Una docente si assenta per sciopero, malattia e aspettativa. I genitori si ribellano ritirando i figli dalla classe

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Anno 2016. A Trieste accade che una docente di scuola primaria, accusata di aver fatto diverse assenze, sciopero, malattia ed aspettativa, vede i genitori della sua classe inscenare una protesta incredibile.

Come ha denunciato la stampa locale, il Piccolo, sono stati addirittura ritirati i figli da scuola durante le ore dell’insegnante in questione. Ora, l’insegnante è sotto osservazione.

Non voglio tanto entrare nel merito di questa vicenda, perché è facile intuire che forse vi sarà dell’altro e che queste assenze conseguenti all’esercizio di un diritto previsto dal Contratto e dalla Legge, non possono essere messe in discussione.

Però, l’esercizio di diritti citati, sciopero, malattia ed aspettativa, hanno determinato l’ira funesta dei genitori.

E’ diritto dei docenti potersi assentare? Chi conosce il mondo della scuola sa bene che i docenti fanno di tutto per non assentarsi, per non perdere le loro ore di lezione con la propria classe, e comunque quando questi si assentano la scuola deve provvedere a coprire le supplenze.

Cose più gravi di queste sono accadute in questo anno scolastico e non mi pare di aver registrato proteste da parte dei genitori. Ad esempio materie come l’inglese e non solo per più di un mese non sono state insegnate a causa del disastro di cui alla “buona scuola”, perchè mancavano i docenti. Ma qualcuno ha visto i genitori protestare? Non mi risulta.



Come è noto costituiscono in via generale principi generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l’esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375). . I principi di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico.

La Cassazione Civile, sez. III, sentenza 18/09/2009 n° 20106 ha affermato che gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale – sono i seguenti:

“1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;

2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;

3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;

4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.

È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l’ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.

E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti – ed i diritti connessi – attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.”

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