4mila decessi nel 2023 per disturbi alimentari in adolescenti e preadolescenti: dalla vigoressia all’anoressia. INTERVISTA a Claudio Calzi
Ma quanto sono magro! Non solo anoressia, non solo bulimia. Le famiglie e gli esperti di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono ora alle prese con la vigoressia (o bigoressia oppure reverse anorexia), una sorta di anoressia all’inverso per cui un numero crescente di adolescenti e anche di adulti, soprattutto di sesso maschile, è in preda a comportamenti quasi ossessivi che scaturiscono dall’immagine alterata del proprio corpo che ai loro occhi appare troppo magro o troppo poco muscoloso. Lo sanno gli esperti, lo sanno le famiglie coinvolte, lo possono intuire gli insegnanti che sempre più spesso sentono parlare in classe, tra i loro alunni, di impegni in palestra, di diete, di orari in cui mangiare magari a scuola un piatto di pasta tenuto nella scodella nascosta nello zaino, “perché prof, alle 15 devo andare in palestra”.
Palestre che fioriscono come i funghi ormai in ogni angolo delle città, molte quelle con orario h24, si paga un tessera annuale, del costo accessibile a tutti, e si va quando si ha tempo, quando si vuole, e anche quando non si vorrebbe ma ormai è vizio… Si sapeva dell’ortoressia, il sempre più diffuso disturbo che spinge ormai milioni di persone a cercare sempre in maniera tormentosa cibi e alimenti sani, e ovviamente di anoressia e bulimia nervose, le più drammatiche, per la durezza con cui questi disturbi si abbattono sulla vita di adolescenti e preadolescenti portando molti di loro alla morte: nel 2023 sono stati 4000 i decessi causati da questi due disturbi. Dieci morti al giorno, il quadruplo rispetto alle inaccettabili morti sul lavoro.
Nonostante l’incidenza dei disturbi alimentari sia in costante crescita nella nostra società, si riscontra paradossalmente una diminuzione dell’attività di prevenzione, soprattutto quella primaria, quella che si dovrebbe attivare in via precoce, prima dei primi segnali del disturbo, molto prima che la malattia sia conclamata, intervenendo se non nelle cause dei disturbi, che sono spesso difficili da inquadrare, quantomeno sugli eventi che le slatentizzano. Ma soprattutto sulla consapevolezza di quel che si sta facendo nel momento in cui ci si sta misurando con il cibo: mangio perché ho fame o per altri motivi? Quali? E quanto durerà il senso di relax nel momento in cui mangio per una motivi legati alla sfera delle emozioni? Si finisce quindi per dover arrivare alla diagnosi, prima di confrontarsi con il problema, in attesa del trattamento. E si trascura la prevenzione, che eviterebbe in molti casi, diagnosi e trattamento, malattia, morte. E la scuola? Che ruolo potrebbe giocare la scuola nella prevenzione primaria dei DNA, disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, per altri veri definiti DCA, disturbi del comportamento alimentare? E nel caso occorrerebbe intervenire nella scuola secondaria di secondo grado o sarebbe meglio farlo addirittura a monte, negli anni della scuola primaria, nella convinzione che un bambino che prende coscienza delle proprie emozioni legate al cibo potrà essere un adulto sul quale con più efficacia si potrà intervenire in futuro?
Di questi problemi ha deciso di occuparsi in maniera concreta un gruppo di psicologi specializzati nei disturbi alimentari che fa capo a FoodNet. All’interno di ARP Studio Associato di Psicologia Clinica il team si occupa da oltre 30 anni della diagnosi e del trattamento di pazienti affetti da disturbi alimentari. E all’interno di ARP – ETS Associazione per la ricerca in psicologia clinica, nel 2017 è stato fondato il primo progetto di prevenzione primaria ai disturbi alimentari in Italia, che si svolge nelle scuole di ogni ordine e grado. Insieme ad Animenta, un’associazione che promuove una corretta divulgazione dei disturbi alimentari, ora FoodNet ha redatto delle Linee guida per attuare interventi di prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare nelle scuole, un documento rivolto non solo a professionisti della salute mentale, ma anche a docenti e dirigenti scolastici che vogliano ospitare nella loro scuola interventi di prevenzione dei disturbi alimentari. Il documento verrà presentato il 21 ottobre 2024 alle ore 10 presso la sala stampa della Camera dei Deputati e poi verrà inviato al Ministero della salute e al Ministero dell’Istruzione e del merito.
Il progetto FoodNet si avvale della collaborazione di un team multispecialistico composto da oltre 30 professionisti: psicologi specializzati nei DNA, i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, psicoterapeuti, nutrizionisti, medici endocrinologi. Il progetto FoodNet è stato avviato all’interno di A.R.P. Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica. A.R.P. – ETS è un’associazione non profit che promuove e realizza progetti di prevenzione, intervento, formazione e ricerca nell’ambito della psicologia clinica. Le attività di A.R.P.- ETS sono finalizzate a sostenere il benessere emotivo delle persone di tutte le età e provenienza socio-culturale. FoodNet è un progetto che si propone di giocare d’anticipo, attuando interventi di prevenzione primaria dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e dunque intervenendo prima che le problematiche legate all’alimentazione si manifestino, con interventi progettati ad hoc per stimolare e favorire lo sviluppo della consapevolezza dell’importante legame tra alimentazione ed emozioni. Grazie al coinvolgimento di un numeroso gruppo di lavoro composto da professioni esperti, junior e volontari, ha attuato interventi di prevenzione ai Disturbi dei comportamenti alimentari in 25 scuole primarie, 5 regioni del Nord Italia, 59 classi quarte e quinte, per un totale di oltre 1.300 alunni coinvolti.
La prevenzione primaria dei DNA, secondo gli organizzatori è poco diffusa, sia a livello nazionale, sia internazionale, ma non solo. “Nel corso degli anni – spiegano gli studiosi che fanno capo a FoodNet – i lavori dedicati a quest’area di intervento sono andati diminuendo ad onta dell’aumento che negli ultimi anni si è registrato nell’incidenza dei DNA, che renderebbe naturale e necessario, al contrario, implementare la ricerca su tali disturbi, con l’obiettivo di mettere a punto programmi di prevenzione efficaci nel contenerne la diffusione”. La letteratura e le evidenze riscontrate da psicologi e ricercatori, dunque, “si stanno muovendo in una direzione opposta a quella che i dati di epidemiologia, e dunque le esigenze della popolazione, sembrerebbero indicare”. Perché, allora, questo paradosso?
“È opportuno evidenziare come tale quadro si collochi all’interno di una più generale tendenza che caratterizza le discipline psicologiche: queste, infatti, sembrano dedicare poco spazio all’attività preventiva e rivolgersi principalmente ai territori della diagnosi e, ancor più, del trattamento. Tale realtà colpisce soprattutto se si considera che l’attività della prevenzione – con la sua potenzialità, dimostrata dalla ricerca scientifica, di migliorare le condizioni di salute generale e la qualità della vita delle persone – esprime e si lega profondamente alla concezione di “salute” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 1948) come di uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità e a quella di promozione della salute, definita nel 1986 dalla stessa OMS come il dare alle persone i mezzi per diventare più padroni della propria salute e per migliorarla. Il percorso che ha condotto a concepire in questo modo la salute e che ha consentito di orientare di conseguenza le azioni a essa collegate è stato lungo e virtuoso, portando a riconoscere alle discipline psicologiche una posizione di cruciale importanza nella progettazione e nell’attuazione di tali azioni”.
Come detto, alla stesura delle Linee Guida assieme a FoodNet, ha partecipato Animenta, un’associazione non-profit nata nel gennaio del 2021 con l’obiettivo di informare, raccontare e sensibilizzare sulle malattie del comportamento alimentare e portare un aiuto concreto su tutto il territorio. Nata durante la pandemia da SARS-CoV-2, Animenta ha adottato come canale di comunicazione preferenziale i social networks, in particolar modo Instagram, ma porta il suo messaggio anche offline: grazie al supporto di una rete di professionisti, la passione dei volontari di Animenta è entrata anche negli istituti scolastici e nelle università. L’associazione è attiva anche su tutto il territorio nazionale attraverso laboratori ed eventi dedicati a chi sta affrontando queste malattie e alle loro famiglie. Animenta nasce dalle storie di chi ha vissuto un disturbo del comportamento alimentare (DCA,) per permettere a tutti di sentirsi meno soli, per raccontare le molteplici sfumature di un disturbo alimentare e per dire che da queste malattie si può guarire. Ad oggi Animenta, grazie al coinvolgimento dei professionisti e a un’ampia rete di volontari, ha organizzato attività, in presenza e da remoto, in più di 30 scuole sparse sul territorio nazionale coinvolgendo più di 3000 studenti. Ha inoltre portato avanti incontri di informazione e sensibilizzazione in numerose università italiane, tra cui l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, l’Università degli studi di Siena e tante altre, anche qui coinvolgendo più di un migliaio di studenti.
Fin dal 2021 Animenta e Foodnet hanno iniziato a collaborare su diversi progetti per diffondere
le tematiche connesse ai DCA “ed è subito stato evidente a entrambe – spiegano i responsabili –le realtà che, pur partendo da presupposti diversi –la prima è stata fondata da persone che hanno sperimentato sulla propria pelle una difficoltà con l’alimentazione, la seconda da professionisti che con tali difficoltà lavorano – , pur avendo macro-obiettivi differenti, finalità di diffusione la prima, di prevenzione la seconda, pur muovendosi in ambiti di intervento non sovrapponibili [prevalentemente nelle scuole secondarie di secondo grado e nelle università la prima, nelle scuole primarie la seconda, la volontà di agire concretamente e di apportare il proprio contributo fattivo a favore dei DCA è lo stesso. Animenta e Foodnet condividono infatti “la consapevolezza della gravità e dell’enorme diffusione dei DCA in Italia, nonché la convinzione dell’importanza di intervenire con azioni concrete a sostegno di chi soffre di un DCA, ma anche di chi gli sta accanto, o di chi entra in contatto – in modo più o meno diretto (per motivi personali o professionali) – a chi ne soffre, o ancora a chi presenta difficoltà legate all’alimentazione pur non soffrendo di un disturbo conclamato. Uniti dalla consapevolezza che si tratta di malattie di cui per decenni si è parlato molto, ma in modo impreciso e inadeguato, e con cui spesso chi ne è coinvolto – direttamente o indirettamente – non sa come interagire, Animenta e Foodnet hanno scelto di unire le rispettive competenze ed esperienze per metterle a disposizione di progetti e interventi mirati a diffondere, sostenere, prevenire e facilitare la cura dei DCA, come per esempio il presente documento, che si pone come proposta concreta in un ambito in cui la necessità è evidente, ma gli interventi sono spesso parziali e poco omogenei”
Ma come stanno le cose sul piano epidemiologico? Finoal decennio passato, spiega FoodNet “l’instaurarsi di un DCA aveva luogo nella fascia di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Ciononostante, negli ultimi anni – e in particolar modo a seguito della pandemia da SARS-CoV-2 – si è assistito a una progressiva anticipazione dell’età di esordio di queste manifestazioni patologiche. La fascia d’emergenza dei DCA si sta infatti ampliando, con un preoccupante abbassamento fino all’età pediatrica: si parla, infatti, di baby anoressia nel 3 per cento della popolazione tra gli 8 e gli 11 anni. L’età di esordio è scesa alla prima infanzia, in cui sempre più spesso si manifestano problemi legati a cibo, identità, peso e immagine corporea già nei bambini tra 8 e 12 anni. Si stima che oltre 300 mila minori italiani ne soffrano”.
Più nello specifico, secondo quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, risultano in carico al 65 per cento dei Centri censiti quasi 9.000 utenti (8.947), prevalentemente di sesso femminile: 90 per cento rispetto al 10 per cento di maschi. Il 58 per cento degli utenti ha tra i 13 e i 25 anni, il 7 per cento meno di 12 anni. Rispetto alla frequenza delle diverse diagnosi, l’Anoressia Nervosa è rappresentata nel 36,2 per cento dei casi, la Bulimia Nervosa nel 17,9% e il disturbo da Binge Eating, o da alimentazione incontrollata, nel 12,4 per cento.
Come documentato dai promotori delle Line Guida, c’è l’evidenza di un ulteriore abbassamento dell’età di esordio: il 30 per cento della popolazione affetta da questi disturbi è al di sotto dei 14 anni rispetto al dato nazionale che, sia per l’Anoressia Nervosa, sia per la Bulimia Nervosa, indica come fascia di età d’esordio 15 – 19 anni, e una crescente diffusione nella popolazione maschile, associata alla delineazione di nuovi disturbi tipici del sesso maschile: Ortoressia, Bigoressia o Reverse Anorexia, una sorta di anoressia al contrario, una visione distorta del proprio corpo visto stavolta non come troppo grasso ma come troppo magro, privo di una muscolatura piacevole.
In particolare, le manifestazioni patologiche nei maschi sono in aumento in età preadolescenziale e adolescenziale. È inoltre importante tenere in considerazione che i DCA sono annoverati tra i disturbi psichiatrici con maggior rischio di mortalità: le complicanze a livello internistico derivate dalle condotte alimentari patologiche si associano a una rilevante compromissione del funzionamento globale e a un elevato rischio suicidario. Quanto ai dati italiani, FoodNet segnala come Anoressia e Bulimia Nervosa causino ogni anno circa 4000 morti: circa 10 decessi al giorno.
A fronte di questa situazione e nonostante l’incremento dei dati epidemiologici non si assiste a un conseguente interesse per la prevenzione primaria. Rispetto al numero degli interventi preventivi prevale il numero di diagnosi e di trattamenti. S’interviene, in pratica, quando il giocattolo si è rotto. Eppure, come sottolineano i promotori delle Linee guida che saranno presentate alla Camera dei Deputati, la prevenzione mira a contenere l’insorgenza di condizioni patologiche, nonché a favorire la diagnosi dei disturbi prima dell’insorgenza di sintomi o complicanze, quando le probabilità di recupero sono massime. Se prestata nei tempi e nelle modalità adeguate, la prevenzione migliora le condizioni di salute generale e la qualità della vita.
“Presenteremo le nostre Linee guida al Ministero per fare in modo che il progetto diventi parte integrante di un programma ministeriale”, ci spiega Claudio Calzi, psicologo clinico, psicodiagnosta, specializzando in psicoterapia. Calzi è conduttore senior degli interventi FoodNet, parte del team di progettazione degli interventi e responsabile della comunicazione sulla pagina FB di FoodNet.
Dottor Claudio Calzi, da dove si può partire per incidere in maniera concreta su questo fenomeno preoccupante?
“Dalla consapevolezza. Questo progetto si occupa di consapevolezza del legame che passa tra le emozioni e l’alimentazione. Lavorando sugli studenti, a partire da quelli che frequentano la quinta primaria, cerchiamo di invitarli a prendere consapevolezza del fatto che non si mangia sempre per fame ma che certi comportamenti alimentari sono talvolta determinati da stati emotivi. Bisogna riflettere per capire se stiamo mangiando perché abbiamo fame o per risposta a uno stato emotivo”.
E’ meglio intervenire al più presto, in età precoce?
“Quando si ha consapevolezza di questo, fina da bambini, da adulti ci si può comportare in maniera più efficace. Specie nei pazienti con disturbo alimentare il cibo o la privazione del cibo possono diventare una strategia del contenimento emotivo. La nostra intenzione è di non arrivare a quel punto. Riteniamo sia importante avviare una riflessione tra la correlazione tra le emozioni e il cibo in modo di avere più consapevolezza del proprio stato emotivo. E’ importante che le emozioni vengano regolate dal pensiero, che vengano pensate, e non regolate dal cibo. Il cibo è solo uno degli strumenti con cui si può regolare lo stato emotivo ma nel momento in cui diventa uno strumento di elezione è possibile che ci sia un disturbo alimentare. anche se non è automatico”.
Quali sono?
“I disturbi sono sempre più diffusi: abbiamo l’anoressia nervosa, bulimia nervosa, il disturbo dell’alimentazione incontrollata. Anche se non sono presenti nel DSM5 (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ndr) che è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, ci sono anche l’ortoressia, sempre più diffusa in una società che promuove il benessere, la vigoressia, che è una forma più diffusa nella popolazione maschile: è come un’anoressia al contrario, caratterizzata da una certa rigidità, da una fissazione per gli allenamenti, per la crescita muscolare. In adolescenza l’immagine di sé corporea è importante”.
Si sa qualcosa delle cause? Anche qui c’è lo zampino dei social?
“Ricorrono vari fattori che concorrono a esacerbare qualcosa di preesistente. Non sono i social la causa. I social semmai slatentizzano situazioni pregresse. Diffiderei dal pensare che siano i social a causare questi disturbi, non è da lì che partono. Le radici sono più lontane”.
C’entrano la famiglia e la scuola, gli adulti di riferimento?
“Il contesto familiare e di relazione con i genitori è la sede più plausibile. Il rapporto con la scuola è un contesto di sfida in cui si confrontano con gli insegnanti e con i pari. Ma il gruppo dei pari ha una salienza più evidente rispetto al passato. Durante l’adolescenza ha una salienza maggiore quella della famiglia ma poi prevale quella dei pari e all’interno di questo contesto si vivono varie sfide, la competitività e tante altre. Il contesto scolastico da parte sua è un terreno di coltura per confronti e conflitti”
Qual è il ruolo delle emozioni nella produzione di questi disturbi?
“Il modo come ci sentiamo dentro ci orienta. Avere in mente le emozioni è uno strumento potentissimo. Avere in mente le emozioni permette di interagire con il cibo in modo più consapevole. Dobbiamo promuovere sempre la consapevolezza”.
Come si può definire la consapevolezza?
“La consapevolezza è una condizione in cui si è al corrente di quello che si sperimenta. E’ conoscere chi si è, come si è, come ci si rapporta con sé stessi e con l’alimentazione. E’ una delle aree in cui l’essere umano va a rapportarsi con l’altro e l’altro può essere anche il cibo”.
Facile a dirsi.
“Spesso è complesso. E’ per questo che promuoviamo la consapevolezza preventiva. Faccio un esempio: se io so che quando sono agitato mangio le patatine perché avverto che mi danno un senso di relax e che mi aiutano a scaricare la tensione, un conto è se sono consapevole di questo, un altro conto invece è se non ho consapevolezza del meccanismo emotivo di quel che sto facendo. Il tema è la pervasività del comportamento. Se agisco un comportamento disfunzionale, nell’immediato ho sollievo, ma di fatto non sto costruendo uno strumento efficace per regolare la mia emotività in tumulto, ricorrente e sistematica”.
Ed è facile o è difficile arrivare alla consapevolezza?
“Non è immediato. E’ sfidante. Anche il lavoro di prevenzione lo è: il nostro progetto si sviluppa in quattro fasi, ci vuole del tempo perché vengano interiorizzate le consapevolezze che vogliamo promuovere. E’ necessario che ci sia un’alleanza tra noi, gli insegnanti, le famiglie, e poi con i bambini e i ragazzi. Interveniamo fin dalla quinta della scuola primaria, alle superiori spesso il disturbo è già conclamato. Peraltro, non interveniamo sul tema del cosa sia giusto mangiare o no, a noi interessa promuovere la consapevolezza del legame tra le emozioni e il cibo, del come ci si sente e sul modo in cui ci si rivolge al cibo. Questo diventa uno scudo protettivo perché se sono consapevole di come mi sento, meno userò il cibo per regolare il modo come mi sento. Se io so di essere triste cercherò di usare degli strumenti più mentali per regolare la tristezza. Se non sono consapevole del perché sono triste è più possibile che mi rivolga al cibo ma devo sapere che è uno strumento effimero che può determinare quadri più gravi”.
Le scuole interessate a contattarvi come possono fare?
“Ci possono contattare attraverso il sito web di FoodNet”