A Prato nelle classi con l’85% di studenti cinesi. Il preside: “La cittadinanza è anche un incentivo a partecipare ai corsi fin da piccoli”

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In una delle città più multietniche d’Italia, la questione della cittadinanza per gli studenti stranieri si presenta con urgenza e concretezza. Mario Battiato Musmeci, preside di due istituti comprensivi pratesi, Gandhi e Mascagni, con circa 2.300 alunni, sostiene l’importanza dello Ius Scholae come strumento per affrontare le sfide e le opportunità di una realtà scolastica sempre più multiculturale.

“Lo Ius Scholae, pur non essendo una soluzione perfetta, rappresenta un passo avanti significativo”, afferma al quotidiano Avvenire, Battiato Musmeci. “Consentirebbe a chi frequenta le scuole elementari e medie di ottenere la cittadinanza italiana entro le superiori”. Il preside sottolinea come molti studenti stranieri, nati e cresciuti in Italia, si trovino a dover affrontare complesse procedure burocratiche, come la richiesta di visti per partecipare a gite scolastiche nell’Unione Europea. Lo Ius Scholae semplificherebbe questi iter, riconoscendo l’appartenenza di fatto di questi giovani al tessuto sociale italiano.

Pur auspicando un modello di Ius soli temperato, simile a quello adottato in altri Paesi europei, Battiato Musmeci riconosce la necessità di cogliere le opportunità offerte dallo Ius Scholae. “Nelle mie scuole”, spiega, “molte famiglie non italiane, per motivi culturali, tendono a non iscrivere i figli alla scuola dell’infanzia. Una legge che concedesse la cittadinanza dopo cinque anni di studi, a partire dall’infanzia, incentiverebbe la partecipazione di questi bambini”.

La realtà degli istituti guidati da Musmeci è un microcosmo di integrazione: sessanta etnie diverse convivono nei 13 plessi, con una forte presenza di studenti di origine cinese. In alcuni casi, la percentuale di studenti non italiani supera il 70%, rendendo di fatto impossibile il rispetto del limite del 30% previsto dalla legge Gelmini. “Se applicassi tale limite alla lettera”, spiega il preside, “non riuscirei a formare le classi. Il diritto alla formazione, sancito dalla Costituzione, deve prevalere”.

Cosa prevede la normativa attuale

Il tema della cittadinanza torna ciclicamente al centro del dibattito politico, riaccendendo gli animi e dividendo l’opinione pubblica. Attualmente, la legge italiana in materia di cittadinanza risale al 1992 e si basa principalmente sullo Ius Sanguinis, ovvero il principio per cui si acquisisce la cittadinanza per discendenza da un cittadino italiano.

La normativa, però, appare a molti anacronistica e non più adatta a rispecchiare la realtà multiculturale della società italiana. Negli anni, diverse proposte di legge hanno cercato di introdurre modifiche al sistema vigente, aprendo a modelli come lo Ius Soli, lo Ius Scholae e lo Ius Culturae.

Vediamo nel dettaglio le differenze tra queste proposte:

1. Ius Soli: Il principio, adottato da molti Paesi, prevede che la cittadinanza venga concessa automaticamente a chiunque nasca sul territorio nazionale, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. In Italia, lo Ius Soli non è mai stato introdotto, se non in casi specifici come la nascita da genitori ignoti o apolidi.

2. Ius Scholae: La proposta di legge, al centro del dibattito politico negli ultimi anni, prevede la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana al termine di un ciclo di studi. In particolare, i requisiti generalmente richiesti sono: la nascita in Italia o l’arrivo entro una certa età (ad esempio, 12 anni), la residenza legale e continuativa, e la frequenza regolare di almeno 5 anni di scuola.

3. Ius Culturae: Simile allo Ius Scholae, questa proposta lega l’acquisizione della cittadinanza al completamento di un percorso formativo, che può includere anche percorsi di istruzione e formazione professionale.

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