel giro di qualche mese, mettendo in pratica tutta una serie di strategie e imparando a comunicare con il bambino in modo efficace. L’ADHD è un vero e proprio disturbo che impedisce al bambino di regolare la sua capacità di attenzione e concentrazione, i propri impulsi, il livello di autostima e il comportamento motorio. Ci sarà quindi bisogno di un lavoro terapeutico più mirato sia sul bambino sia sulla famiglia”.
Quali sono i segnali che devono mettere in allarme un docente? In quale fascia di età?
“I segnali che devono mettere in allarme i docenti, in età prescolare, sono: iperattività, crisi di rabbia, litigiosità e provocatorietà, bassa tolleranza alla frustrazione e ai ‘no’, difficoltà ad aderire alle regole, tendenza a disturbare i compagni, ritardata acquisizione dei prerequisiti linguistici, tendenza ad annoiarsi facilmente, ricerca continua di una nuova attività e di un nuovo gioco, assenza di paura, comportamenti aggressivi, soprattutto di tipo personale. La diagnosi di ADHD può essere fatta soltanto in età scolare, quando non si siano verificati cambiamenti significativi nella condotta del bambino nonostante l’impegno di entrambi i genitori e degli insegnanti. Prima di sottoporre il bambino ad una valutazione, è consigliabile che i primi si mettano in discussione chiedendo il supporto di un terapeuta familiare, per capire se si può intervenire in un altro modo. In questo modo si eviterebbe uno stress aggiuntivo al bambino”.
La sindrome da iperattività si manifesta in comorbilità con quali altre disfunzioni?
“Spesso si manifesta in comorbilità con il disturbo oppositivo-provocatorio, i disturbi della condotta, quelli specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia ecc…), disturbi d’ansia, meno frequentemente con la depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo bipolare”.
Quali strategie contenitive suggerisce a un docente che abbia in classe uno o più bambini affetti da ADHD?
“È importante che il docente si mostri sempre sicuro e deciso con questi bambini, altrimenti non verrà preso sul serio. Le regole devono essere chiare, esplicite e espresse in forma positiva, non sottoforma di divieto. Ad es. il ‘non si corre’ diventa ‘si cammina piano’ ecc…
È importante che l’insegnante utilizzi un sistema a punti che preveda un premio finale quando il bambino porta a termine un’attività. Essa va suddivisa in micro-attività e vanno previste delle pause se risulta troppo lunga per lui, nell’ottica di prevenire un momento di stanchezza e di stress. Il rinforzo verrà dato solo quando il compito sarà finito. Rispetto ai comportamenti problematici, l’insegnante dovrà ignorare quelli privi di interesse e concentrarsi sulle cose più gravi, intervenendo per bloccare il bambino e allontanarlo dalla situazione critica. Si può individuare una sedia su cui lui dovrà stare seduto qualche minuto e dove non potrà avere accesso a nessun rinforzo o stimolo. Questa strategia è detta ‘time-out’: si tratta di un momento di pausa e di allontanamento da una situazione rinforzante, che serve al bambino per recuperare la calma. Solo quando sarà sereno, potrà tornare all’attività precedente, gioco o altro, ed essere così rinforzato”.
Si può guarire da questa sindrome? Un bambino con ADHD diventerà un ‘ragazzo difficile’?
“Si può guarire, ma per ottenere risultati significativi è necessario intervenire il prima possibile. Un bambino con una diagnosi di ADHD può diventare un ragazzo difficile se non si fa niente per trattare il problema attraverso un approccio terapeutico individuale o familiare. Infatti, l’impulsività, il prediligere le sfide e le situazioni pericolose da parte di questi bambini potranno portarli ad avere diversi problemi in adolescenza: dipendenza da sostanze e da alcool, oppure, la devianza verso l’illegalità e la delinquenza”.
Molti psicoterapeuti e pedagogisti mettono in relazione l’aumento di queste diagnosi con una mancanza di autorevolezza da parte delle famiglie. Lei che cosa ne pensa?
“Sicuramente si sta assistendo ad un cambiamento significativo nella struttura della famiglia in questi ultimi anni. Le separazioni più frequenti, il conflitto e il disaccordo tra i genitori, l’adozione di uno stile educativo più lassista, hanno portato all’aumento di problemi di questo genere. Spesso i genitori non riescono a trovare una stessa linea educativa nei confronti dei figli e ciò che viene trasmesso al bambino è il messaggio che può fare tutto e il contrario di tutto. L’incoerenza che spesso caratterizza gli interventi educativi porta il bambino a confondersi continuamente, a non sapere più come dovrà comportarsi e distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. A volte capita che l’operato degli insegnanti venga squalificato dai genitori in presenza dei figli. Questo non fa che legittimare un loro atteggiamento sfidante e poco rispettoso nei confronti dell’autorità scolastica. Gli stili educativi differenti tra i genitori e tra famiglia e scuola alimenta la disorganizzazione e il caos mentale nel bambino, dandogli l’idea di poter fare tutto ciò che vuole, tanto tutto è lecito, non permettendogli di interiorizzare delle regole e di darsi dei limiti”.
Le cause del disturbo da iperattività sono solo psicologiche oppure c’è anche una base fisiologica? E’ vero che all’estero, per esempio negli Stati Uniti, vengono prescritti farmaci fin dalla tenera età?
“Non sono ancora state individuate le cause di questo disturbo. Alcuni studi mettono in evidenza la base genetica del problema, altri il fatto di aver subito traumi, violenze o maltrattamenti nei primissimi anni di vita. Anche lo stress materno viene correlato all’insorgere del disturbo. È vero che vengono prescritti farmaci, degli psicostimolanti, che riducono l’iperattività e migliorano i livelli di attenzione. Ovviamente il farmaco non è sufficiente, ma occorre affiancarlo ad un intervento di tipo psicoeducativo: terapia comportamentale per il bambino, Parent Training per i genitori, training con gli insegnanti con interventi integrati tra il contesto familiare e scolastico”.
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