Scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre. Lettera di una studentessa ai docenti

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inviato da Rete Studenti Medi Veneto – È una tranquilla mattinata di scuola al liceo Marco Polo di Venezia.

Fisso la finestra, un po’ annoiata dalla spiegazione, il mio riflesso si sovrappone con ciò che c’è fuori, e l’intersezione tra i miei lineamenti e le increspature d’acqua del canale crea un gioco di riverberi quasi magico. Mi sto distraendo. La professoressa di inglese si avvicina silenziosamente al mio banco, ma io sono troppo intenta a fissare quel vetro un po’ sporco per accorgermene.

“Lo scopo dell’educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre.”

La finestra si apre di colpo davanti al mio sguardo sonnolento. La mia testa ritorna in aula, mi volto, un po’ sorpresa: “Lo diceva Sydney J. Harris, un giornalista americano, sai?”

A volte noi studenti necessitiamo semplicemente di ispirazione. Di qualcuno che guidi il nostro sguardo verso gli innumerevoli orizzonti nascosti dietro la nostra quotidianità. La piccola scena che ho appena descritto non si è mai verificata. È la mia personale proiezione immaginaria di una realtà molto più grigia: l’altro giorno, tornata da una delle tante uggiose mattinate al Liceo Marco Polo di Venezia, ho visto su facebook uno stato di una professoressa della mia scuola. “Un altro salvataggio, ma non potevate lasciarli morire…”. Ho immaginato quella professoressa, nella situazione (abbastanza realistica) di me che, distratta, guardo fuori da quella finestra, piazzarsi davanti a essa e cominciare ad abbassare le tapparelle, ad oscurare il vetro, a murarla per sempre. Le parole che scrive sono più pesanti dei mattoni della mia fantasia: «morissero tutti», «vi brucerei vivi», «E poi ho torto quando dico che bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti futuri delinquenti».

Cosa accade quando un docente, anziché utilizzare quelle preziose ore di spiegazione ad insegnare ai suoi studenti come affrontare con mente lucida e aperta la complessità del mondo esterno, sceglie di condividere sul web frasi di odio, che sfiorano l’esortazione alla pulizia etnica? Che cosa avranno pensato i suoi studenti, cogliendo in classe riferimenti al pensiero di questa insegnante, leggendo la sua bacheca? Sono domande che da qualche giorno mi tormentano.

Venezia è piena di finestre e di ponti. Ho sempre creduto che anche la scuola debba essere così, e mi rattrista profondamente notare come non tutti, anche solo all’interno del mio Liceo, condividano questa mia concezione.

I valori dell’istruzione pubblica, in quanto tale, dovrebbero essere gli stessi della nostra Costituzione: uguaglianza e dignità sociale davanti alla legge così come in tutti gli ambiti della vita, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica (e della scuola, in quanto modello della stessa) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Sono nozioni semplici, accessibili e (teoricamente) accettate da tutti.

Noi studenti, noi giovani questo lo abbiamo ben chiaro. In certe occasioni forse è opportuno rovesciare il paradigma docente che insegna – alunno che apprende e lasciare che, per una volta, siamo noi giovani a dare una lezione di civiltà a quella professoressa. Anche le bacheche facebook sono piccoli specchi virtuali, e bisogna usarli con coscienza di ciò che si dice e del proprio ruolo sociale. Trasformarli in finestre, non imbrattarli di odio e ignoranza.

Noi guardiamo fuori, professoressa. E lei?

Caterina Franco, studentessa del liceo Marco Polo di Venezia

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