“A fine emergenza, didattica a distanza venga integrata a didattica in presenza”, [INTERVISTA] all’ex sottosegretario Salvatore Giuliano
In un’intervista esclusiva per Orizzonte Scuola, abbiamo analizzato la situazione attuale con il Professor Salvatore Giuliano Preside dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Ettore Majorana” di Brindisi, già sottosegretario all’istruzione nel primo governo Conte.
Professor Giuliano la crisi legata al Coronavirus ci ha costretti ad adottare una didattica a distanza a tempo pieno, qual è il suo giudizio su questa metodologia di didattica che possiamo definire una didattica in versione Covid.
Molte scuole erano già pronte, nel senso che avevano già avviato negli anni dei percorsi di innovazione sia metodologico-didattico che di strumenti, basati anche sulle tecnologie, altre scuole non erano così pronte, ma nel complesso la scuola italiana, per quanto ho potuto osservare, ha fatto un grande passo in avanti. E’ stato un grande momento di formazione, tutti si sono impegnati, in alcuni casi i risultati sono stati eccellenti, in altri un po’ meno, ma tutte le componenti del mondo della scuola si sono impegnate e nel suo complesso hanno risposto bene.
Lockdown e distanziamento sociale stanno provocando ripercussioni psicologiche in molti ragazzi, quanto è difficile fare didattica in questo contesto.
Il Covid-19, il blocco di tutte le attività al fine di contrastare nel miglior modo possibile la diffusione della pandemia ha sicuramente comportato delle fasi nuove. Uno dei valori del nostro paese è rappresentato dalla sua varietà territoriale e culturale, di tradizioni. Anche nel caso del Covid ci sono state situazioni molto differenti, ad esempio una cosa è stata la sospensione delle attività didattiche a Brindisi, dove lavoro, e un’altra cosa è stata la sospensione nella Val Seriana a Bergamo. Dal punto di vista della sospensione scolastica è lo stesso, ma il contesto psicologico tra le due realtà è estremamente differente. In alcuni casi si è reso necessario fare socializzazione, comunità a distanza. Non dimentichiamo che in molte zone quasi tutte le famiglie hanno avuto un lutto, è cosa ben diversa rispetto a zone più fortunate. Si sono dovute affrontare problematiche diverse, ed anche la scuola ha risposto in tal senso, ed è giusto che sia stato così. Si è posta l’attenzione più all’aspetto umano del dialogo educativo. Molte scuole si sono attrezzate con un supporto psicologico, ma sarà importante anche monitorare i dati che emergeranno da questo momento drammatico, per poi trarne una valida base scientifica che sia di supporto per poter prendere decisioni politiche successive.
Un altro grave problema è quello degli alunni perduti, in particolare quelli colpiti dal digital divide, da situazioni familiari difficili e i ragazzi BES e DSA, il Ministero stima che circa il 6% degli studenti, circa mezzo milione, non è raggiunto da alcuna forma di didattica. Analizziamoli uno alla volta.
Il Digital Divide è notevole, c’è, inutile nasconderlo. C’è un gap assolutamente da colmare, molto si è fatto negli ultimi anni in tal senso, ma la strada da percorrere è ancora lunga. In questa fase iniziale, in cui si è avuto un’interruzione immediata delle attività didattiche tradizionali, principalmente in presenza, e si è dovuti procedere all’adozione della didattica a distanza, non c’è stato il tempo per un’adeguata preparazione, di conseguenza si sono create differenti situazioni che hanno portato i dirigenti scolastici ad adottare varie soluzioni affinché nessuno rimanesse escluso dal servizio. E’ evidente che ci sono ancora situazioni in cui bisogna intervenire, però teniamo in debito conto che in pochi giorni, in poche settimane, grazie all’impegno dei dirigenti, dei docenti e grazie allo stanziamento di fondi da parte del Governo, molta di questa perdita di contatto si è ridotta. Non voglio banalizzare, non dimentichiamo che la perdita anche di un solo alunno è un fatto grave, ma teniamo in considerazione che su una platea di 8 milioni di studenti, buona parte, anche se in modi differenti, sono stati raggiunti dalla scuola. La cosa veramente importante in questo momento era quella di tenere salda la comunità mantenendo in qualche modo un contatto.
Tutti hanno risentito di questa situazione, le fasce più fragili ne hanno risentito di più. Le scuole hanno dato una grande prova di efficienza, molto è stato fatto in questo senso, magari con risultati diversi. Nel nostro istituto abbiamo tradizionalmente un considerevole numero di DSA, in particolar modo dislessia, che hanno tratto notevoli benefici dall’utilizzo intelligente degli strumenti tecnologici già in tempi pre-covid. Nell’ara BES, che abbraccia una platea più ampia, si è cercato di risolvere le varie situazioni che emergevano, in particolare sopperendo alle difficoltà di essere raggiunti dalla DaD fornendo gli strumenti necessari. Per gli alunni con disabilità, nel nostro caso, abbiamo lavorato molto con l’insegnate di sostegno seppur con i limiti degli strumenti informatici. Per alcuni alunni è fondamentale anche il contatto fisico, l’essere molto vicini, e va da se che questo non è stato possibile, si è cercato di rispondere come meglio potevamo, ovviamente non tutto è possibile a distanza.
Il suo Istituto, L’IISS Majorana di Brindisi, è sede di “Future Labs” un Progetto d’innovazione in tecnologia e architettura degli spazi. Si parla di ambienti flessibili e stimolanti, funzionali alle nuove metodologie didattiche e alla formazione dei docenti.
Come è strutturato questo progetto e come state procedendo in questa fase emergenziale.
La pronta risposta del nostro Istituto ha permesso di proseguire la formazione anche a distanza. Nel giro di poche ore dall’avvio di formazione a distanza abbiamo dovuto chiudere le iscrizioni per il raggiungimento del limite che avevamo. 3500 insegnanti si sono iscritti ai nostri corsi di formazione, una platea ampia alla quale vanno aggiunti i 20 gemellaggi con altri istituti che abbiamo avviato. Per la formazione abbiamo adottato un format diverso dal classico webinar, dove il formatore racconta la sua esperienza davanti ad una platea di migliaia di persone, abbiamo pensato di formare piccoli gruppi, massimo di 30 partecipanti, in modo da garantire una maggiore interazione, ed abbiamo integrato la formazione di presenza online con 30 ore di tutoraggio online, inserendo i partecipanti in classi virtuali proprio per dare la possibilità di confrontarsi e presentare i propri lavori. Al termine del percorso abbiamo somministrato dei questionari di gradimento anonimi ottenendo un soddisfazione complessiva oltre il 99%, una bella soddisfazione che ci sprona a fare sempre meglio.
Avete formato un gran numero di docenti fino ad oggi, quali risultati vi aspettate da questa formazione.
Dall’attività di accompagnamento e assistenza di tutto coloro che hanno frequentato i nostri corsi, è emerso che sono già partiti ed hanno capitalizzato l’esperienza maturata portandola all’interno delle proprie classi e trasmettendo queste nuove competenze agli alunni. E’ evidente che al termine di questa pandemia non dobbiamo perdere quanto di buono è emerso da questa esperienza, bisogna capitalizzare l’esperienza maturata nel momento in cui torneremo a fare la didattica in presenza. Con questo non voglio paragonare la didattica a distanza con quella in presenza, sono due cose completamente differenti. Quello che invece voglio dire è che sarà importante riuscire ad integrare le due modalità prendendo le eccellenze dell’una e dell’altra e adottare un nuovo modo di fare didattica nella quale ogni docente, sempre nel rispetto della propria autonomia, potrà adottare nuove metodologie al fine di migliorare l’apprendimento dei nostri ragazzi.
Come è composta la vostra task force, quali figure sono necessarie per avere un gruppo di formatori efficace.
La prendo un po’ più lunga, ritengo che la cosa più difficile per tutti noi sia quello di essere donne e uomini degni di questo nome, poi tutto il resto lo impari, impari ad essere un bravo docente, impari ad essere un bravo dirigente scolastico e così via. Uno degli obiettivi principali di un dirigente scolastico è quello di fare squadra, un uomo solo al comando non ha mai pagato, non si è mai andati molto lontani, è importante avere intorno a se una squadra. Per fare squadra è importante dare l’esempio, se sei credibile, se sei il primo a dire adesso noi partiamo con la didattica a distanza, ma sei il primo che si mette in discussione, adesso cominciamo a creare prodotti digitali, ma sei il primo che si mette in discussione, allora sei l’esempio. Voglio dire che se non vieni percepito come una persona che ci crede in quello che sta facendo, difficilmente potrai convincere gli altri. Detto ciò, il nostro metodo è quello di formare i docenti in piccoli gruppi in modo da poter lavorare meglio e far capire come uno strumento tecnologico potesse cambiare la loro didattica. Quando i docenti hanno visto che in fondo era facile, che si poteva fare, in loro è scattato quello che scatta anche nei loro alunni e che è alla base di un processo di insegnamento/apprendimento, che sono la motivazione e la curiosità.
Lei è noto per essere un Preside innovatore, qualcuno dice visionario, una su tutte la sperimentazione sull’orario scolastico incentrato sui cicli circadiani degli studenti. A questo punto vorrei chiederle come immagina la scuola nel futuro, come vede la didattica a distanza dopo l’emergenza, secondo lei deve diventare strutturale e in che modo può integrarsi con la didattica in presenza.
Il mio auspicio è che la didattica a distanza venga integrata con la didattica in presenza, per una serie di motivazioni, dobbiamo prendere coscienza che i nostri studenti cambiano sempre più velocemente, molto spesso i nostri sistemi educativi sono ancorati ad una progettazione, ad una risposta di bisogni e di necessità che erano del 1850 grosso modo, quando sono nati nel mondo i sistemi educativi di massa. Per molti versi siamo ancora ancorati a quel modello, nel frattempo è cambiato il mondo, i nostri alunni cambiano sempre più velocemente, e chi è donna o uomo di scuola nota che uno studente di 4-5 anni più grande dell’altro ha un modo di relazionarsi e approcciarsi diverso rispetto al quasi coetaneo. Spesso siamo rimasti ad un modello educativo di tipo trasmissivo in presenza, invece l’integrazione della didattica a distanza, con l’uso delle tecnologie, utilizzate in maniera intelligente, potrebbe sicuramente aiutare a migliorare diversi aspetti dell’apprendimento, innanzitutto la motivazione, perché è un approccio più simile al modo di essere degli alunni di oggi, ma soprattutto perché sviluppa la creatività. Facendo un esempio, qualunque argomento tu abbia trattato in una classe può essere restituito con un prodotto realizzato dall’alunno, anche un semplice video di due minuti in cui racconta cosa più lo ha colpito o quale sia il significato della lazione, quasi sempre otteniamo risultati sorprendenti, grazie alla creatività dei ragazzi. Quindi la tecnologia utilizzata in questo modo può aiutare a sollecitare aspetti cognitivi di tipo diverso che a livello complessivo miglioreranno gli apprendimenti dei nostri studenti. Ma occorrono metodo e formazione, bisogna essere preparati e formare docenti e studenti.
Si parla continuamente di riforma della scuola e di innovazione tecnologica e didattica, a maggior ragione oggi. Lei afferma che la tecnologia è lo strumento al quale vanno applicate le metodologie didattiche, ma per lei la trasformazione deve iniziare dal basso, come si deve procedere e che suggerimento dà ai suoi colleghi dirigenti scolastici.
Non voglio insegnare niente a nessuno, preferisco racconto la mia esperienza. A me piace sperimentare con cognizione, senza fare salti nel buio, così come molti miei colleghi, e dobbiamo crederci in quello che facciamo per essere da esempio a tutti i docenti. Per quel che riguarda il cambiamento della scuola faccio una distinzione tra trasformare e riformare. In genere una riforma la fa il decisore politico, viene calata dall’alto verso il basso, una trasformazione invece ha un andamento opposto, parte da chi la scuola la fa e va verso l’alto. Ritengo che la politica, come si sta facendo da qualche tempo a questa parte, abbia il compito di ascoltare ciò che quotidianamente tanti dirigenti scolastici e insegnanti fanno in termini di innovazione e assistere questi percorsi, documentarli, accompagnarli e dare la possibilità ai percorsi che hanno dato risultati di essere messi a sistema. Questo approccio funziona di più rispetto ad una riforma.
Lei afferma che a scuola bisogna concentrarsi non sul cosa fare, ma sul come farlo. In pratica chi inizia gli studi oggi terminerebbe il percorso intorno al 2035 e che il 60-75% delle professioni non sono nemmeno state inventate. Un pò quello che afferma Kennet Robinson quando parla di una scuola costruita su una visione obsoleta della società, ci spiega meglio questa sua visione?
Chi si rivolge oggi, nel mondo, ad un sistema educativo normalmente ne uscirà fuori dopo 15-20 anni, in funzione di come sia organizzato il percorso di studi del proprio paese, terminando, quindi, intorno al 2035. Per quella data, come citava lei, il 60-75% dei lavori che si faranno non sono ancora stati inventati, allora chi si occupa di formazione deve pensare a formare i propri alunni ad essere cittadini consapevoli, cercando di dare maggiori opportunità lavorative o di formazione successiva, deve innanzitutto chiedersi cosa trasmettere. Credo che la partita possa essere vinta partendo innanzitutto dal metodo, cioè sul come farlo. Nessuno mette in discussione i fondamentali, ovvero sul saper far di conto, sul conoscere una lingua straniera, conoscere le scienze eccetera, però il problema si pone su come lo fai, quindi non tanto sul cosa fare. E’ importante individuare un metodo efficace ed efficiente. Per essere ciò, un metodo deve esse in grado di rispondere a diversi requisiti, di cui almeno tre sono fondamentali: deve preparare alla collaborazione, alla cooperazione e alla creatività. Se noi improntiamo il nostro modo di fare scuola promuovendo questi tre aspetti, sicuramente oltre al contenuto avremo anche insegnato ai nostri alunni ad avere un metodo, ed è quello che oggi chiamiamo le soft skills. Durante la mia esperienza di governo ho voluto dare un contributo istituendo un percorso che potesse promuovere le competenze trasversali. Al termine del percorso di studi la differenza la faranno soprattutto le competenze trasversali. In pratica oltre a conoscere la materia per la quale viene ricercata una specifica figura lavorativa, avrà più possibilità chi sarà in grado di saper lavorare in maniera proficua in gruppo, saperlo coordinare, saperne esporre il lavoro, ovvero essere in possesso delle competenze trasversali, che si acquisiscono fin da piccoli. La creatività ed il pensiero divergente normalmente si perdono con il crescere, e non è solo colpa della scuola.
Robinson afferma inoltre che la scuola moderna uccide la creatività, non curando il pensiero divergente. Lei è molto attento a questa problematica, come dovrebbe cambiare la scuola?
Kennet Robinson usa questo termine in maniera più forte affermando che la scuola uccide la creatività. Ritengo che non sia solo un problema della scuola, ma anche un problema della scuola, perché non viviamo le nostre giornate per 24 ore nella scuola. Molto si sta facendo e qualcosa sta cambiando. Se volessimo dare una breve definizione di pensiero divergente lo potremmo definire come la capacità di dare più risposte alla medesima domanda, è un po’ una semplificazione ma da l’idea di cosa sia il pensiero divergente. A questo punto ci dobbiamo chiedere se nei sistemi educativi, e mi riferisco non solo al nostro paese, venga data la possibilità agli alunni di fornire risposte originali. o molto spesso queste risposte vengono semplicemente considerate uno scostamento dagli standard valutativi del docente che tende a correggere e riportare sulla strada predefinita l’alunno. Spesso non si incentiva la possibilità di fornire risposte diverse, il che non vuol dire cadere nelle banalità. Ci deve essere un accompagnamento nel processo di apprendimento anche valutando le diverse risposte possibili. Vogli usare una forzatura linguistica, ogni docente, rivolgendosi ai propri alunni, dovrebbe chiedersi “ti insegno” o “ti imparo”, è un approccio estremamente differente, perché il “ti insegno” si basa su un approccio trasmissivo, è il docente che travasa la sua conoscenza all’alunno, che raccoglie quello che può; invece nel “ti imparo” il docente accompagna l’alunno nell’apprendimento, lo stimola, quello che a livello internazionale è indicato con il termine learning by doing, imparare facendo. Comprendere la differenza tra questi due approcci può rappresentare una grande sfida educativa, dando i giusti tempi e spazi per l’apprendimento. La scuola non può più basarsi sulla netta divisione del tempo scuola così come l’abbiamo sempre conosciuta, a scuola si insegna e a casa si impara, è un sistema che non funziona più.
Professor Giuliano, lei ha avuto un’esperienza da sottosegretario all’Istruzione nel primo governo Conte, cosa ci può raccontare di questa sua esperienza, da sottosegretario e come andrebbe migliorata l’organizzazione scuola.
Il Ministero dell’Istruzione credo sia il Ministero più complicato tra tutti i dicasteri del nostro Governo perché si rivolge a milioni di cittadini, una platea molto ampia, trattando una materia delicata quale la formazione delle nostre generazioni e di quelle future. E’ un lavoro complesso, ho potuto vivere dall’interno le istituzioni della nostra Repubblica, un’esperienza che mi ha arricchito. Ho avuto certezza delle tantissime competenze che sono presenti all’interno del Ministero così come ho avuto certezza dei tempi della politica, della mediazione della politica, del confronto parlamentare, tempi che a volte rischiano di far perde l’effetto della soluzione che si era pensata, ma sono i tempi della democrazia e dobbiamo accettarli.