Università, UDU: dati OCSE confermano necessità investimenti e abolizione numero chiuso

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UDU –  È stato pubblicato oggi il report dell’OCSE Education at a glance 2017: i dati sull’Italia, come d’abitudine ormai negli ultimi anni, mostrano uno scenario immobile, sottofinanziato e in cui l’Università è il riflesso più evidente delle crescenti disuguaglianze, cui non vengono opposti efficaci interventi strutturali.

Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari, dichiara: “Il nuovo report Education at a glance dell’OCSE fotografa la situazione dell’istruzione nel 2016: tra i 25 e 64 anni solamente il 18% della popolazione ha una laurea, su una media OCSE del 36% e una media europea del 33%. Pur focalizzando l’attenzione sulla fascia 25-34 anni, in Italia il 26% ha una laurea a fronte di una media OCSE del 43% e una media europea del 40%. In Europa nessuno fa peggio di noi e, tra i Paesi considerati, solamente il Messico si posiziona alle nostre spalle con il 22% di laureati. Un altro dato interessante riguarda l’età media della prima laurea: 25 anni, perfettamente nella media dei Paesi europei e addirittura inferiore a quella dei Paesi OCSE. Quest’ultimo è un dato significativo, se si considera quanto sia diffusa la retorica per cui l’Italia rappresenterebbe un’eccezione per quanto riguarda l’età media dei laureati, e dimostra quanto sia stato ingigantito il falso “problema” dei fuori corso”.

Prosegue la coordinatrice dell’UDU: “Nella popolazione dai 25 ai 34 anni, l’occupazione dei laureati è al 64%, dato appena di poco superiore a quello dei diplomati (63%). Il dato è il più basso tra tutti i Paesi OCSE, dove la media è dell’83% e a fronte di una media europea dell’82%. Va inoltre sottolineato un dato di disoccupazione dei laureati alle stelle, 15,3% rispetto alla media OCSE 6,6% e alla media UE 7,4% (fanno peggio di noi solamente Spagna e Grecia), e il tasso di laureati inattivi più alto tra i Paesi OCSE, ben il 24%.

A ciò si aggiunge un gender gap molto marcato: a fronte di costi identici sostenuti per raggiungere il titolo di studi, i benefici una volta dentro al mondo del lavoro vengono quantificati per la componente femminile in misura pari alla metà di quanto ottiene la componente maschile”.

Conclude Marchetti: “La pagina nera in cui rintracciare gran parte delle cause di questi dati, è quella relativa ai finanziamenti. Per quanto riguarda l’investimento complessivo in istruzione, l’Italia spende 9317 dollari per studente, a fronte di una media europea di 10.897 dollari e di una media OCSE di 10.759 dollari. Focalizzandosi sulla sola educazione universitaria, l’Italia impiega 11.510 dollari a fronte di una media OCSE di 16.143 dollari – ed è impietoso il confronto con Francia – 16.422 dollari – e Germania – 17180 dollari -.

L’Italia nel 2014 ha investito il 7,1% in istruzione (ultimi nella “classifica” OCSE, dove la media è il 7,1%) e solamente l’1,6% in educazione terziaria a fronte di una media OCSE del 3,1%.

Di fronte a questi dati non bisognerebbe stupirsi del crollo degli iscritti e degli immatricolati dal 2008 in poi, in uno scenario di assenza di investimenti sul diritto allo studio e sull’università nel suo complesso.

L’Italia, per potersi togliere la maglia nera delle classifiche OCSE deve iniziare a investire in provvedimenti strutturali, mirati a ricostruire il sistema universitario, con risorse finalizzate al reclutamento, all’abbattimento delle barriere all’accesso, come il numero chiuso e le tasse universitarie (le terze più alte in Europa) e il bassissimo numero di studenti borsisti”.

Lorenzo Varponi

Responsabile Stampa UDU-Unione degli Universitari

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