Riassunto all’esame. Se il Miur è a corto di idee, consulti gli insegnanti. Lettera

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Con l’educazione e nella scuola si realizzano quelle esperienze fondamentali che permettono ai ragazzi di possedere gli strumenti necessari per affermarsi nella società. Tra questi, le abilità di base, ascoltare, parlare, leggere e scrivere, costituiscono un momento organicamente costitutivo dell’istruzione obbligatoria, in quanto, permettono di raggiungere una consolidata efficienza in termini di conoscenze e produttività.

In un momento di crisi profonda di struttura, di metodi, di contenuti
e obiettivi, di creatività scientifica e didattica, la scuola italiana fa fatica a portare gli allievi ad esprimersi correttamente, nella lingua scritta e orale, in un buon italiano, a conoscere la grammatica, ad analizzare i materiali linguistici, a riconoscerne le categorie, a enunciarne le definizioni e le regole.

In un paese come l’Italia, linguisticamente molto diversificato, la lingua orale, nella scuola, è stata quasi del tutto abbandonata allo spontaneismo delle interrogazioni, mentre la lingua scritta, come complessa capacità logico-cognitiva che rende rigoroso il pensiero, costituisce il parametro valutativo per eccellenza. Tuttavia, il problema delle abilità di scrittura è un problema ancora aperto e molto controverso.

Una ricerca I.E.A. di qualche decennio fa e le attuali indagini OCSE-PISA, hanno dimostrato che i livelli di competenza degli alunni della scuola primaria nella stesura di un racconto o di un riassunto sono più o meno accettabili, mentre sono carenti negli alunni della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Partendo dalle carenze di scrittura riscontrate, dalle emergenze legate al lessico, all’ortografia e alla coerenza dei testi, il Ministero punta alla riscoperta del riassunto come strumento per arricchire il linguaggio degli studenti e intende riformulare l’esame delle medie e delle superiori, introducendo nuove forme testuali per la prova scritta come il riassunto.

Non si conoscono bene le motivazioni di carattere pedagogico-didattico-linguistico verso questo tipo di scelta. Di certo, bisogna dire che, come ipotesi, lascia un po’ perplessi.

Generalmente, la lingua si esplica in testi e, per conoscerla, bisogna saper comprendere e produrre testi, ma non si può ignorare che, per comprendere un testo, sono anche necessarie competenze che riguardano i processi cognitivi della mente. Non solo. Nell’interpretazione e nella sintesi di un testo è fondamentale la capacità di fare delle inferenze (provare o sottolineare una conseguenza logica, trarre conclusioni ecc.) e di dominare più sistemi simbolici in base al proprio lessico. Per cui, per conoscere e utilizzare correttamente le varie tecniche di scrittura, è
necessaria una linea di saldatura tra l’aspetto motivazionale e comunicativo e l’aspetto puramente tecnico-convenzionale.

Nelle recenti Indicazioni, per ciò che riguarda la scrittura, non si promuovono particolari prassi metodologico-didattiche, ma si fa un
generico riferimento alla lettura e alla produzione, prima guidata e poi autonoma, di una grande varietà di testi funzionali e creativi, sempre finalizzati ai bisogni comunicativi degli alunni. L’idea dominante è il concetto di conoscenza globale di E. Morin, che è uno dei sette saperi necessari all’educazione del futuro.

La lettura e la produzione di una grande varietà di testi funzionali e creativi, implica, però, l’utilizzo di molte ore scolastiche, con risultati, spesso, modestissimi sul piano delle competenze.

La mente di un ragazzo, ci ricorda una celebre frase di Plutarco, non è un vaso da riempire, ma una fiaccola da accendere. È compito della scuola accendere questa fiaccola, non con la pietra focaia, ma con strumenti adeguati alla realtà dei nostri tempi. E gli strumenti che i docenti hanno a disposizione, libri di testo e vari sussidi tecnologici, spesso, complessi, disarticolati, confusi, sovrabbondanti di informazioni, con un linguaggio e con una impostazione metodologica che non tiene conto del mondo, della
curiosità e degli interessi dei ragazzi, tendono piuttosto a spegnere,
anziché accendere la motivazione a scrivere e ad apprendere.

Il bambino che, inizialmente, ha sempre molta voglia di imparare a scrivere, spesso, a meno che non entrino in campo fattori eccezionali,
se ne disamora prestissimo, in quanto le cose che è costretto a  scrivere per la scuola appaiono quasi sempre noiose con demotivanti e per niente accattivanti esercitazioni: “Per fare la parafrasi esplicativa del testo puoi lavorare sul lessico, sull’ordine delle informazioni, sulla sintassi modificando la struttura delle frasi e la punteggiatura”.

Davanti ad attività così poco vicine alle esperienze concrete dell’alunno (non dimentichiamo che fino al primo o secondo anno di scuola superiore il ragazzo non ha ancora definitivamente superato la fase operatorio-concreta), il pensiero va subito a G. Rodari e alla sua geniale “Grammatica della fantasia”, che tante cose ci ha fatto scoprire sul gioco e sul piacere della scrittura.

In pratica, per insegnare a scrivere, non bisogna fare tante esercitazioni su libri di testo per lo più con modelli operativi, complessi, ambigui di tipo formale tradizionale e elaborati dallo strutturalismo. Per educare al piacere della lettura e della scrittura, è necessario abbassarsi, semplificare e ridurre; occorrono interventi non di cultura superiori, ma processi di
interscambio comunicativo (ascolto), di libera produzione di testi, sollecitazione di tutte le forme di comunicazione orale, che favoriscono l’operatività, agevolano la trasferibilità delle conoscenze e fanno scattare nell’alunno la molla dell’amor proprio, la voglia di comunicare in modo fluente ed esprimersi in modo originale.

Il riassunto, di per sé, è una sintesi esplicativa dei contenuti di un testo che presuppone inferenze che l’alunno non possiede, in quanto, modalità operative di un adulto colto; richiede requisiti di coesione, coerenza, uso di iperonimi ecc., che, difficilmente, hanno il potere di stimolare la curiosità, favorire la produzione scritta ed accrescere la padronanza lessicale.

Tutti i grandi educatori, per rendere più agevole la scrittura, hanno fatto sempre riferimento al potere educativo del racconto che stimola la curiosità, illumina e arricchisce l’esperienza con luccicanti parole.

Il racconto, soprattutto se ispirato alla cultura e alle tradizioni locali, può animare visi ansiosi di conoscere e fornire non pochi stimoli a leggere e a scrivere.

La trascrizione del testo in altro genere o codice annoia, stanca, suscita poco interesse e non è funzionale all’accrescimento linguistico. Per incatenare l’attenzione, occorre, dunque, un lavoro di accurata revisione ed analisi degli strumenti didattici a disposizione.

Se il Ministero è a corto di idee, consulti i docenti.

Fernando Mazzeo

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