Accertamento medico d’ufficio: tutela della salute del docente o atto di mobbing del dirigente?
Prendendo spunto da un episodio singolare, vale la pena tornare sulle disposizioni del legislatore in merito alla tutela della salute dei lavoratori con l’accertamento medico (AM).
Prendendo spunto da un episodio singolare, vale la pena tornare sulle disposizioni del legislatore in merito alla tutela della salute dei lavoratori con l’accertamento medico (AM).
Questo può essere richiesto dal docente stesso (AM), ovvero dal dirigente. In questo secondo caso si parla di “AM d’ufficio” (AMU). Per quale motivo – ci si potrebbe chiedere – al dirigente dovrebbe essere consentito di effettuare una siffatta richiesta? Semplicemente perché secondo la legge il datore di lavoro è ik responsabile della salute dei suoi dipendenti. Inoltre, non possedendo competenze mediche proprie, questi non può che ricorrere al Collegio Medico preposto che altri non è se non la Commissione Medica di Verifica del Ministero Economia e Finanze di ciascun capoluogo di Regione.
Tuttavia i problemi sorgono puntuali quando ci si trova di fronte agli AMU avviati dal dirigente contro o addirittura a dispetto della volontà del docente. Per fortuna gli AMU sono molto rari (su 10 AM di solito c’è mediamente un solo AMU), ma quasi tutti sono subiti malvolentieri dal lavoratore che ritiene di subire azione di mobbing. Non è infrequente vedere sporgere denunce in tal senso contro il dirigente scolastico.
Facciamo ora due considerazioni oggettive a favore dell’AMU:
- di fronte a un accertamento avviato dal dirigente, la CMV esamina con maggior cautela e minor diffidenza il caso clinico, proprio perché non richiesto dall’interessato che potrebbe essere in cerca di un provvedimento a sé favorevole;
- l’AMU è per sua natura un atto a tutela della salute del lavoratore e dunque strumento assolutamente inadatto a ledere chicchessia.
Vi sono però due ulteriori elementi che tendono a vanificare la bontà oggettiva delle suddette considerazioni:
- i dirigenti non amano richiedere gli AMU proprio per il rischio di essere denunciati per mobbing e si limitano ai casi indispensabili in cui è a rischio anche la salute dell’utenza. Siamo solitamente di fronte ai casi clinici ingestibili e più gravi quali le psicosi. Queste sono tra l’altro caratterizzate da due sintomi principali quali la negazione della patologia e il delirio persecutorio;
- proprio in virtù della negazione assoluta della patologia da parte dell’interessato, è quasi automatico lo smottamento dal campo medico-clinico a quello giuridico-legale. Entra così in campo l’avvocato del lavoratore, che è solitamente lungi dal comprendere la natura medica del problema, avendo l’evidente vantaggio di un cliente in più da assistere, cui emettere la parcella.
A questo punto il dirigente scolastico è tenuto a compilare per legge la relazione sul docente che si reca all’accertamento medico (ex art. 15 DPR 461/2001), stando ben attento a non riportare giudizi, valutazioni mediche, imprecisioni. Ciascun evento, episodio o circostanza significativi devono essere documentati puntualmente anche col supporto di allegati di ogni genere.
Dopo questa lunga premessa, veniamo ora al caso del giorno.
Un dirigente di una scuola elementare sottopone un caso piuttosto complesso che rientra in quelli gravi sopra descritti. Agli atti troviamo anche una denuncia di un genitore a carico di un docente per lesioni (documentate dal Pronto Soccorso) ad un alunno “strattonato” energicamente. Tra gli altri segni e sintomi si segnalano deliri persecutori, conflittualità con i colleghi, stravaganze di vario genere. Insomma quanto basta per richiedere l’AMU ai sensi dell’art.3 del DPR 171/2011.
Non appena avviato il procedimento, si fa vivo l’avvocato del docente che, in nome della legge sulla trasparenza degli atti (artt. 22 e 24 L 241/90) chiede di poter disporre subito della relazione scritta dal dirigente per la CMV. Il dirigente replica che il documento sarà trasmesso una volta terminata la pratica dal Collegio Medico. Per nulla rassegnato, il legale del docente torna alla carica dicendosi convinto che, non conoscendo il contenuto della relazione, il suo assistito non è in grado di scegliere lo specialista medico di parte dal quale farsi accompagnare all’accertamento d’ufficio. Ancora una volta il dirigente prende carta e penna ribattendo punto su punto e spiegando che l’accertamento medico è un atto a suprema tutela del lavoratore e non certamente una sanzione dalla quale difendersi o giustificarsi. Ecco le precise parole del capo d’istituto.
Gentile avvocato,
In riferimento alla sua nota, ancora prima di confutare i punti da lei sollevati, desidero rammentarle che l'accertamento medico disposto per la docente è volto esclusivamente a tutelarne la salute ai sensi dell'art. 5 dello Statuto dei lavoratori.
Venendo alle questioni da lei eccepite:
1) il legislatore ha disposto che il datore di lavoro stili una relazione per la CMV e non per il lavoratore. Non corrisponde dunque al vero che il lavoratore ne debba disporre prima della visita medica collegiale. Questa è infatti la prassi disposta e seguita in tutti gli accertamenti medici nel Paese;
2) l'art 198 del D.lvo 66/2010 da lei citato riguarda la facoltà del lavoratore di farsi assistere a proprie spese da un medico di parte. L'esercizio della stessa non è minimamente condizionato dalla relazione del datore di lavoro, bensì dalla situazione clinica del lavoratore. È dunque, tendenzioso, errato oltreché fuorviante sostenere che la docente non può esercitare la suddetta facoltà in quanto non a conoscenza della relazione ex art.15 dpr 461/01.
3) circa l'accesso agli atti per la legge sulla trasparenza, ho già avuto modo di scriverle che sarà premura della scrivente trasmettere quanto da lei richiesto non appena terminato il procedimento.
Concludo la presente nota invitandola nuovamente a considerare il fatto che il presente accertamento medico d'ufficio è avviato nel supremo interesse del lavoratore a tutela della sua salute. Per questo motivo auspico che lei stesso voglia tranquillizzare il suo assistito in ogni modo.
Distinti saluti
Nemmeno questa nota induce l’avvocato a desistere dalle sue pretese e il legale si appella direttamente alla Commissione per la Trasparenza sugli Atti presso il Consiglio dei Ministri.
Posto che il comma 6 dell’art.24 della L 241/90 conferisce a taluni Enti Pubblici la facoltà di differimento della trasmissione degli atti per non compromettere un procedimento in corso, non resta che attendere il pronunciamento del supremo organo di controllo. Quest’ultimo dirà, una volta per tutte, se la relazione stilata dal datore di lavoro (ex art.15 DPR 461/01) può essere trasmessa al lavoratore, su richiesta dello stesso, durante il procedimento in corso o solamente al termine di questo quando la CMV ha definitivamente assunto il provvedimento medico-legale.
In attesa del pronunciamento proviamo a fare qualche semplice riflessione. Il rischio che episodi di questo genere scivolino da una china medico-legale verso quella giuridico-disciplinare è assai alto, pertanto l’osservanza di alcune regole è fortemente auspicabile da parte dei capi d’istituto:
- il dirigente deve fare molta attenzione a non comminare sanzioni prima di aver accertato se si tratti di un caso medico piuttosto che disciplinare. Conviene sempre porre in diagnosi differenziale le due ipotesi prima di agire;
- non si deve far inoltre tentare dal ricorso al “trasferimento per incompatibilità ambientale”: sarebbe deleterio per il lavoratore in difficoltà e per gli operatori del nuovo posto di destinazione del malcapitato. Oltreché per l’utenza;
- una volta deciso di adottare l’AMU, la relazione (ex art. 15 DPR 461/2001) deve essere stilata con rigore e senza esprimere giudizi di merito. Ogni episodio richiamato va puntualmente circostanziato con fatti e testimonianze che devono essere allegati alla relazione stessa;
- il rischio di una denuncia per mobbing a causa di un AMU non può essere azzerato, ma una condotta rigorosa e professionale annulla ogni conseguenza negativa. Episodi come quello narrato sono faticosi ma pur sempre occasione di crescita professionale;
- per un avvocato, un assistito rappresenta pur sempre un cliente in più e un potenziale guadagno economico. La situazione medico-clinica di costui non lo riguarda minimamente.
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