Abuso d’ufficio, la Consulta boccia il ricorso: l’abrogazione prevista dal governo Meloni non è incostituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato che l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio non viola la Costituzione. La sentenza, comunicata con una nota ufficiale a 24 ore dall’udienza pubblica, arriva dopo l’incidente di legittimità sollevato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9442/2025, nell’ambito di un ricorso in cui la difesa chiedeva l’annullamento di una condanna per abuso d’ufficio, reato previsto dall’articolo 323 del codice penale e recentemente cancellato dalla riforma Nordio (legge 114/2024).
La Consulta ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la stessa Cassazione, confermando la legittimità della scelta legislativa voluta dal governo Meloni.
Convenzione di Merida: nessun vincolo per l’Italia
L’attenzione della Corte si è concentrata in particolare sugli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota come Convenzione di Merida. La Consulta ha ritenuto ammissibili solo le questioni relative a questi obblighi internazionali, ma nel merito le ha dichiarate infondate. Secondo i giudici costituzionali, dalla Convenzione non deriva per l’Italia né l’obbligo di mantenere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo qualora già previsto nell’ordinamento nazionale. La sentenza chiarisce che la normativa internazionale non impone vincoli specifici in materia, lasciando agli Stati ampia discrezionalità nella definizione delle fattispecie penali contro la corruzione.
Le conseguenze della sentenza
L’abuso d’ufficio era un reato previsto dall’articolo 323 del codice penale. Si configurava quando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, nell’esercizio delle sue funzioni, violava intenzionalmente norme di legge o regolamento, o ometteva di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, procurando a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure arrecando ad altri un danno ingiusto.
L’abuso d’ufficio puniva la condotta di chi, sfruttando il proprio ruolo pubblico, agiva in modo arbitrario e contrario ai doveri d’ufficio, con l’obiettivo di favorire qualcuno o danneggiare altri. Il reato era stato introdotto per tutelare la legalità e l’imparzialità della pubblica amministrazione, ma negli ultimi anni era stato oggetto di numerose critiche e modifiche, fino alla sua abrogazione definitiva.
L’abrogazione dell’abuso d’ufficio, fortemente voluta dal governo Meloni, supera così il vaglio della Corte costituzionale e resta in vigore. La decisione della Consulta chiude il dibattito sulla presunta incostituzionalità della riforma, confermando che la scelta di eliminare il reato non contrasta né con la Costituzione né con gli impegni internazionali assunti dall’Italia.