Riforma esami I grado, Bruschi: si attuino le Indicazioni Nazionali

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L’Ispettore del Miur Max Bruschi è intervenuto, con un lungo post su FB, sulla riforma degli esami di Stato di I grado, che entrerà in vigore il prossimo anno scolastico.

Le modalità di articolazione e svolgimento delle prove saranno definite da un apposito decreto ministeriale che, per l’Ispettore,  deve avere un solo riferimento, ossia le Indicazioni Nazionali, in modo che in sede d’esame si valuti il “grado di raggiungimento del profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, degli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina, così come declinati nel curricolo di istituto”

Nel coso del suo intervento, Bruschi evidenzia Bruschi che le Indicazioni Nazionali tuttora non sono entrate nella quotidianità didattica per tre ordini di motivi che lo stesso spiega.

Ecco il post

Dal prossimo anno scolastico, l’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione è “ristrutturato” e reso omogeneo, nella sua configurazione, sul territorio nazionale, ponendo termine alla sostanziale deregulation post riforma Berlinguer.

L’esame sarà costituito da tre prove scritte (italiano, competenze logico matematiche, lingue straniere) e da un colloquio orale. Uno specifico decreto definirà “le modalità di articolazione e di svolgimento delle prove”. Spero sarà sobrio e punti al sodo.

Non entro nella diatriba sulla severità o serietà del nuovo assetto. Non è la questione principale. Ma mi piacerebbe che nel decreto, senza inventarsi ulteriori sovrastrutture didattico-pedagogiche, vi fosse solo e soltanto un riferimento diretto, esplicito e senza fronzoli a quanto già gli ordinamenti didattici “fissano” come meta del percorso del primo ciclo: “Con le Indicazioni nazionali s’intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza”, sottolinea il DM 254/2012. L’esame di Stato non può che avere come oggetto la valutazione del grado di raggiungimento del profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, degli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina, così come declinati nel curricolo di istituto. Punto. Senza perifrasi o parafrasi, particolari attenzioni, giri di parole. Ce ne sarebbe d’avanzo, e le comunità didattica avrebbe un punto di riferimento univoco. Casomai, la questione è un’altra. Non la polemica sterilissima tra un esame di stato più o meno rigoroso. Oggi, peraltro, non lo è in maniera sistematica. Dipende. Da istituzione scolastica a istituzione scolastica, e da commissione a commissione. Caso strano, proprio le famigerate prove Invalsi (espunte dall’esame, come il presidente esterno), nelle realtà migliori, avevano valutazioni corrispondenti a quelle per così dire disciplinari.

La questione sono proprio le Indicazioni Nazionali e la loro incarnazione in quotidianità didattica. Al di là delle proclamazioni formali, al di là dell’attività di formazione compiuta, non vi è stata una adozione sistematica, come si può riscontrare da tre fatti.

Il primo è costituito, per l’appunto, dagli esami di Stato di fine primo ciclo. Si tratta di una analisi ovviamente empirica. Eppure, vi è un abnorme diversità (non voglio chiamarlo dislivello: perché il dislivello presupporrebbe che tutte le realtà scolastiche abbiano adottato le IN come reale orizzonte) tra scuola e nelle scuole. Un 10, un 9, un 8 hanno un diverso significato, non solo di livelli effettivi di apprendimento, di “maniche” più o meno larghe, ma di “apprendimenti” stessi. La stessa inclusività perde di significato, perché non ha un parametro di riferimento.

Il secondo è costituito da un elemento, stavolta statisticamente desumibile. Il DM 254/2012, è vero, prevede una “gradualità”. Ma basta consultare i RAV e gli Obiettivi dei piani di miglioramento degli IC per verificare come, ancor oggi e a cinque anni scolastici di distanza, l’elaborazione stessa e fondamentale del curriculo verticale di istituto sia indicata come “obiettivo” ancora da perseguire. E non è peraltro detto che le realtà che non lo abbiano indicato tra gli obiettivi l’abbiano effettivamente perlomeno elaborato. Pure, le IN parlano del curricolo di istituto in termini espliciti e cogenti: “Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina”.

Non si tratta, peraltro, di un “adempimento” amministrativo. Ma del punto di riferimento essenziale per le famiglie per la scelta dell’istituzione scolastica e dello strumento principe per una verifica da parte dei dirigenti scolastici, dell’amministrazione e delle famiglie stesse del che cosa effettivamente si insegni. Non è un caso forse che l’altro strumento essenziale di trasparenza, il registro elettronico, rimanga specie alla primaria desolatamente vuoto e che i docenti che impostano un corretto (sottolineo corretto) rapporto scuola-famiglia (costruito, innanzitutto, su un rapporto continuo di informazione) non siano la generalità. Emblematico il caso dei quaderni “tenuti a scuola” e delle prove di verifica consultabili, solo “di persona”, al termine dei periodi didattici o alla fine dell’anno. Vi è l’ossessione di “perdere i documenti”, quasi si trattasse di atti notarili e non di semplici materiali didattici. Ma se una famiglia non vede le verifiche, i quaderni, non ha di fronte una valutazione trasparente che evidenzia le aree di criticità, di miglioramento, di eccellenza, dove va a finire l’alleanza educativa?

Terzo aspetto, e sempre concernente le IN. La norma decreta che “a partire dal curricolo di istituto, i docenti individuano le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più significative, le strategie più idonee, con attenzione all’integrazione fra le discipline e alla loro possibile aggregazione in aree, così come indicato dal Regolamento dell’autonomia scolastica, che affida questo compito alle istituzioni scolastiche”.

Il termine chiave è “integrazione”. Il luogo principe è l’attività di programmazione e il consiglio di classe; tra gli “idola tribus” da abbattere, vi è la gerarchizzazione delle discipline e la loro parcellizzazione. Specie alla primaria, nella quale, paradossalmente, proprio l’assenza di “minimi sindacali” e la “totipotenza” dell’insegnante riduce alcune discipline al rango di insegnamenti neppure ancillari, ma di ore residuali da riempire: non solo in tal modo il raggiungimento dei traguardi di competenza previsti diventa utopico, ma neppure si sfruttano tutte le interconnessioni disciplinari, a partire dagli apprendimenti più banali: nelle ore di arte e immagine gli allievi stanno nei contorni, nelle ore dedicate alla compilazione delle “schede”, (su cui preferisco non esprimermi: personalmente, le bandirei, salvo eccezioni rigorosamente motivate), no… e generalmente saper tenere la matita in mano non è una abilità insegnata (che banalità, direbbe qualcuno), con evidentissimi riflessi sulla “disgrafia”, spesso priva di cause neurologiche. E ancora: ogni insegnamento disciplinare ne richiama, magari inconsapevolmente, altri, comunque e a prescindere: da sempre, sarebbe da aggiungere (per i più vecchi: i famigerati racconti mensili del maestro Perboni e le migliaia di elaborazioni similari compiute e raccolte dai “maestri”, perseguivano o no una varietà di “apprendimenti”? Faceva, Perboni, “Cittadinanza e costituzione” senza bisogno di fondi PON o ore di distacco per progetti) e, soprattutto, nella quotidianità didattica. Capisco che per qualcuno si tratta di prosa (e anche parecchio d’antan), rispetto alla poesia dei progetti. Eppure un edificio privo di fondamenta è inevitabilmente destinato a crollare (e anche qui: i progressivi cali di rendimento nelle valutazioni esterne o i tassi di ripetenza o sospensione del giudizio nei primi anni del secondo ciclo sono elementi da prendere in considerazione, o no?). Fondamenta scavate con un lavoro, insisto, quotidiano.

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