A proposito di concorsi, crociate e carbonara: riflessione di un precario. Lettera

Inviata da Francesco Fiore – A proposito della questione dei concorsi, della selezione del personale e della presunta “sanatoria”, vorrei proporre alcune considerazioni di merito poiché, in quanto al metodo, in un Paese che trasforma in scontro ideologico anche la ricetta della carbonara, ahimè, temo ci sia poco da dire.
Le posizioni sono sostanzialmente due: da un lato c’è chi urla all’oltraggio nel caso in cui la selezione non passasse esclusivamente attraverso un concorso fatto di crocettine, prove a tempo e simulazioni varie – come se l’unico modo, il più trasparente, il più corretto per garantire – giustamente e doverosamente sia chiaro – la selezione dei migliori profili per un posto da insegnante fosse esclusivamente quello del concorso tradizionale. Dall’altro quanti, forse anche con una qualche malizia politica, ritengono che le graduatorie siano già belle e pronte e che si debba semplicemente attingere da quelle. Tertium non datur.
Che per le nuove leve si debba costruire un percorso stabile, chiaro ed univoco una volta per tutte è una ovvietà sulla quale non credo di dovermi soffermare.
Preferisco invece spostare l’attenzione sulla selezione del personale precario che da anni già lavora e che alle simulazioni -sotto forma di atti ufficiali – si sottopone in continuazione.
Il concorsone è il modo certamente più equanime ma forse anche più vigliacco – mi si consenta l’espressione – per selezionare il personale.
Secondo quale principio didattico-docimologico dovrebbe essere più “giusto” selezionare un insegnante in base alla simulazione di una UDA piuttosto che sulla scorta di quelle UDA che ha realmente realizzato? Perché una lezione simulata dovrebbe essere più “veritiera” di una lezione svolta in classe ? o perché qualche crocetta sulle norme che regolano la stesura dei PEI dovrebbe mostrare meglio le capacità di un insegnante nel costruire il percorso che poi effettivamente, magari per anni, i ragazzi hanno seguito, sulla scorta del quale sono stati valutati e che un intero consiglio di classe ha ritenuto valido? Non sarebbe possibile e più giusto trasformare gli anni di precariato in anni di continua valutazione e formazione del personale? E cosa mi dice poi un concorso delle qualità umane e professionali di un candidato? Cosa mi dice della sua serietà, della sua buona volontà e abnegazione: arriva puntuale a scuola? Chiede permessi in modo strumentale? Riesce a lavorare con il team dei docenti o litiga con tutti? Affronta con serenità quel mostro multiforme e misterioso che è l’adolescenza dei suoi ragazzi o urla e dà di matto alla prima intemperanza? Contribuisce a rendere migliore la sua scuola? Aiuta quei pulcini che non sanno niente del mondo a diventare uomini e donne responsabili?
Ecco: i concorsi fatti di prove e test cronometrati, quiz pensati spesso solo per sfoltire e non per selezionare, continueranno ad essere uno degli strumenti principali per la selezione del personale ma non ditemi anche uno dei migliori. Ho incontrato troppi insegnanti preparatissimi – come direbbero i miei ragazzi “dei mostri nel loro prof.” – che sicuramente non hanno avuto nessuna difficoltà ad imparare a memoria tomi di leggi e regolette pseudopedagogiche ma che sono stati la rovina di intere generazioni di studenti. Ottimi docenti all’università forse, sicuramente pessimi insegnanti di liceo.
Un buon insegnante è un ircocervo composto per metà di esperienza e professionalità e per l’altra metà di sensibilità e noi abbiamo la possibilità di valutare anche questo attraverso quanto fatto in forma ufficiale per tre anni da queste persone per stabilire se sono dei veri professionisti o degli inetti. Perchè incaponirsi a chiamare sanatoria quella che, se ben pensata, potrebbe essere la forma più veritiera per valutare le capacità di un insegnante. Nessun ristoratore dopo aver fatto gestire la sua cucina ad un cuoco si sognerebbe mai di dire: “Bene, adesso facciamo un concorso per vedere se conosci teoricamente la ricetta della carbonara che da tre anni cucini tutti i giorni”, ma userebbe quel tempo per valutare aspetti che nessun concorso è in grado di valutare. Gli strumenti ci sono. Li si implementasse. Chi dopo 3 anni ha dimostrato di poter fare quel mestiere continuasse, gli altri a casa: 3 scuole diverse, decine di consigli di classe, decine di documenti ufficiali e verbali, 3 comitati di valutazione interna, 3 presidi, 3 segreterie, 3 collegi, 3 dipartimenti etc.etc.
Noi non useremmo mai con i nostri alunni le prove schizofreniche che il ministero in questi anni ha adoperato per valutare le “competenze” dei suoi dipendenti avendo la possibilità di valutarli sul campo; allora perché questa battaglia ottusa e strumentale?
ah già….
nella carbonara ci vuole:
Il guanciale O
La pancetta O
La salsiccia O