5 in Italiano, 4 in matematica, 3 allo scritto di biochimica. Oggi imprenditore di successo. Una riflessione sui voti e la vita. INTERVISTA a Daniele Biancardi

“Cadere nella vita è facile, così come lo è fare scelte sbagliate, ma ci si può sempre rialzare e decidere di cambiare. Ragazzi, nessuna pagella potrà mai dirvi chi siete veramente e definire le persone che siete o sarete, a meno che non siate voi a decidere che sia così”. Daniele Biancardi è un ex studente, ma anche uno studente ritrovato, dopo una lunga esperienza di Lucignolo prestato alla metalmeccanica. E, subito dopo il meritato diploma di maturità, anche un imprenditore di successo nel campo della formazione e del digitale. “Non può finire così, ho un conto in sospeso con la mia istruzione”, disse a se stesso un giorno…
Oggi Biancardi è a capo di un’azienda leader, ha una moglie, Alessandra, a cui imputa gran parte del suo successo scolastico riconquistato, due bambini, Sara, 11anni e Davide, 8 – “i progetti più belli della mia vita” – una carriera invidiabile. Eppure ha sentito il bisogno in questi giorni di condividere sulla sua pagina Facebook la sua vecchia pagella di studente fallito: 5 in Italiano, 4 in matematica, 4 in Storia, 4 in Laboratorio, 4 in chimica, 3 allo scritto di biochimica, e via dicendo. Una sola sufficienza in parte salva il morale: un bell’8 in Educazione fisica che non salva l’anno scolastico. Quello che fu a cavallo tra il 1994 e il 1995. “Ebbene sì – scrive Daniele – questa era la mia pagella! L’esito fu disastroso: “BOCCIATO”. Nessuna scusa, fu tutta colpa mia”.
“Non avevo voglia di studiare – prosegue Daniele – non mi piaceva la scuola scelta apposta per me, perché era stato deciso che per me sarebbe stata il male minore. Nessuna scusa, rimpiango solo il tempo perso e regalato a quella ideologia di combattere il ‘sistema’ che ai tempi vivevo come imposizione. Oggi condivido la mia pagella per testimoniare che si può cambiare e salire velocemente su quel treno chiamato seconda possibilità. Lo trovo un modo positivo per togliermi finalmente di dosso un’etichetta che non mi rispecchiava e non mi rispecchia. In questi anni ho scommesso su me stesso e semplicemente dando voce alle mie passioni, lavorando duro per renderle realtà. Così, dopo una esperienza catastrofica nella scuola e catapultato nel mondo del lavoro, la voglia di rivalsa ha acceso in me la fiamma di rimettermi in gioco. Non poteva finire così, avevo un conto in sospeso con la mia istruzione. Ho ripreso a studiare, la mattina lavoravo come operaio e la sera frequentavo una scuola serale: è stata dura, ma dal sacrificio ha avuto inizio la mia trasformazione. A conti fatti, da circa 20 anni investo sulla mia formazione e il Daniele di oggi è molto diverso da quello del 1995. Costanza e pazienza sono diventate amiche di vita e mi hanno dato la forza di raggiungere ogni traguardo, ponendomi sempre nuovi obiettivi”.
Ma chi è oggi Daniele Biancardi? “Chi sono oggi? Un imprenditore, un formatore, un divulgatore.
Ho aperto la mia azienda, Kedea, e collaboro con Google For Education, Canva for Education e tante altre realtà del mondo education. Sono specializzato in growth hacking e community management. Parlo di trasformazione digitale, innovazione e strategie digitali nella Scuola. Creo progetti e prodotti che aiutano le scuole a migliorare l’impatto con il digitale. Divoro libri e mi lascio spingere sempre dalla curiosità di imparare nuove cose. Perché ho voluto lasciare questa testimonianza? Perché cadere nella vita è facile, così come lo è fare scelte sbagliate, ma ci si può sempre rialzare e decidere di cambiare. Ragazzi, nessuna pagella potrà mai dirvi chi siete veramente e definire le persone che siete o sarete, a meno che non siate voi a decidere che sia così”.
Quella di Daniele è la storia di un ex studente, bocciato più volte a scuola. E che la scuola aveva a quel punto abbandonato. Bocciato una volta in prima superiore, bocciato una seconda volta in terza, abbandonerà la scuola e si ritroverà a fare l’operaio. Lo farà per sette anni. Poi la scintilla: “Ho un conto in sospeso con l’istruzione”, dice un bel giorno a se stesso. Così torna a scuola da giovane adulto, si diploma, coltiva le passioni che sente dentro, si licenzia dal lavoro, proprio nei mesi che precedono l’esame di maturità. Dopo il diploma inizia una nuova vita. Oggi Daniele Biancardi ha 42 anni, è un formatore affermato. Ha portato a scuola, in tutte le scuole, le sue competenze tecnologiche e digitali create negli anni con la sua azienda e apprezzate e acquistate da altre aziende importanti, come Google. Ha inventato uno dei primi registri elettronici andati a ruba, poi ha cambiato strada. Ma non è una rivincita contro la scuola, la sua. Poiché, dice lui, la scuola ha fatto tutto per me, sono io ad avere sbagliato, ma l’importante è rialzarsi. Tutti hanno diritto a una seconda possibilità.
Daniele Biancardi, certo che non aveva proprio voglia di studiare a 14 anni. Perché?
“Devo dire che non c’è un motivo particolare. Però ha inciso la scelta sbagliata della scuola, che un po’ mi è stata imposta dai miei genitori. E un po’ sono stato indirizzato in quella scuola, che non faceva per me, dal consiglio orientativo della terza media. Io vivo a Somaglia, vicino Codogno. Mi avevano consigliato di iscrivermi in una scuola che fosse meno che una scuola professionale, questo fu il consiglio che mi fu dato dalla scuola media. E così andai all’Istituto professionale Ambrosoli di Codogno, indirizzo chimico. L’idea generale era più o meno la seguente: ti diplomi e poi ti cercherai un posto da infermiere. Ma non era quella la mia passione, la sentivo come una cosa lontana dalla mia persona. Era ceertamente lontanissima dalle mie corde”.
E non si è ribellato?
“Mi sono ribellato un pochino, volevo fare l’Alberghiero a Salsomaggiore, ma era troppo distante. Così ho lasciato correre. I docenti bravi, non era certo colpa loro, si studiava. Ma ero demotivato dal fatto che non mi piacevano le materie, non piaceva quell’indirizzo. Non mi piaceva proprio l’approccio alle materie scientifiche. Tutto quello che stavo vivendo a scuola non era davvero nelle mie corde”.
I docenti sono stati comprensivi?
“Sì, tantissimo. Mi sono meritato tutto. Sono stato bocciato in prima, ho ripetuto la prima, poi sono stato bocciato nuovamente in terza, ma i docenti ci tenevano a portarci avanti. Non ho nessuna colpa da addebitare alla scuola. Nessuna scusa, tutta colpa mia. Rimpiango solo il tempo perso e regalato a quella ideologia di combattere il sistema che ai tempi vivevo come imposizione”.
Che cosa vuol dire?
“Che quando una cosa ti viene imposta, è difficile adeguarti o adattarti in maniera corerente e costante con quello che devi portare avanti. Rimpiango il tempo che ho perso magari nel non dire ai miei genitori e alla mia scuola quello che sentivo. Rimpiango il tempo che ho perso a non riuscire a portare avanti una mia scelta e di cambiare scuola o indirizzo o fare altro. Tutto quello che vivevo a scuola si è trasformato in tempo perso. Colpa mia. Non avevo la maturità per dire: fermi tutti, sto perdendo tempo”.
Perché ha deciso oggi di condividere sui social quella sua sua pagella così disastrosa?
“Ho condiviso la mia pagella proprio per far capire che quando si trova un percorso determinato dalla passione e da qualcosa che senti nelle tue corde le cose cambiano. A tutti è data una seconda possibilità. E a me è successo. Ho scommesso su me stesso, ho puntato sulle passioni. Non poteva finire così, avevo un conto in sospeso con l’istruzione”.
Facciamo un passo indietro. Dopo l’ennesimo fallimento scolastico lei ha deciso come tanti di abbandonare la scuola. Allora si poteva.
“Sì, sono arrivato ad abbandonare la scuola e ho iniziato a lavorare su mia scelta. Vi sto facendo perdere tempo e soldi – dissi ai miei – e non voglio pesare sull’economia familiare. Ho deciso di interrompere gli studi e di andare a lavorare. Sono così entrato in un’azienda metalmeccanica, facevo il tornitore”.
E anche lì…
“Anche quella non era la mia passione. Mi hanno preso e da buon garzone ho appreso il mestiere. E’ durata sette anni”.
La condizione di operaio fa crescere tutti. Qualcosa di positivo gliel’avrà lasciato quell’esperienza.
“Cavolo! Sono le basi del mondo del lavoro. Sono entrato in un’azienda metalmeccanica, ho imparato l’uso del tornio e del trapano, c’erano tutte le basi del lavoro. Ho avuto in quell’azienda una formazione importante sul piano della crescita professionale e su quello della crescita personale. Avevo delle responsabilità vere e proprie, mentre prima erano legate al fatto che io vi fossi obbligato ” .
A un certo punto della sua vita, diceva prima, lei ammette a se stesso: non può finire così, ho un conto in sospeso con l’istruzione.
“Era il 2004, inizia la fase del riscatto, e qui devo tutto a mia moglie. Alessandra era una secchiona, era una bravissima studentessa che aveva percepito che io potevo riprendermi quella parte di istruzione che m’ero persa per strada. Mi ha spinto a fare un corso sull’utilizzo del pc e ho comprato un personal computer. Da quel momento è stato un amore a prima vista per il digitale e le tecnologie. Fino a quel momento non avevo mai avuto un device”.
Erano gli albori delle nuove tecnologie.
“Esatto. Il telefono anche se portatile era ancora solo un telefono e al massimo si spedivano gli sms. Il boom di internet è scoppiato dopo qualche anno. Ma sì compriamolo, questo computer, dissi. E da quel momento l’amore è stato così forte che per la la curiosità che mi ha sempre animato, mi sono iscritto al corso serale dell’Itis Volta di Lodi. Mi hanno convalidato il biennio della prima esperienza scolastica e ho frequentato il triennio del progetto Sirio: facevamo sei ore tutti i giorni e anche il sabato pomeriggio. Così per tre anni. Lavoravo di mattina in azienda e fino alle 17.30, volavo a casa in bicicletta, il tempo di farmi una doccia e preparare un panino e correvo a scuola in auto. Le lezioni iniziavano alle 18.30, andavano fino a mezzanotte circa, poi studiavo la notte e la domenica. Il sabato e la domenica, che tutti dedicano in genere alla ragazza, io le passavo con la preparazione di verifiche e interrogazioni. Ho percepito molto bene il sacrificio. Intanto sono entrato nel mondo della programmazione, un mondo che mi affascinava tantissimo. Arrivato al quinto anno decido di licenziarmi dal lavoro. Avevo capito che volevo a tutti i costi diventare un programmatore informatico. Lasciare il lavoro è stata una scelta sofferta perché stavo per rinunciare a un’entrata economica fissa, era un salto nel vuoto”.
Ne è valsa la pena?
“Ne è valsa la pena. Mi sono diplomato con 83/100 e la cosa carina è che ho voluto colmare le lacune della prima esperienza scolastica. Avevo degli amici che mi davano una mano in inglese, matematica e così, mentre a scuola ad esempio studiavamo i limiti, a casa io facevo le funzioni. Volevo colmare le lacune. O in inglese: mentre la sera a scuola lavoravamo sulla comprensione del testo, io con un mio carissimo amico sono ripartito dalle basi che io avevo trascurato. Facevo anche dei corsi di matematica, e piano piano ho recuperato tutte le lacune. Una volta diplomato, a distanza di qualche mese, ho trovato lavoro in una ditta informatica a Piacenza e per sette anni oltre che programmare ho girato per lavoro l’Europa e il mondo: questo girovagare continuo all’estero per motivi professionali mi ha aperto la mente”.
Fuga da scuola e rientro. E dopo tanti anni lei rientra a scuola addirittura da formatore. Con la sua azienda ha pure inventato uno dei primi registri elettronici, Che scuola, andato a ruba. Poi avete battuto nuove strade, sempre all’avanguardia, anticipando i tempi.
“Dopo oltre 7 anni, dopo tante miglia macinate in aereo, ho avuto la possibilità di aprire un’azienda. Un altro salto nel vuoto. L’idea è stata quella di fare qualcosa di mio e paradosalmente di entrare nel mondo della scuola e dell’istruzione, in una chiave digitale. Desideravo contribuire alla digitalizzazione del mondo dell’istruzione che era un pochino indietro sul piano informatico: era una sfida che sentivo dentro, una sorta di debito con la scuola, volevo fare, stavolta io, qualcosa per la scuola”.
In che cosa consista il suo lavoro lo abbiamo spiegato all’inizio, con le sue parole. Ma qual è la morale di tutta la sua storia?
“La morale è stata cambiare la narrativa della parola fallimento e trasformarla in esperienza. E’ importante credere in sé stessi, avere fiducia in sé stessi e in quello che fai. Fino a quando facciamo vivere il concetto di fallimento come qualcosa di negativo non possiamo trovare la forza di crescere, non accendiamo la scintilla. Per me è stato così. Sperimentare, studiare cose che erano fuori del mio campo. Se non avessi provato queste cose – e fallito nello sperimentare le medesime – non mi troverei ad avere oggi questa trasversalità nel pensiero e nelle idee. Noi dobbiamo trasmettere questo ai ragazzi. Accendere il lume della curiosità. So che è difficile, ma io la porto questa cosa a scuola”.
Come?
“Con un talk all’interno della mia vecchia scuola. In aula magna, proprio nell’istitito che avevo abbandonato, l’Ambrosoli di Codogno. E ai ragazzi porto questo esempio, il mio esempio, che non è di quello di chi ha scalato, è quello di chi semmai ha avuto un percorso di alti e bassi. E quando parlo vedo piano piano accendersi negli occhi dei ragazzi quella curioità che se è poi incanalata nel modo giusto potrebbe almeno in qualcuno di loro creare la stessa scintilla che ho visto accendersi in me, nel mio percorso di studente”.
Come padre, come motiva i suoi due progetti più belli della sua vita?
“Li sprono a fare qualunque cosa. Li spingo molto a sperimentare e a sbagliare. E’ importante che imparino e che capiscano che dietro a qualsiasi cosa ci vuole dedizione, sacrificio e passione”.