“A tavola, ai vostri figli, non chiedete com’è andata a scuola, ma parlate di suicidio, autolesionismo e anoressia”. Parla Matteo Lancini
“Io voglio morire difendendo la scuola pubblica a patto che sia la scuola dei ragazzi, fatta per loro e non per il milione e duecentomila insegnanti”. Così concluderà la sua lezione in Piazza dei Martiri a Carpi, in provincia di Modena, il professor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, e presidente della Fondazione Minotauro di Milano. Il teatro del suo intervento è l’affollatissimo e sempre più riuscito e apprezzato Festival della Filosofia che quest’anno è stato dedicato alla parola psiche.
Matteo Lancini insegna Compiti evolutivi e clinica dell’adolescente e del giovane adulto presso l’Università Milano-Bicocca e Psicologia clinica dell’età evolutiva presso l’Università Cattolica di Milano. È anche membro del comitato scientifico della ricerca sulla salute mentale di bambini e adolescenti dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Si occupa di adolescenza e genitorialità, del rapporto tra adolescenti e adulti, di dispersione scolastica e della salute mentale dei bambini e degli adolescenti. Tra i suoi libri: Adolescenti navigati. Come sostenere la crescita dei nativi digitali (Trento 2015); Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti (Milano 2017); Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (Milano 2019); Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti (Torino 2020); L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva (con Loredana Cirillo, Tania Scodeggio, Tommaso Zanella, Milano 2020); L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti (Milano 2021); Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale (con Loredana Cirillo, Trento 2022); Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta (Milano 2023).Matteo Lancini insegna Compiti evolutivi e clinica dell’adolescente e del giovane adulto presso l’Università Milano-Bicocca e Psicologia clinica dell’età evolutiva presso l’Università Cattolica di Milano. È anche membro del comitato scientifico della ricerca sulla salute mentale di bambini e adolescenti dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Si occupa di adolescenza e genitorialità, del rapporto tra adolescenti e adulti, di dispersione scolastica e della salute mentale dei bambini e degli adolescenti. Tra i suoi libri: Adolescenti navigati. Come sostenere la crescita dei nativi digitali (Trento 2015); Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti (Milano 2017); Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa (Milano 2019); Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti (Torino 2020); L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva (con Loredana Cirillo, Tania Scodeggio, Tommaso Zanella, Milano 2020); L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti (Milano 2021); Figli di internet. Come aiutarli a crescere tra narcisismo, sexting, cyberbullismo e ritiro sociale (con Loredana Cirillo, Trento 2022); Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta (Milano 2023).
L’attenzione per la scuola e per gli studenti, oltre che per i giovani e i bambini che stanno vivendo questa epoca molto impegnativa per la loro identità e per il loro equilibrio, è grande da parte di Lancini. “Quando i miei studenti all’università accendono il computer mentre faccio lezione – spiega a un certo punto – non fanno niente di male, magari stanno consultando le mappe che gli insegnanti mandano loro qualche giorno prima. Se succedesse a scuola chissà che cosa succederebbe. Sono peggio di me, questi ragazzi? No questi ragazzi sono meravigliosi”. E ancora: “A tavola a 7 anni e 8 anni hanno esaurito la capacità di sopportare di sentire la domanda: come sei andato a scuola? Invece occorre fare delle domande disturbanti”. Disturbante è un termine che spesso fa rima con suicidio, con autolesionismo, con anoressia, con suicidio. Parole tabù, fino a che non capita a te, ai tuoi figli, ai tuoi fratelli e sorelle, ai tuoi alunni. “Tutte le ricerche serie – insiste Lancini – dicono che parlare di suicidio con loro abbassa il fattore di rischio. Questi adolescenti non sono all’attenzione degli adulti. Lo sono più i gatti e i cani, presto avremo un ministero” per questi ultimi. Bambini e adolescenti troppo stimolati, iperprotetti, ipervalutati, sottratti al contempo al potere creativo della noia: “I bambini e gli adolescenti non si annoiano più. “La noia è stata messa al bando”. Si devono divertire per forza, devono socializzare per forza. Nessuno si preoccupa delle loro domande, che sempre più spesso sprofondano nella disperazione, nella solitudine camuffata dal rumore, nel senso di inadeguatezza crescente, tutti fattori che portano inevitabilmente al narcisismo che caratterizza l’epoca in cui viviamo. Anzi, al post-narcisismo, come pure Lancini sta per spiegare, qui in Piazza dei Martiri.
“La fragilità dei ragazzi ha un impatto enorme sul rapporto genitori-figli, ma spesso tendiamo a categorizzarli, a non dare il giusto peso al loro disagio”, aveva affermato Lancini durante un incontro dedicato alla genitorialità al Tempo delle Donne 2024, evento organizzato dal Corriere della Sera. Lancini sottolineava come spesso i ragazzi si sentano “soli in mezzo agli altri”, incompresi anche dai genitori che, pur dimostrando maggiore attenzione rispetto al passato, tendono a mettere a tacere le emozioni che li mettono a disagio. Un atteggiamento che rischia di ritorcersi contro, perché “le emozioni represse, non riconosciute, esplodono con forza durante l’adolescenza, quando il ragazzo si interroga sulla propria identità, si chiede ‘Chi sono io?’ Lo psicologo invitava e invita pure oggi a un cambio di prospettiva, a smettere di cercare le cause del disagio giovanile solo in fattori esterni come i social network o la pandemia: “Basta dare la colpa ai social, al lockdown. Iniziamo invece a porre ai nostri figli le domande giuste”. Quelle che vedremo più avanti. Un invito, quello di Lancini, a costruire un dialogo autentico con i propri figli, basato sull’ascolto senza pregiudizi e sulla capacità di accogliere anche le emozioni più scomode, per aiutarli ad affrontare con maggiore consapevolezza le sfide dell’adolescenza.
Ma riprendiamo da principio e veniamo all’inizio della sua lezione. Lancini divide il tempo dell’adolescenza, oggetto della sua analisi, in tre fasi storiche. “L’adolescenza – attacca Lancini in maniera appassionata e coinvolgente – è stata caratterizzata da tre epoche. Fino ad arrivare alla terza epoca, quella attuale, del post-narcisismo, quella del “Sii te stesso a modo mio”. Che poi è il titolo del suo ultimo libro, 208 pagine, edito da Cortina. Sottotitolato con Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta”. Che è l’ultima delle tre epoche indicate da Lancini nel suo incipit. Ma veniamo alla prima.
Prima epoca. “Mentre da piccolo giocavo a calcio in casa con una pallina artigianale, fatta di carta una pallina – racconta – mio nonno mi guardò. E già il fatto che mi guardasse, senza parlare, voleva dire che avevo sbagliato”. Insomma quello di suo nonno non era lo sguardo “valorizzante e incoraggiante che – come aveva scritto nel libro Adolescenti navigati, (Erickson, 2015) – conoscono i bambini odierni, sollecitati a continuare perché il talento si intravede e, se tutto procede così, ci sono buone possibilità per una carriera da calciatore famoso. Mio nonno, senza dire niente, mi comunicava l’inadeguatezza del mio comportamento, che avevo cioè fatto la «mossa sbagliata»: non si disturba il pater familias mentre in solitaria mangia la minestra preparatagli puntualmente, ogni sera alla stessa ora, dalla nonna. Quando si riceve uno sguardo di questo tipo, così penetrante, immediatamente il comportamento si interrompe e molto difficilmente si ripeterà in futuro. Per lui la violenza fisica non solo era superflua, inutile, ma avrebbe abbassato, e di molto, il lignaggio del suo intervento educativo. La trasmissione di valori e principi giusti, sani e ritenuti tali dall’alto del mondo degli adulti, dall’intera comunità sociale che li condivideva in modo unitario e compatto, era ritenuto l’obiettivo educativo più importante e prezioso per garantire la crescita e sconfiggere la maleducazione e la psicopatologia”.
I genitori, rapportandosi con i figli – riprende Lancini davanti al suo pubblico attento – usavano il motto devi obbedire. Oppure: Prima il dovere, poi il piacere. Mio nonno mangiava alle 18”. E ancora. “La famiglia tradizionale non si preoccupava di farti soffrire”. Ti insegnava quale importanza aveva la relazione. “La relazione serviva a darti delle norme. Non era l’epoca delle passioni tristi. La società era sessuofobica. Quelle generazioni crescevano con un adolescente che era trasgressivo perché non poteva esprimere il desiderio. Nell’adolescenza avveniva il processo separativo dai genitori”. L’adolescente aveva un super io forte ed era “trasgressivo, le canne si facevano in faccia ai genitori, al prete”.
Seconda epoca. Benvenuto, bambino! La famiglia tradizionale entra in crisi. Il padre non c’è più, come si dice spesso. La tradizione cambia. Quando il bambino arriva, “tu bambino sei il protagonista in questa famiglia. Andrai al nido, poi alla scuola materna. Ma la prima realtà è la mamma, che lo rassicura: non soffrirai, cresciamo io e te in un’intesa, non romperemo mai la relazione. Se prima la relazione era un mezzo ora la relazione diventa un fine, il fine ultimo”.
Questa seconda epoca secondo Lancini porta alla figura del soggetto narcisista. “Una delle cose che la madre dice è: devi andare all’asilo, devi avere una socialità. Devi avere tanti amici. Io non ho mai frequentato tanti bambini quanti ne hanno frequentati questi”. La famiglia tradizionale, prosegue lo studioso, “guardava con sospetto gli amici, spesso visti come le cattive compagnie”, che potevano mettere in pericolo la stabilità della famiglia. “Oggi invece questi bambini sono spinti in continuazione a socializzare”. Nelle metropoli, segnala, “basta che una mamma veda il suo bambino che parla con un altro, che già partono mille messaggi entusiasti, a momento si stappa la bottiglia di champagne”.
Il modello spinge a socializzare e “si caratterizza – denuncia Lancini – per il terribile arrivo del telefono. Prima c’era il satellitare ed era uno status symbol”. In seguito arriva il cellulare e infine lo smartphone e “la madre piano piano se ne impossessa, per il controllo enorme dei figli”. La mamma “è la più grande spacciatrice di internet. Secondo le ricerche, il consumo di internet, e degli smartphone, nasce nella relazione con la madre, che era già virtuale prima di internet”
I bambini e gli adolescenti non si annoiano più. “La noia è stata messa al bando. Il nonno ritira il bambino da scuola e lo porta all’attività sportiva del giorno, poi a quella ricreativa”, poi lo va a ritirare. Ma la mamma non conta nulla? “La mamma alla 16 e 30 telefona”, spiega lo psicoterapeuta, per sapere se ha fatto merenda con i cibi sani”. Si va a una prima sintesi. La sintesi è che “nelle tante relazioni la madre monitora tutto. Dove sei figlia mia? Sono da una mia amica. Non è vero, lo smartphone ti dà sui Navigli. Torna subito a casa”.
E internet? E’ vero che la rete ha creato l’individualismo? “L’individualismo cresce ben prima di internet perché noi abbiamo chiuso gli spazi di socializzazione dei bambini. Tanti anni orsono ti venivano a prendere a scuola fino ai 7 anni, dopo i 7 anni non veniva a prenderti nessuno. E se succedeva quando ne avevi 8, morivi dalla vergogna, perché in quel caso ci si sentiva degli sfigati”. Poi sono arrivati i pericoli o presunti tali: “Attenzione, regalano la droga! Mai visto gente che regala la droga. Le uniche bustine erano quelli delle figurine Panini, io avevo tre album”. Battute a parte, “c’era un’idea che i figli degli altri contavano come i tuoi. Qualcuno ha frequentato i cortili di allora?” Quanti feriti, quante ginocchia sbucciate, “ci si lanciava con i carrelli, si colpivano i gatti con cerbottane. Nelle metropoli, se si facessero oggi le cose che si facevano allora” arriverebbero le forze dell’ordine e non solo quelle. Si giocava tutto il giorno. “Io sono figlio dell’epoca del femminismo. Le compagne che abitavano nel palazzo beccavano tante pallonate da noi maschi, talvolta si rompevano il naso. Se succede oggi, apriamo il tg1”. E tutto questo perché? “Perché è cambiata la nostra rappresentazione del corpo”.
Il corpo dei ragazzi e delle ragazze. “Il sistema di adulti – insiste Lancini – ha sequestrato il corpo dei figli, sempre e continuamente protetti”, riparati da un ambiente pieno di pericoli, veri ma più inventati che veri, o comunque creati dagli adulti. Non consentiamo ai bambi di agire e muoversi in autonomia, ad esempio di andare e tornare da soli a scuola: ci si mette anche la Cassazione, nel caso, aggiungiamo noi, e come si ricorderà. Impediamo loro di fare esperienze di relazione – da soli, in autonomia – con i loro pari. E questa è la colpa forse più grave. Sottolinea lo psicoterapeuta: “Gli spazi di gioco spontaneo sono importanti. Se uno non ha fatto esperienze da solo avrà dei ritardi. Gli abbiamo sequestrato il corpo. Siamo arrivati al punto che quando vedono dei giovani in giro”, che fanno un po’ di chiasso, “i cittadini chiamano i vigili”.
I giovani e il sesso. Il sesso, in questa seconda epoca “è ai minimi termini. Conta il corpo estetico. Conta l’io ipertrofico. Le generazioni degli ultimi anni sono cresciute con l’idea che non sei adeguato. Gli adolescenti crescono per delusione. Dalla trasgressione si è passati alla delusione. Questo è un problema e i politici lo affrontano come se fossero trasgressivi. Il problema è che quando cresci e senti la vergogna attacchi te stesso. Da qui il ritiro sociale, i tagli, il suicidio, che è il grande rimosso. Ancora si pensa che non dobbiamo parlarne, e invece di suicidio occorre parlare con i figli. Ancora si teme che se si parla di suicidio il giovane va in camera e si suicida, invece l’adolescente trova un’ancora di salvezza se il genitore gli pone questa domanda: hai mai pensato di suicidarti?”
E fin qui, seguendo l’esposizione di Lancini, siamo alla seconda epoca. Ma che cosa ci riserva la terza epoca, che è quella attuale, ispirata all’egoismo, all’individualismo e al narcisismo spinti dal senso di inadeguatezza?
Benvenuti nell’epoca del post narcisismo. “Questa lettura del narcisismo – chiarisce lo psicoterapeuta – non è più adeguata. Siamo andati oltre. E’ l’epoca della fragilità degli adulti. Sequestriamo la mente degli adolescenti dicendo cresci come diciamo noi se no noi non ci sentiamo adeguati. Mai avrei pensato che come adulti e professori saremmo arrivati a tanto. Siamo andati avanti con l’idea che si debba bocciare ma con il narcisismo non funziona. L’adolescente scappa. Alle medie ancora bocciamo e pensiamo che lo facciano per il loro futuro. Loro non possono esprimere la rabbia, la noia, la tristezza. Gli adolescenti cercano l’adulto”, hanno bisogno di loro. Cercano disperatamente i genitori, anche se spesso non parlano. E soprattutto non sono uguali. Venti o trenta alunni in una classe sono venti o trenta universi differenti, lo stesso succede in famiglia: “I figli sono diversi – chiarisce Lancini – e ogni volta meritano una famiglia diversa. Quelli che un tempo si chiamavano bisogni educativi normali oggi sono divenuti bisogni educativi speciali, c’è un’evidente dissociazione degli adulti”.
Ma come si colloca la scuola in questo scenario? Alimenta la competizione, dice. “La scuola italiana inizia ad alimentare la competizione già al tredicesimo giorno di lezione. Alle scuole primarie mettono bollino rosso come al Catasto”. Ma la scuola non è accoglienza, non è solidarietà? “No, alimenta la competizione che toglie il gusto di apprendere”. Ma tanto, “anche all’oratorio hanno la squadra A, B e C”, a seconda dei livelli di performance dei ragazzini.
Ma torniamo alla scuola ai tempi del digitale e dell’intelligenza artificiale. “Nell’epoca della IA – prosegue Lancini – non solo non gli facciamo nulla di IA ma ci limitiamo a togliere i dispositivi. Eppure non c’è nessuna correlazione tra internet e la depressione, anzi con internet stanno meglio. La pandemia ha consentito a molti ragazzi di dire stiamo male” ma “il male durava da anni”.
Per riuscire a individuare i problemi dei nostri adolescenti al fine di provare a tracciare una via di intervento, come famiglie e come scuola occorre indagare nei vuoti esistenziali. “Non c’è più il super io davanti all’adolescente”, come succedeva nella prima epoca descritta, ma “il vuoto identitario”. Oggi “non sapete quanti ragazzi mi dicono: non so cosa mi piace, sono anni che mi dicono sii te stesso a modo mio”. Sullo sfondo “i polisintomi, non solo anoressia, si tagliano. L’ansia, ma è più corretto parlare di angoscia, che deriva dal fatto che hanno dovuto intercettare i bisogni degli altri e non i propri. A tavola a 7 anni e 8 anni hanno esaurito la capacità di sopportare di sentire la domanda: come sei andato a scuola? Invece occorre fare delle domande disturbanti”, Tutte le ricerche serie – insiste Lancini – dicono che parlare di suicidio con loro abbassa il fattore di rischio. Noi non facciamo domande giuste, dobbiamo fare domande disturbanti. Questi adolescenti non sono all’attenzione degli adulti. Lo sono più i gatti e i cani, presto avremo un ministero” per i cani. Gli adolescenti vorrebbero essere amati dai genitori e dagli insegnanti”.
C’è il tempo per le domande dal pubblico. Lo psicoterapeuta viene interrogato sul ruolo del padre, della famiglia, della scuola, della valutazione, sul conflitto tra genitori e sui litigi familiari: fa bene o no? chiede una signora. Sulla scuola: è necessario che i ragazzi vengano valutati, insiste una docente, che lo interroga: “come si fa se non si misura? E ancora: sul diritto dei bambini di annoiarsi, sulla continua valutazione. Sul sesso e sull’amore. Sul padre. Riportiamo di seguito e per schemi sintetici il senso delle domande e le rispettive risposte.
Il padre è morto? “Il cambiamento del ruolo paterno c’è stato. Oggi è la figura maschile ad essere fragile”.
I giovani fanno ancora sesso? “Si amano ma si lasciano. Le ricerche indicano un crollo dell’attività e dell’interesse sessuale dei giovani. Guardate che con la procreazione assistita è già passata l’idea che il sesso non serve più alla continuazione della specie. Si lasciano perché non vogliono essere affettivamente dipendenti”
La noia nella società del fare. “Nella società del fare? Dobbiamo stare, non fare. Noia? Li abbiamo abituati a stare sempre insieme, questi bambini, poi alle superiori devono studiare da soli” e vanno in crisi.
Ritiro sociale I ragazzi vivono per avere una relazione ma spesso si disperdono. “Se abbiamo un ritirato sociale lo dobbiamo cercare. Ci sono ragazzi che hanno fatto poche lezioni a scuola, poi una volta diplomati, magari in percorsi facilitati, sono andati all’università e sono i migliori”. Bisogna ragionare in modo nuovo, insomma: anche se non si raggiunge una parte degli apprendimenti si deve poter andare all’università.
Gli adulti. “Non prendo in carico ragazzi senza genitori e adulti. Bisogna lavorare sulla fragilità degli adulti. Il ragazzo lo conquisti nella relazione”.
Le tecnologie, vietarle a scuola? “Quando i miei studenti accendono il computer mentre faccio lezione non fanno niente di male, magari stanno consultando le mappe che gli insegnanti mandano loro qualche giorno prima. Se succedesse a scuola chissà che cosa succederebbe. Sono peggio di me, questi ragazzi? No questi ragazzi sono meravigliosi”.
La valutazione. “Non c’è un solo provvedimento che si possa fare perché c’è un milione e duecentomila dipendenti del Ministero dell’Istruzione e genitori che protestano. Ma la valutazione più seria è quella descrittiva. Se non spieghi perché hai dato quel voto la valutazione non serve a nulla. C’è una scuola a Roma dove il voto era stato sostituito da una valutazione descrittiva. A settembre scorso l’iniziativa è stata bocciata. Chi tocca la scuola è finito. La valutazione è una cosa seria. Non si fa carriera ripetendo quel che ti ha insegnato il tuo docente. Ci sono ragazzi che quando incontrano insegnanti che li valutano bene ricambiano con uno sguardo di ritorno che vale di più. Chi ha messo in discussione la scuola dei voti ha capito le cose. Io voglio morire difendendo la scuola pubblica a patto che sia la scuola dei ragazzi, fatta per loro e non per il milione e duecentomila insegnanti”.