Un’idea diversa di scuola, i presupposti per una riforma organica. Lettera

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Serenella Pelaggi – Recenti proposte del Ministero dell’Istruzione in merito alla durata dei cicli scolastici, suscita perplessità per la loro frammentarietà e natura disorganica.

In Italia si comincia spesso dal cappello, come le cosiddette riforme degli esami di maturità.

Il ritardo e il mancato obiettivo dibriforma della scula secondaria superiore, nonché Il fallimento dell’evidente escamotage di introdurre la laurea breve per far figurare piú laureati in Italia ha le sue radici nella MANCATA RIFORMA DELLA SCUOLA SECONDARIA e della REVISIONE DEI CICLI, nonché la mancata ANTICIPAZIONE DELL’ USCITA DA SCUOLA ALMENO DI UN ANNO, e via dicendo.

Ne consegue la necessità di un riordino dei criteri di reclutamento, di valutazione, di selezione in corso di studio, e degli obiettivi educativi.

Difficile essere sintetici su un tema così complesso, ma provo a enumerare i punti principali:

– istituzione di due soli cicli scolastici, primario e secondario, ciascuno di 6 anni, a loro volta suddivisi in due cicli di 3 anni ciascuno;
– ne consegue l’abolizione della scuola media;
– ne consegue necessaria e doverosa l’uscita da scuola prima della maggiore età, cioè dei 18 anni;
– i criteri attuali di formazione delle classi ricordano solo il sistema militare: l’età anagrafica, l’irregimentazione dentro la ‘gabbia’ della classe, criterio che può valere tutt’al più per l’ammissione alla prima elementare, o per il primo ciclo triennale della primaria; ma anche lì ci siano bambini che potrebbero cominciare a 4, 5, o 7 anni, a seconda del rispettivo specifico grado di maturità;
– criteri di selezione:

l’unico sistema per fare della selezione uno strumento equo ed efficiente di spinta e di motivazione, invece che uno strumento di umiliante punizione e stigmatizzazione, è quello di introdurre la flessibilità curricolare, permettendo agli allievi di seguire la progressione delle materie, e smettendo di imporre le materie in blocchi di 7-10 l’anno; ciò signica che se un alunno non supera matematica, frequenta il livello successivo delle materie che ha superato e ripete lo stesso livello di matematica, la materia non superata; questo modello si applica fino a superamento dei livelli minimi della materia per ciclo; una volta soddisfatti i livelli minimi, lo studente sarà libero di abbandonare le materie in cui non riesce, e avviarsi alla selezione di quelle che intende portare avanti, per un titale di min. 3 – max 5 alla fine del 2° ciclo della secondaria;

– flessibilità curricolare significa che l’alunno non è legato alla artifiviale e condizionante formazione classe e al blocco di 7-12 materie da superare ogni anno cronologico in blocco, come in un addestramento militare, ma permettere la frequenza di livelli per ciascuna materia adeguati alla preparazione individuale dell’allievo, non al presunto livello medio del variegato e difforme gruppo classe;

– per realizzare la flessibilità curriculare è necessario produrre una SISTEMATICA DELLE MATERIE, stabilire ciò livelli e codici precisi per ogni stadio progressivo delle singole discipline, per ogni ciclo e ogni anni di ciascun ciclo, che sia standard sul territorio nazionale e corrisponda ad equivalenti a livello europeo, consentendo agli studenti la frequenza di ciascuna disciplina secondo il suo livello.

– abolizione dunque di corsi integrativi, debiti educativi eccetera, lo studente non è mai bocciato, respinto o in debito, è al suo livello e frequenta le materie in base al livello che effettivamente corrisponde alla sua attitudine e competenza;

– spontaneamente ciò realizzano sia l’orientamento scolastico, che passa dalle parole ai fatti, e quella che sarà la sua specializzazione nel secondo triennio della secondaria, al quale sarà opportuno arrivare con minimo di 3 / massimo di 5 materie;
– altrettanto automaticamente si effettua la autoselezione nelle materie o nel campo disciplinare verso cui orientare il diploma del secondario;
– automaticamente si realizza la scuola secondaria unica, laddove sono gli alunni a seguire le materie e non le materie a inseguire l’alunno, e le formazioni classe a imprigionarlo in base all’unico criterio opinabilev dell’età anagrafica;
– chi arriva alla fine del 12° anno ottiene il suo Certificato di frequenza della Scuola Secondaria, utile all’immissione nel mondo del lavoro, ed esce dalla scuola;
– in tal modo si realizza l’obbligo scolastico fino ai 16/17 anni;
– Educazione Permanente, se l’ Italia si decidesse a realizzarla, in seguito chiunque potrebbe arricchire il proprio curricolo, tornando a scuola a studiare, materia per materia, ciò che gli serve di integrare per il lavoro o per formazione personale, o per accesso all’università;

– chi vuole andare all’università, avendone i requisiti, ossia buoni risultati almeno in 3 materie, si iscrive al 13° anno della scuola Secondaria, in quelle materie in cui ha raggiunto lodevoli risultati, e superato l’anno di formazione per l’ accesso all Università, con l’ Esame di Stato, ottenendo il Diploma di Scuola Secondaria, può accedere a quelle discipline accademiche in cui ha raggiunto un buon livello di preparazione, e non altre – salvo poter integrare e compensare sempre in futuro all’interno dell’ Educazione Permanente.
– anche la formazione universitaria dovrebbe offrire maghiore flessibilità, permettendo agli studenti di laurearsi anche in 2 o 3 materie appartenenti a campi disciplinari diversi; questa strategia è vitale in special modo per la formazione docenti, laddove un insegnante potrebbe essere abilitato in una Lingua Straniera e in Matematica, o Educazione fisica, con grande giovamento per il funzionamento delle scuole, previa revisione profonda delle classibdi concorso e delle relativa graduatorie pe l’ammissione all’insegnamento;

Senza tenere conto di questi fattori di innovazione, è superfluo lamentare l’abbassamento del livello di preparazione in uscita dal secondario, come la mortalità nel corso degli studi universitari.

Sarà anche opportuno eliminare gli equivoci oggi legati alle denominazioni dei totli divsudio universitari.

Dopo la tardiva e attesa introduzione dei Dottorati, non ha fondamento denominare dottore il diolomato unirsitario di primo livello, triennio. Dopo l’introduzione del Master, non ha fondamento chiamare il biennio specializzazione, bensì andrebbe denominato laurea magistrale.

Solo successivamente è plausibile l’accesso al ciclo del Dottorato, e ancora una volta la denominazione ‘di ricerca’ è ridondante, perché trattasi qui sì di specializzazione, sia che riguardi le displine umanistiche che quelle tecnico-scientifiche. Lr specializzazioni mediche ad esempio rientrerebbero a pieno titolo nell’ambito dei dottorati, e Dottore sarebbe chi ha completato tutto questo intero ciclo di studio, non per dedicarsi necessariamente alla ricerca, ma anche per immettersi qualificato nel mondo professionale.

Inutile dire che analoghi modelli si trovano in efficiente operatività da lungo tempo in altri paesi, europei e non, e che tale strutturazione del percorso educativo semplificherebbe e arricchirebbe il sistema.

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