Ad un anno eccezionale di pandemia doveva corrispondere un anno di scuola eccezionale. Lettera

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inviata da Valerio Cruciani  – La DAD non funziona più. Sbagliato. La DAD non ha mai funzionato. Sono moltissimi i casi di classi che si sono attivate tardi e male e che funzionano ancora a singhiozzo, sono moltissimi i casi di studenti che, per ragioni socioeconomiche e infrastrutturali di diversa portata, sono praticamente tagliati fuori dalla scuola dallo scorso marzo.

Sono incalcolabili i danni recati alla formazione dei ragazzi, e non mi riferisco alle “nozioni” e ai “contenuti” dei programmi che possono aver saltato. Parlo di ragazzi che, per esempio, nel passaggio dalle elementari alle medie stanno soffrendo a causa di una reale contrazione delle loro capacità di lettoscrittura o di calcolo. Per non parlare delle loro abilità sociali, che se si stanno recuperando alle medie grazie al ritorno alla didattica in presenza, si stanno perdendo nella delicatissima fase delle superiori.

Quindi che significa “funzionare”? Evidentemente non è un problema di connessione in 5G, né di quanti tablet e biciclette elettriche regaliamo. Se bastasse così poco per fare la scuola, allora dovremmo seriamente porci delle domande e valutare la possibilità di licenziare tutti i docenti e demolire gli edifici scolastici (poco male, viste le loro condizioni), per affidare la crescita intellettuale dei giovani a dei tutorial su YouTube (ce ne sono di ottimi realizzati dalla Treccani, ma di sicuro anche i Ferragnez potrebbero dare il loro contributo). “Funzionare” è un verbo pericoloso, lo dico da umanista convinto. L’essere umano non deve “funzionare”, deve vivere, che è cosa ben diversa.

I docenti non sono servitori a buon mercato, non sono neanche macchine da accendere e spegnere a piacimento. Un docente è una persona che investe in conoscenza e in emozioni, dato che la conoscenza è sempre al servizio degli altri e di questo servizio ne fa una professione. Un docente comunica con gli studenti, prima, attraverso e oltre i contenuti della sua disciplina. Un docente, e la struttura scolastica in cui lavora, fa i conti con mille variabili di ogni tipo. Il nostro è un lavoro che richiede organizzazione, oltre a un’infinità di energie. Pretendere che i dirigenti e i docenti (ma anche tutto il resto del personale, ovviamente) debbano inseguire le notizie e aspettare gli ordini dall’alto, è uccidere la scuola. Perché se si scoraggiano, si demoralizzano e si demotivano i professori, e con loro i ragazzi, muore la scuola.

Si erano fatte delle promesse, e nessuna, NESSUNA di queste promesse è stata mantenuta. Poco male quando si tratta di qualche strada da asfaltare o qualche parco da potare, la politica ci ha talmente abituati alle menzogne che ormai siamo completamente anestetizzati. Ma quando si parla di promesse dalle quali dipende il futuro della scuola, quindi della nazione, allora non ci sto. Si parlava di trasporti pubblici da rafforzare, di infrastrutture tecnologiche da potenziare, di spazi alternativi da usare. Niente di tutto questo è stato fatto.

Cos’è in realtà la nostra DAD? È la scuola dei tempi di Giolitti dotata di qualche portatile. Disastro totale. Forse era meglio stare tutti senza lezioni per un anno e andare a spasso per i campi, ben distanziati, imparando dalla saggezza degli anziani e della natura.

Era possibile uscirne vittoriosi? Era possibile accogliere la sfida della pandemia cambiando il Paese a partire, finalmente, dalla cultura e dalla scuola? Era possibile approfittare del disastro per azzerare ciò che andava azzerato? Era possibile iniziare a trattare gli italiani come persone degne e adulte invece che come milioni di pupazzi da sbattere tra bonus e cashback, tra ristori e dolori, tra tamponi e shopping? Sì, lo era, si poteva fare, potevamo sognare almeno un po’ e provare a volare alto. Come?

Nel caso della scuola bastava essere realisti. Si sapeva già da agosto che quest’anno scolastico sarebbe stato marcato dall’inizio alla fine dalla pandemia, che ci sarebbero state chiusure di classi e scuole a macchia di leopardo, contagi e problemi di ogni sorta. A settembre bisognava dare a ogni istituto e a ogni Regione una piena autonomia decisionale sul piano organizzativo. Si poteva anche preannunciare un “tutti promossi” senza troppi sensi di colpa. Sapendo che musei, cinema e teatri sarebbero stati chiusi di nuovo (questo meriterebbe un capitolo a parte), uccidendo quel residuo di libertà che c’era in ognuno di noi, si potevano lasciare a disposizione proprio delle scuole (come era stato promesso), organizzando non semplici visite, ma veri e propri spazi didattici, come se si trattasse di “aule aumentate”. Ovviamente con mascherine, gel e pianificazione degli ingressi e degli orari, certo. Niente che non si possa fare. Si potevano usare tutti questi spazi.

Si poteva dare ai docenti (e agli operatori di questi spazi, artisti e scienziati compresi) la possibilità di rinnovare davvero il proprio lavoro, di riscoprire una passione, invece di spegnersi dietro a uno schermo che in pochissimi sanno gestire. Dando una totale libertà didattica anche nella valutazione. Si trattava di mantenere aperta la scuola, cioè i rapporti umani, e veicolare le conoscenze in un modo molto più creativo e moderno. Si poteva finalmente applicare il principio per cui la tecnologia è uno strumento al NOSTRO servizio, che si può usare integrandola in modo appropriato nei nostri abiti e nei nostri compiti. Invece si è verificato l’esatto contrario: siamo esserini al servizio di PC che non si collegano, microfoni che non funzionano, messaggi che non arrivano, videocamere che non si accendono…

Insomma, si poteva fare davvero qualcosa per trasformare il territorio italiano in un’immensa aula dalle potenzialità davvero infinite. Senza assembramenti, senza noia, senza orari, senza vincoli burocratici pesanti e inutili (bastava disegnare una cornice comoda dentro la quale muoversi). Una scuola eccezionale per un anno eccezionale. Bisognava pensare in grande, bisognava immaginare una scuola flessibile che, finalmente, si sa adattare ai tempi e alla realtà. E poi, una volta finita l’emergenza, mantenere tutto ciò che di buono avrebbe portato la sperimentazione. E invece ci si è limitati ai proclami, agli annunci visionari e vuoti, alla codardia, al solito proclama “l’Italia è la terra della bellezza”. Sì, del suo assassinio.

Forse c’è una debole speranza: che questo non si tramuti nella solita guerra tra poveri (tra genitori e scuola, per esempio), ma che nascano inedite e fresche alleanze. Alleanze inaspettate, davvero sorprendenti, che spiazzino anche i gestori della cosa pubblica, e che li mettano davanti a un fatto incontrovertibile: che gli Italiani si sono stancati di essere usati e presi in giro. Che gli italiani sanno quali sono le cose che davvero importano per il futuro di questo paese e dei loro figli, e che ora le vogliono realizzare, e vogliono essere ascoltati. Perché questa è la democrazia: il governo del popolo. Dove i rappresentanti eletti sono, appunto, rappresentanti e non pupazzari.

Prima che sia troppo tardi. Prima che, uccidendo la cultura e la scuola una volta per tutte, finiscano col massacrare quei residui di spirito che restano in ognuno di noi. Rendendoci definitivamente schiavi.

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