Riforma accesso insegnamento. Boscolo: il docente di sostegno non avrà l’abilitazione in nessuna materia, si separano le carriere

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Prof.ssa Daniela Boscolo* – Dopo un anno di confronti, lo scorso fine luglio, al Tavolo Tecnico dell’Osservatorio Permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità, ci siamo lasciati con una proposta, senza dubbio migliorabile, ma che sicuramente andava verso la tanta auspicata inclusione.

Le cose però, nel frattempo, evidentemente sono cambiate, ma non in meglio.

Non mi riferisco tanto al decreto n° 378, contestabilissimo in vari punti, ma all’atto n° 377 dove viene abbandonato definitivamente l’obiettivo dell’Inclusione per ritornare a quello dell’inserimento o, addirittura, delle classi differenziali.

In questo atto, si legge che dal 2020, per diventare insegnanti nella scuola secondaria, posto comune o sostegno, si dovrà frequentare un percorso triennale retribuito di formazione iniziale e tirocinio. Per accedere a tale percorso si dovrà superare un concorso aperto ai laureati con un certo numero di crediti di pedagogia e didattica (artt.3 e 5). Chi vincerà il concorso su più discipline, oppure su posto comune e sostegno (il concorso per i posti di sostegno prevede una prova scritta in più rispetto agli altri, art.6) dovrà scegliere, fin da subito, il percorso da seguire. «Le opzioni valgono come rinunce definitive alle altre opzioni esercitabili», (art.7), quindi o si sceglie di abilitarsi nella disciplina studiata all’Università e diventare docente curricolare o si opta per la specializzazione sul sostegno rinunciando all’abilitazione disciplinare. Ne consegue che il docente di sostegno non avrà l’abilitazione in nessuna materia.

Durante il primo anno si frequenterà il corso di “specializzazione/abilitazione” a tempo pieno (non è prevista la possibilità di accettare supplenze) alla fine dell’anno lo studente si specializza (abilita) alternativamente nella disciplina o in sostegno attraverso il superamento di un esame.

Il secondo anno prevede ulteriore formazione con attività di tirocinio obbligatoria potendo svolgere supplenze temporanee, il terzo e ultimo anno vedrà il corsista impegnato sempre nella formazione, ma potrà accettare anche supplenze annuali (artt. 11 e 12). Il percorso triennale di formazione iniziale e tirocinio si conclude con una valutazione complessiva delle attività svolte dal contrattista nel triennio.

Al di là della difficoltà di trovare, una volta superata la prova concorsuale, il candidato disposto a rinunciare all’abilitazione nella propria disciplina, ovvio e legittimo epilogo di un percorso di studi pluriennale, è lapalissiana la volontà di dividere le carriere tra docente curricolare e docente di sostegno, che fortemente stride con il concetto di “Inclusione” (è implicita la separazione tra studente “normale” e studente “speciale” – mi scuso dei termini).

E’ evidente anche una sorta di atteggiamento “punitivo” nei confronti del futuro docente di sostegno, che fin da subito deve rinunciare a legittime aspettative e ambizioni, quasi fossero una grave colpa.

Considerata quindi la separazione da subito delle carriere è impossibile l’eventuale passaggio su posto comune del docente di sostegno dopo 10 anni previsto nel decreto n°378 (art.12), varrà solo per chi avrà un’abilitazione acquisita in precedenza.

Per la stessa ragione non ha senso all’art. 16 coma 2 del Decreto n° 378 affermare che ”il dirigente scolastico propone ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere anche attività di sostegno didattico, purché in possesso della specifica specializzazione”, non è prevista, infatti, la possibilità, con procedura dedicata, né per un docente curricolare, una volta finito il suo percorso triennale, di poter acquisire la specializzazione nel sostegno, né viceversa per un docente di sostegno potersi abilitare nella propria disciplina di studio. Non ci saranno più i TFA, ma solo concorsi.

Probabilmente i docenti potrebbero ripresentarsi alla prova concorsuale ma poi, una volta superato la selezione, dovrebbero rinunciare al lavoro, visto che la frequenza del primo anno, dopo il quale si ottiene la specializzazione, sarà rigorosamente a tempo pieno.

Questo problema non riguarda i docenti della scuola primaria, perché loro l’abilitazione all’insegnamento la ottengono con la laurea. Tuttavia, anche il futuro docente di scuola primaria, che successivamente avrà ottenuto una laurea in una disciplina di insegnamento secondario, non potrà pensare di cambiare il suo ruolo nella scuola. Chi sembra non aver problemi sono i docenti delle scuole paritarie, che potranno partecipare al corso di specializzazione (però a loro spese) senza partecipare al concorso ovvero anche in caso di esito negativo, purché in possesso di un contratto d’insegnamento triennale con una scuola paritari (artt.15 e 16).

Una sperequazione di trattamento e opportunità che non lascerà indifferente il mondo della scuola e soprattutto che non favorirà l’aumento di docenti specializzati con conseguente danno per i ragazzi.

Quello che lascia però basiti di questo decreto è la mancanza di qualsiasi formazione in didattica speciale per i futuri colleghi curricolari, elemento essenziale per realizzare l’INCLUSIONE, un vuoto inquietante.

Il progetto educativo, nei confronti dei ragazzi con disabilità, sarà di competenza esclusiva del docente di sostegno, l’unico preparato e quindi, a maggior ragione, l’unico delegato a tal compito. Peccato che il docente di sostegno non stia a tempo pieno accanto allo studente con disabilità.
Le ore di sostegno settimanali, assegnate a ciascun ragazzo, secondo le più recenti statistiche, sono in media 6/9 a fronte di un tempo scuola per la secondaria di 1° grado di 30 ore e di 32 alle superiori, tanti infatti sono i ricorsi, da parte delle famiglie, per ottenere più ore.

Cosa fa l’allievo quando non c’è il docente di sostegno, con docenti curricolari non formati? Continuerà a fare da tappezzeria? Starà a casa? O peggio… sarà riunito insieme ad altri ragazzi “speciali” in un’ “aula ad hoc” per un utilizzo può efficace ed efficiente delle ore complessive di sostegno assegnate al singolo istituto? Ma guarda chi si rivede, la classe differenziale! Ma non dovevamo vederci più……?

Dov’è l’inclusione in tutto questo?
Dov’è la formazione obbligatoria in didattica speciale per i futuri docenti curricolari?
In questo decreto c’è una grande barriera culturale all’inclusione, più grave di qualsiasi altra barriera/ostacolo che i ragazzi con disabilità devono affrontare: l’idea di inclusione avvinghiata inesorabilmente al ruolo del docente di sostegno, ad una singola persona, l’unica ad essere formata.
Mi chiedo, se in futuro, solo i fornai con specializzazione potranno vendere il pane alle persone con disabilità.

Ma l’inclusione è ben altra cosa; è un modo diverso di organizzare il tempo, le attività, una gestione scolastica partecipata da tutti, compresa la famiglia, in primis, e tutti gli attori che, con diversi ruoli, intervengono nel progetto di vita dell’allievo con disabilità, dall’azienda sanitaria, agli Enti Locali, associazioni, cooperative. Il docente di sostegno ha solo una piccola parte in questo processo.

Si parla sempre di continuità didattica in termini di presenza dello stesso docente di sostegno nello stesso Istituto (tra l’altro l’obbligo dei 10 anni nel ruolo del sostegno non garantisce questo), e il resto del consiglio di classe? Perché questo continuo bisogno di differenziare tra professionisti che “dovrebbero” condividere le stesse responsabilità?…….o no? In questo decreto, ripeto, non si prevede formazione alcuna in didattica speciale per i docenti curricolari.
Ma poi, la continuità didattica vuol dire veramente avere, per un certo periodo di tempo, lo stesso docente di sostegno? O è altro?
La vera Continuità Didattica è una buona prassi consolidata e partecipata, è contemporaneamente una programmazione, una strategia, una metodologia, una coerenza dell’agire, un modo di pensare e di essere condivisi da tutto il sistema scuola e dagli operatori esterni.
La “Continuità Didattica”, così intesa, non sarebbe così vitalmente in balia di Chi in un dato momento ricopre il “ruolo” del docente di sostegno. Certo, le persone possono fare la differenza, come in tutti i settori, ma il successo del Piano educativo dei nostri ragazzi non può dipendere da una singola persona e, sicuramente, un sistema ben strutturato riuscirebbe a contenere il disagio del cambiamento, un sistema che la nuova normativa doveva creare e che si chiama INCLUSIONE.

La qualità dell’inclusione, e quindi della continuità didattica, non dipendono dal singolo docente di sostegno con le sue misere 6/9 ore settimanali di scuola su 32, assegnate a ciascun ragazzo, ma dall’intero “sistema” scuola e extra scuola – mi sembrava che questo fosse chiaro – di converso si continua a persistere in un accanimento morboso nei confronti del docente di sostegno, unico delegato all’inclusione scolastica e alla continuità didattica ottenibili, nella logica della “separazione” attraverso una pena detentiva di 5/10 anni nei suoi confronti, limitandone di proposito le libertà, tra le quali la possibilità di ogni carriera diversa.

Anche questa disparità di trattamento all’interno della stessa categoria di lavoratori penso sarà motivo di ricorsi.

All’estero, in paesi in cui l’inclusione è ai suoi primi passi, i docenti di sostegno sono prima di tutto docenti curricolari, che in seguito si sono specializzati, molto spesso, come in Germania, dopo alcuni anni di docenza curricolare obbligatoria. Hanno uno stipendio più alto dei loro colleghi curricolari in virtù della loro maggiore formazione e del ruolo delicato che ricoprono (in media 400-600 € al mese in più, dipende dallo stato), godono di prestigio e non intendono lasciare il loro posto.

Se, infine, si cerca di assicurare la continuità di una figura di riferimento tra scuola, ragazzo e famiglia, questa, a mio avviso, deve essere ricercata tra gli addetti alla comunicazione e all’assistenza, i quali, già ora, possono seguire gli alunni lungo tutto il loro percorso scolastico, e non solo in un determinato ciclo o grado di scuola, diventando in tal modo, depositari di esperienze importanti da condividere. Tuttavia gli Enti Locali/Aziende sanitarie sono piuttosto latitanti nel garantire le risorse. Alla fine è sempre la scuola a dover rispondere. Provate ad organizzare una gita scolastica di 3 giorni per uno studente che, in sedie a rotelle e altre complicazioni fisiche, abbisogna di un addetto all’assistenza alla persona come previsto da normativa…….

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma questo mi sembra, al momento, più che sufficiente.

* TOP 50 Global Teacher Prize 2015

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