Il sistema scolastico italiano è al venticinquesimo posto nella classifica mondiale

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GB – L’istituto di ricerca inglese The Economist Intelligence Unit ha stilato la prima classifica mondiale delle scuole perfette. Quaranta i paesi esaminati, dal Regno Unito all’Australia al Giappone:  l’Italia  si piazza al venticinquesimo posto in  graduatoria, scavalcata dalle scuole dell’Est asiatico e da quelle dell’Europa del nord.
Le peggiori scuole sono in Colombia, Argentina, Brasile, Messico e ultima Indonesia.

GB – L’istituto di ricerca inglese The Economist Intelligence Unit ha stilato la prima classifica mondiale delle scuole perfette. Quaranta i paesi esaminati, dal Regno Unito all’Australia al Giappone:  l’Italia  si piazza al venticinquesimo posto in  graduatoria, scavalcata dalle scuole dell’Est asiatico e da quelle dell’Europa del nord.
Le peggiori scuole sono in Colombia, Argentina, Brasile, Messico e ultima Indonesia.

La classifica si basa sulla "curva di apprendimento", che comprende una serie di fattori come la considerazione del ruolo del’insegnante, l’attenzione per la formazione continua e per quella di base, l’interesse per materie tradizionali (come italiano, matematica e scienze) e per quelle del futuro (uso della tecnologia, problem solving, team working). Nella graduatoria viene preso in considerazione anche il fattore "comunità", cioè quanto genitori, insegnanti e alunni collaborino insieme.

Le scuole possono salire in classifica se superano alcuni test internazionali, come quello sulle competenze matematiche o quello sulla lettura.

Ad essere valutata è anche la spesa pro-capite per l’educazione, il Pil, il livello di disoccupazione e lo stile di vita.

La scuola italiana ha il suo punto debole nel ruolo dell’insegnante, una professione spesso vista come ripiego.

Roberto Gulli, presidente di Pearson italiana, spiega al Corriere della Sera: "Quando il ruolo dei professori è riconosciuto, la scuola funziona meglio. Non si tratta solo della retribuzione: per avere buoni insegnanti bisogna offrire una formazione continua. Fare il professore deve essere un privilegio per chi si laurea, non meno prestigioso di altre professioni come l’avvocato e l’ingegnere".

"Investire sull’istruzione vuol dire aumentare il Pil – afferma Roberto Gulli – l’educazione non è solo un diritto acquisito ma un bene da far crescere".

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