Quando la follia in famiglia riguarda la scuola

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Più volte abbiamo affrontato la questione della salute psichica nei lavoratori ed in particolare negli insegnanti.

Nel ragionamento avevamo individuato tre dimensioni che avrebbero dovuto essere tenute sotto controllo dalla persona stessa per poter vivere e lavorare in equilibrio e benessere psichico:

  1. Dimensione professionale: tutto ciò che riguarda il lavoro (scolastico in questo caso);
  2. Dimensione extra-professionale: vita familiare e relazionale comprensiva di tutti gli eventi buoni e cattivi, gioiosi e luttuosi (i cosiddetti “life events”);
  3. Dimensione genetica o eredo-familiare o più semplicemente i tratti e le predisposizioni alle malattie espressi dai cromosomi ereditati dai genitori naturali.

Tutto ciò premesso, proviamo a riflettere sul recente caso di cronaca avvenuto a Gela dove un’insegnante di sostegno precaria di 41 anni ha ucciso le sue due figlie di 6 e 9 anni ed ha poi tentato di suicidarsi. Per fare ciò, ricorreremo alle poche informazioni riportate dai giornali, assumendole per buone, e commentandole alla luce delle tre dimensioni suesposte.

Dimensione professionale: l’insegnamento è considerato la helping profession per eccellenza ed è notoriamente esposto al rischio professionale di malattia psichiatrica anche se la cosa non è ancora ufficialmente riconosciuta. Se poi consideriamo il “sostegno”, dobbiamo considerare l’unico studio italiano del 2009 che per gli insegnanti di sostegno ha messo in evidenza un rischio psicopatologico ancora superiore rispetto ai docenti ordinari. Ad aggravare ulteriormente la situazione della docente in questione vi è la condizione di precariato.

Dimensione extra-professionale: si dice che la donna vivesse una crisi coniugale e stesse verosimilmente per separarsi dal marito. Di certo il clima in casa non era sereno e si respirava un’aria di conflitto e rapporti tesi.

Dimensione genetica o eredo-familiare: sappiamo assai poco, ma quel poco ci basta: il padre della donna si era tolto la vita qualche anno prima. In altre parole abbiamo un’anamnesi familiare positiva per rischio psichiatrico: certi episodi infatti segnano la vita dei familiari e talvolta spingono all’emulazione. .

Ora che abbiamo sommariamente tracciato la situazione dei tre livelli, possiamo concludere che la donna era a grave rischio di psicopatologia ben prima di commettere il duplice delitto familiare e le conseguenze del malessere psichico avrebbero potuto tranquillamente ripercuotersi sulla scuola e non solo sulla famiglia. Non resta pertanto che domandarsi a chi spetti vigilare sulle tre dimensioni tracciate affinché non sia superato il livello di guardia oltre il quale la salute psichica diviene patologia. Mentre nelle dimensioni extra-professionale e genetica la vigilanza è indubbiamente di competenza esclusiva della persona, quella professionale spetta per legge al datore di lavoro (art. 28 DL 81/08) che, nella fattispecie, non è stato chiamato in causa per il solo fatto che i delitti sono stati operati dall’insegnante all’interno delle mura domestiche anziché a scuola.

La definizione di Stress Lavoro Correlato riportata su numerosi testi (“condizione di malessere determinata dal fatto che in campo lavorativo non si riesce a far fronte alle richieste del datore di lavoro o dei propri superiori”) non può essere ritenuta esaustiva né esauriente, infatti se consideriamo il caso di cronaca in esame, possiamo supporre che l’atteggiamento dell’insegnante sul luogo di lavoro sarà stato tutt’altro che sereno ed efficiente per il grave stress che la donna viveva in famiglia nonché per la sua fragilità psicologica dovuta all’eredità genetica, ma non di certo a causa del datore di lavoro. Assumiamo come ulteriore esempio il caso di una docente che, in stato di totale abulia a causa di un recente lutto familiare, determina un danno fisico per omessa vigilanza a un alunno: lo stress familiare condiziona inevitabilmente l’attività lavorativa dell’insegnante portandola a commettere errori e omissioni importanti. A suffragare dunque la tesi di una definizione più estensiva di SLC (“stress che la persona manifesta in ambito lavorativo a prescindere dal fatto che lo stesso abbia avuto origine (cause) sul lavoro o al di fuori di esso”) è indirettamente lo stesso legislatore che non specifica in alcun modo se lo stress debba correlarsi al lavoro attraverso le sue cause o i suoi effetti.

Tornando al caso di Gela viene dunque da chiedersi se il dirigente scolastico abbia mai attuato la prevenzione dello SLC nella scuola. In caso affermativo vorremmo sapere cosa è emerso a proposito della sciagurata mamma-insegnante la cui condizione psichica avrebbe potuto mettere in allarme chiunque. Dubitiamo invece che sia stato fatto qualcosa, come nella maggior parte delle scuole italiane che, a fronte dell’obbligo di legge di effettuare la prevenzione dello SLC, non hanno mai ricevuto alcun finanziamento.

Ancor più grave il fatto che ci si ostini a non riconoscere ufficialmente la malattia psichiatrica negli insegnanti come professionale. Anche coloro che sono portatori di un’anamnesi familiare a rischio psichiatrico intraprenderanno la carriera docente senza nemmeno porsi l’interrogativo se la loro futura carriera lavorativa potrà o meno aggravare le condizioni di salute di partenza.

Un ultimo appunto. Qualora il dirigente avesse anche notato un comportamento anomalo dell’insegnante di sostegno, meritevole di un accertamento medico d’ufficio, lo stesso DPR 171/11 avrebbe provveduto a impedire l’invio della docente in Collegio Medico di Verifica poiché, in quanto precaria, la lavoratrice non avrebbe potuto accedere a questo istituto. Sono trascorsi sei anni da quando fu sancita questa pratica dannosa e incostituzionale (discrimina infatti i lavoratori applicando disuguali tutele della loro salute sul lavoro), ma ancora nessuno – sindacati inclusi – inspiegabilmente si perita di chiederne la rettifica.

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