Abilitazioni in Romania, “Gaffe del Ministero: non può invalidarle tout court, deve prevedere misure per renderle valide”
Con nota n. 5636 del 2 aprile 2019 il Ministero si è espresso sulla validità delle abilitazioni all’insegnamento ottenute in Romania.
Nella nota, il MIUR dichiara che non possono essere ritenuti validi per l’accesso all’insegnamento, sia su posto comune che di sostegno, i titoli conseguiti in Romania al termine dei percorsi di studio denominati “Programului de studii psichopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”.
Per quanto riguarda i titoli di sostegno, si evidenzia come non vi sia corrispondenza tra l’ordinamento scolastico italiano e quello rumeno, in cui i soggetti con disabilità frequentano apposite scuole speciali, a differenza di quanto avviene in Italia con l’integrazione nelle classi comuni degli alunni disabili o con bisogni educativi speciali.
Di diverso avviso lo studio legale Leone-Fell che ci ha inviato una risposta ottenuta dalla Commissione europea in merito a un loro esposto proprio sulle abilitazioni all’estero. Secondo gli avvocati, tale risposta contraddice quanto affermato dal Miur.
I legali scrivono, infatti: “Il presupposto da cui parte il Miur è il provvedimento delle autorità Rumene, che riconosce una differenza tra i certificati recanti la dicitura “Direttiva 2005/36/CE” e quelli privi di tale indicazione. Peccato che tale presupposto sia privo di fondamento poiché, come chiarisce la Commissione europea, è lo stato ricevente a dover “decidere” non quello in cui l’abilitazione è stata ottenuta.”
Nella risposta da parte della Commissione viene precisato che, secondo la giurisprudenza relativa al caso Morgenbesser, “spetta all’autorità competente (in questo caso all’Italia, ndr) verificare, conformemente ai principi sanciti dalla Corte nelle citate sentenze Vlassopoulou e Fernandez de Bobadilla, se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi”.
“Non è necessaria, dunque, – spiegano i legali – un’assoluta identità tra i titoli messi a confronto, ma una mera equivalenza per determinare il dovere di riconoscere il titolo conseguito all’estero, anche predisponendo eventuali misure compensative. In pratica il Miur avrebbe dovuto valutare i singoli casi e decidere eventuali misure compensative (esami universitari aggiuntivi, ad esempio), ma non può rigettare in maniera arbitraria tutte le istanze di convalida di un titolo ottenuto in uno stato membro”.
Il parere della Commissione Europea