TFA III ciclo e formazione docenti: Per filosofia e lettere, lauree quinquennali a ciclo unico e sesto anno con pedagogia e tirocinio

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III ciclo TFA: Atenei consorziati a livello regionale e procedure di selezione e assegnazione tirocinanti più rapide e razionali. La proposta organica del prof. Emanuele Dettori (Tor Vergata)

III ciclo TFA: Atenei consorziati a livello regionale e procedure di selezione e assegnazione tirocinanti più rapide e razionali. La proposta organica del prof. Emanuele Dettori (Tor Vergata)

Emanuele Dettori, docente di Letteratura Greca all’università Tor Vergata di Roma, vicepresidente del Coordinamento TFA di Ateneo e coordinatore delle classi di concorso umanistiche del Tirocinio Formativo Attivo, interviene nel dibattito sulla formazione iniziale degli insegnanti e spiega meglio una proposta già lanciata sul nostro portale sottolineando che “il luogo dove il docente universitario disciplinarista può intervenire con più efficacia non è quello della formazione iniziale dell'insegnante, ma quello dell'aggiornamento in servizio, con l'aiuto di figure provenienti dal mondo della scuola”.

Professore, ci piacerebbe partire dalle questioni che sembrano urgenti oggi: in previsione di un III ciclo TFA, quali correttivi bisognerebbe apportare prima dell’uscita del nuovo bando.

“Vorrei iniziare da alcuni punti che considero irrinunciabili da un punto di vista generale. Si deve dare a tutti i potenziali aspiranti la possibilità di tentare il percorso abilitante e possibilmente di farlo nella propria regione. Non si può lasciare questo diritto all'arbitrio delle istituzioni accademiche di attivare o non attivare il percorso di TFA per determinate classi. Mi rendo conto che gli Atenei possano non avere le competenze per tutte le classi o possano ritenere non economico, come in effetti non lo è, attivare classi con numeri molto bassi di partecipanti, ma bisogna coordinare a livello regionale per una ottimizzazione delle risorse accademiche. Sottolineo che la soluzione del corso a distanza è al ribasso per quanto riguarda la qualità, come evidenzia la stessa normativa, che giustamente limita l'erogazione dei corsi a distanza a una sola componente, quella psicopedagogica, e solo in parte. A questo proposito, colgo l'occasione per dire che in ragione di tutto ciò non si capisce la pretesa di partecipazione delle università telematiche a questa attività formativa (forse mi sfugge qualcosa) e trovo molto inquietante il silenzio ambiguo che il Ministero ha tenuto a lungo quando si è presentato il problema”.

Suggerirebbe, quindi, agli atenei di consorziarsi tra loro nei limiti delle regioni?

“Esatto, io prevederei un obbligo al consorzio. Solo se le Università si consorziassero a livello regionale potrebbero gestire in maniera unitaria e omogenea le fasi almeno fino alla conclusione delle prove scritte e orali di accesso (che debbono essere uniche a livello regionale; le prove possono svolgersi anche nei locali delle diverse istituzioni). Non è concepibile che si arrivi alla composizione di graduatorie uniche basate su prove di carattere eterogeneo e con le commissioni più disparate. Ovviamente, il consorzio aiuterebbe quel coordinamento di cui parlavamo prima”.

A proposito di coordinamento, per questo II ciclo siamo già quasi a marzo e non tutti gli idonei hanno ottenuto l’assegnazione della loro sede.

“Gli idonei, sia a livello infraregionale sia a livello interregionale devono essere assegnati entro settembre/ottobre. Ovvero non si deve più assistere alla dilatazione dei tempi cui assistiamo attualmente con sconcerto, dovuta alla combinazione delle procedure escogitate dal Ministero (in maniera prevalente), e di cui fanno le spese anche gli USR, e dai ritardi delle Istituzioni accademiche nella chiusura delle graduatorie. Preselettive a giugno, scritti e orali a luglio, con assegnazione degli idonei agosto/settembre mi sembra una previsione plausibile dei tempi.

I posti, attribuiti su base regionale, non sarebbero assegnati alle singole Università, ma alla struttura consorziale. La struttura consorziale può ovviamente distribuire i posti o intere classi tra gli Atenei: questo deve essere compiuto prima dell'inizio delle prove preselettive”.

Veniamo a un’altra questione sostanziale: in base a quali criteri definire il numero di posti disponibili?

“Se il Consorzio distribuisce i posti alle Istituzioni questo deve avvenire in base a criteri ragionevoli: uno è quello, già utilizzato in questa occasione, della presenza della Laurea magistrale che dà accesso alla classe di concorso, ma questa va combinata con la presenza nell'Istituzione di un organico di ruolo sufficientemente ricco da far supporre che la stessa possa sopportare degnamente, per le classi in questione, l'onere dei corso TFA insieme al resto della sua offerta formativa. Il Ministero promise, per questo ciclo, che avrebbe dato indicazioni in proposito a criteri di distribuzione, ma non se ne è mai saputo niente.

Nella distribuzione è necessario evitare la costituzione di classi (intese come insieme di discenti fisicamente compresenti in aula) con numerosità alta: soddisfano l'avidità finanziaria delle Istituzioni che se le assumono, ma vanificano l'efficacia della didattica”.

Dopo i criteri, parliamo delle preselezioni e delle selezioni. La soddisfa il modo in cui sono concepite adesso? Per le prove scritte e orali, è d’accordo con l’idea di inserire nel bando dei subprogrammi?

“Non mi piace la selezione a quiz, ma non sono in grado di proporre una soluzione diversa per una pre-selezione.

Deve essere oggetto di molta cura da parte delle Istituzioni la scelta delle sedi ove svolgere le prove preselettive. Si è sentito spesso di situazioni di aule-pollaio, in cui era impossibile preservare la natura 'individuale' della prova, situazioni, tra l'altro, a rischio di ricorso.

Per quanto riguarda le prove scritte e orali, sono contrario a specificare subprogrammi di esame oltre alle indicazioni che per questo ciclo si trovavano nel bando: ovvero che le prove vertono sui programmi disciplinari per le relative classi di concorso”.

Un altro aspetto molto dibattuto è il costo per i tirocinanti. Lei pensa che sia giusto far pagare un conto così salato per la frequenza di un corso che sarà spendibile praticamente solo all’interno della PA e non darà accesso a nessuna carriera libero-professionale?

“Io posso anche essere d'accordo, in linea di principio, che il tirocinante non dovrebbe pagare il suo percorso abilitante, ma in ogni caso, vi sono istanze che bisogna risarcire per l'impegno: la docenza universitaria; l'Istituzione che mette a disposizione le strutture; le scuole che mettono a disposizione la struttura e i tutor dei tirocinanti (tra l'altro, il compenso per le scuole le istituzioni accademiche lo devono prevedere per legge, fortunatamente, aggiungo). Qualcuno i soldi li deve tirare fuori, per l'elementare principio che il lavoro va ricompensato. Il problema del pagamento della docenza potrebbe essere risolto comprendendo le ore di docenza del TFA tra quelle dovute nell'impegno didattico del docente universitario. Bisognerebbe intervenire legislativamente e aggiungere la docenza nei TFA a quella nei corsi di laurea e di dottorato. Ma poiché tra le ultime disposizioni c'è anche un limite massimo nell'erogazione di ore da parte dei docenti, la coperta tra impegno nei corsi di laurea, nei dottorati e nei TFA rischierebbe di diventare corta e bisognerebbe trascurare qualcosa: sicuramente accadrebbe al TFA.

Inoltre, non ne conosco esattamente i meccanismi, ma noto che, perlomeno nella mia Università, l'erogazione dei corsi a distanza ha un costo notevole. E i colleghi che tengono i corsi psicopedagogici vi devono ricorrere, in parte, per evitare la reiterazione delle lezioni e per la natura stessa delle 'strategie' didattiche che mettono all'opera.

Nella mia idea di TFA i costi potrebbero essere ridotti per l'assenza delle docenze da parte degli universitari. Per adesso non credo che ci sia la ragionevole ipotesi di scendere sotto più o meno i 2500 euro a testa per immatricolato (si può prevedere qualche borsa di studio). Forse la cosa può essere diversa con una forte centralizzazione dell'erogazione dei corsi (e tenendoli entro un numero indispensabile) e, naturalmente, i costi possono essere una variabile dipendente dal numero di tirocinanti, ciclo per ciclo”.

Spesso nelle nostre conversazioni passate ci siamo soffermati sulla figura del tutor coordinatore e ho percepito la grande centralità che lei le attribuisce. Come darle, però, il giusto peso?

“I tutor, coordinatori e dei tirocinanti, sono figure professionalmente fondamentali, molto più rilevanti rispetto al ruolo che dà loro l'attuale configurazione del TFA. Ritengo che la responsabilità della “Didattica disciplinare”, in relazione alla specifica attività della formazione iniziale degli insegnanti sia troppo spostata sugli universitari rispetto alle figure provenienti dalla scuola. È necessaria una loro maggiore valorizzazione, che potrebbe poi saldarsi alla idea di figure intermedie di carriera che si trova nelle attuali riflessioni del governo sulla riforma della scuola.

Per restare comunque alla configurazione attuale, il contingente stabilito dal Ministero (che pure, bisogna dire, soffre il vincolo del MEF) è una ulteriore dimostrazione della tendenza a “fare le nozze con i fichi secchi”. Forse non è necessario che siano proprio uno ogni 15 tirocinanti o frazione di 15, ma almeno uno per classe per ogni Istituzione che ne attiva il percorso dovrebbero essere. Non si può fare il discorso ideologico (e un po' 'peloso') che, trattandosi di metodo, qualsiasi docente di scuola va bene come tutor per qualsiasi classe: i tutor sono fondamentali per la conversione dei contenuti con efficacia didattica, anche in relazione alla tesi finale di tirocinio, della cui confezione sono corresponsabili.

Confidiamo sul fatto che l' “organico funzionale” possa risolvere anche questi problemi”.

Riceviamo da parte dei corsisti molte lamentele sui ritardi, ancora una volta, con cui sono partiti o partiranno i tirocini nelle scuole.

“A parte ciò che dipende dal ritardo generale indotto dalle procedure, l’accreditamento delle scuole sta creando diversi problemi alle Istituzioni accademiche nelle assegnazioni dei tirocinanti e di riflesso sta impegnando le energie degli USR. Le scuole, soprattutto di I grado, non sono molte: per alcune classi la disponibilità di posti nella regione è inferiore alla domanda oppure è molto squilibrata 'topograficamente', rispetto alle residenze dei tirocinanti. Con il rischio di 'deportazione' degli stessi, che rischia di essere micidiale per la serena frequenza dei corsi nelle Istituzioni e addirittura per la loro stessa attività lavorativa.

Senz'altro ci deve essere stata un po' di indolenza da parte delle scuole nei momenti di apertura della procedura di accreditamento (nel Lazio ci sono state due occasioni), ma è opportuno che l'USR illustri con molta forza ed evidenza alle scuole il senso dell'accreditamento. Anche perché è collegato a questa procedura il diritto di abilitarsi da parte dei vincitori della selezione, e soprattutto il diritto di farlo senza situazioni ansiogene create dalla difficoltà di trovare scuole ospitanti accreditate e logisticamente plausibili”.

Ora le farò una domanda che probabilmente la irriterà molto, ma pure le parlo di una istanza presente nel mondo della scuola e che trova, di tanto in tanto, interlocutori a livello sindacale e politico: come vedrebbe un II ciclo PAS?

“Non so chi li proponga, ma è demagogia di quart'ordine e irresponsabilità. Per quanto penso in generale dei PAS rimando alla mia precedente intervista proprio a Orizzontescuola. Qui mi limito a segnalare ai brillanti proponenti la confusione che il provvedimento, perfettamente dispensabile, ha creato a livello di punteggi in graduatoria e a livello di diritto di partecipazione a questo ciclo di TFA. Dico solo, per rappresentare il livello di entropia a cui conducono queste scorciatoie, che nel bando è fatto esplicito divieto agli abilitati PAS di partecipare al TFA, mentre con nota 3214 del 30 gennaio il MIUR ammette come soprannumerari quelli che abbiano infranto quel divieto e abbiano superato le prove.

L'inopportunità dell'iniziativa di nuovi PAS è ancora più flagrante nel momento in cui il Governo sembra disegnare un processo ordinato di reclutamento (al di là di cosa si pensi delle modalità: io avrei trovato più giusto e onesto intellettualmente far partecipare a un concorso tutti gli abilitati, con riserva di posti per quelli collocati in GAE), turn over e abilitazione. Con i PAS si raggiungerebbe ancora una volta il solito obiettivo: favorire senza ragione chi è nato prima, deprimendo sadicamente le chances di chi viene dopo”.

Veniamo al cuore di questa intervista, la formazione iniziale degli insegnanti. Con Franco Biasutti, Presidente della Consulta di Filosofia, abbiamo richiamato la sua proposta a riguardo sintetizzandola erroneamente in un ritorno alle lauree quadriennali in lettere. Vuole chiarire qual è la sua posizione?

“Non sono per un ritorno alla laurea quadriennale, anche se non sarei contrario in linea di principio, ma parto da alcuni punti fermi:

1) la formazione iniziale degli insegnanti non deve essere un campo di sfida tra 'disciplinaristi' e 'pedagogisti': ciò può portare, al massimo, a un compromesso che soddisfi gli interessi di entrambe le componenti, il che sarebbe sicuramente un compromesso al ribasso a danno del percorso formativo. Ognuno deve riconoscere onestamente il suo posto (e i suoi limiti) e evitare di urtare suscettibilità altrui in maniera sostanzialmente sterile. È sperabile che questo sia anche il senso delle parole dell'On. Santerini nell'intervista pubblicata su Orizzonte scuola il 10 febbraio;

2) non bisogna ritenere che la formazione degli insegnanti debba seguire esattamente lo stesso percorso per ogni àmbito disciplinare e per ogni classe di abilitazione. Io parlo solo per la formazione degli insegnanti collegati alle attuali classi A/036, A/037, A/043, A/050, A/051, A/052, A/061;

3) la formazione non deve durare più di sei anni (compresi quelli universitari);

4) indispensabilità della pratica del tirocinio nelle scuole e della acquisizione dei presupposti per abilità didattiche e relazionali (chiosa: sottolineo presupposti, le vere e proprie abilità si acquisiscono con la pratica, per cui ritengo perfettamente inutile dedicare più di un semestre alla formazione psico-pedagogica e didattica di tipo teorico);

5) saldezza della formazione disciplinare. Su questo si è tutti d'accordo, ma deve essere chiaro che determinare quanto tempo ci voglia a raggiungerla e come non è competenza di psicopedagogisti o di politici, essa appartiene ai docenti universitari delle discipline;

6) insufficienza del percorso triennale a che lo studente sviluppi preparazione e maturità sufficiente a innestare su di esse un percorso professionalizzante per l'insegnamento;

7) uno dei punti deboli dell'attuale configurazione è la cosiddetta “Didattica disciplinare” impartita da universitari e il ruolo subordinato, in questo senso, della componente scolastica”.

Saldezza della formazione disciplinare e insufficienza di un percorso triennale, veniamo dunque al cuore della proposta che già ci aveva anticipato nel corso della precedente intervista.

“Proprio così, la riassumerei in questo modo:

a) la possibilità che gli studenti universitari dei Corsi di Laurea in Lettere e in Filosofia (perlomeno questi) che vogliano dedicarsi all'insegnamento e alla ricerca possano usufruire di un percorso di studi quinquennale a ciclo unico (come Medicina, Giurisprudenza e Architettura);

b) che questo percorso quinquennale sia riservato integralmente alle discipline insegnate nella attuale maniera accademica, ovvero senza incursioni di insegnamenti psicopedagogici e/o didattici (ovviamente a meno che non siano inserite nel piano di studi dagli studenti stessi) e senza che le discipline siano solo quelle di stretto interesse scolastico e abbiano una curvatura finalizzata all'insegnamento scolastico;

c) un sesto anno dedicato esclusivamente alla formazione psicopedagogica e didattica, con i pertinenti insegnamenti teorici, il tirocinio a scuola, e l'addestramento a opera dei tutor a convertire in maniera didatticamente efficace i contenuti appresi nei cinque anni universitari (l' “organico funzionale” dovrebbe fornire disponibilità di figure del mondo della scuola idonee a svolgere questo ruolo);

d) la commissione finale rimane composta nella maniera attuale. I docenti universitari 'disciplinaristi' non partecipano alla formazione nel sesto e ultimo anno, ma il senso è che hanno contribuito nei cinque anni precedenti e sono in commissione a verificare la correttezza dei contenuti disciplinari (possono anche essere relatori di tesine d'abilitazione);

e) Corollario: il luogo dove il docente universitario disciplinarista può intervenire con più efficacia non è quello della formazione iniziale dell'insegnante, ma quello dell'aggiornamento in servizio, con l'aiuto di figure provenienti dal mondo della scuola (un accenno si può trovare nella cosiddetta “Risoluzione Santerini”). Su questo tema, molto sentito a quanto risulta dalla consultazione su “La buona scuola” e non solo, so che il governo sta lavorando.

Con una formazione insegnanti nella configurazione che ho cercato di disegnare e un’attività di aggiornamento costante, obbligatoria e seriamente intesa e perseguita penso che otterremmo un assetto soddisfacente, almeno di partenza, nel rapporto tra scuola e Istituzioni accademiche, che è assolutamente necessario”.

Pensa che le Consulte universitarie decideranno di avere un ruolo più attivo di quello che hanno avuto finora?

“Spero che le Consulte universitarie, almeno quelle più interessate, saranno ascoltate sull'argomento. In ogni caso certamente si faranno sentire (come ha già fatto quella di Filosofia) una volta che sull'argomento avremo un testo di riferimento che non siano le poche righe, informi, presenti ne La Buona Scuola”.

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