Pirandello, Museo nazionale archeologico di Taranto ha celebrato i 150 anni dalla nascita

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di Pierfranco Bruni* –  Il legame tra i temi e i luoghi della Magna Grecia nell’opera di Luigi Pirandello (a 150 anni dalla nascita:  28 giugno 1867 – 28 giugno 2017) costituiscono riferimenti fondamentali per comprendere la sua visione letteraria e filosofica, che pone al centro l’identità del Mediterraneo. Un Mediterraneo che ha le sue diverse sfaccettature tra un vocabolario, che proviene dalla cultura occidentale e una eredità orientale.

Pirandello nasce in un territorio in cui gli intrecci tra cultura araba e cultura greca rappresentano elementi di una metafisica non soltanto culturale, ma anche esistenziale. Girgenti ha le sue radici arabe, che si intrecciano con una forte presenza greca. I miti greci e la simbologia araba sono un intreccio non soltanto linguistico (la cosiddetta parlata di Girgenti sul quale tema Pirandello discuterà  la sua tesi di laurea a Bonn), ma anche metaforico e geografico estetico.

Basti pensare alle sue poesie, poco conosciute, che hanno costanti rimandi al mondo ellenico e al mondo omerico. La Magna Grecia in Pirandello diventa la traccia fondamentale per “costruire” i suoi personaggi calati in una cultura popolare, attraverso i percorsi reali che egli stesso trova in Sicilia e nelle storie che formano gli archetipi dei miti.

Si pensi alla figura di Leonida di Taranto nella visione pirandelliana della poesia – filosofia. Leonida è lo spazio metafisico in Pirandello e lo considera come il modello dell’incontro tra la favola e il mito. Un discorso che verrà ripreso successivamente da Salvatore Quasimodo, forte conoscitore di Pirandello, nei suoi scritti su Leonida di Taranto.

Come diventa prezioso il poemetto pirandelliano dedicato a “Scamandro”, la cui prima edizione risale al 1909, ma questa grecità che diventa Magna Grecia sia nella sua Sicilia sia nell’attraversamento della teatralità greca, che non ha completamente avvicinato la retorica della recita al gioco ironico di Euripide, che ha bisogno sempre di una giustificazione come nella “Medea”, si sviluppa con un recupero di un immaginario tutto arabo.
Le danze, il canto, le voci delle donne hanno una rilevanza araba che vive di contaminazioni costanti con le culture e le poetiche che vanno da Ibico a Leonida, appunto. Qual è questa visione? È dentro il teatro dell’attesa e della speranza. La Magna Grecia nella sua teatralità metafisica ha come componente la filosofia dell’attesa e della dissolvenza della nostalgia.

La maschera Magno Greca, quella che troviamo nel MarTa, è la rappresentazione del tragico e del comico nel teatro delle “maschere nude” pirandelliane. In Pirandello la favola e la leggenda, recuperando da Leonida il senso ontologico, costituiscono il fermare il tempo intorno agli archetipi della giovinezza e del divino nel  suono e nel canto.

Si pensi al ballo tondo che si ascolta e si legge nella novella e poi commedia “La Giara”, la quale ha tutti gli elementi di una contaminazione araba, greca e Magno Greca. Non una ambivalenza, ma un vero e proprio modello di espressività post goldoniana. Pirandello è la contrapposizione della commedia goldoniana e la si vive con gli strumenti ironici, tragici e umoristici della Magna Grecia (il suo saggio sull’umorismo del 1908 ha molto di questo).

Discutere di ciò in un Museo Nazionale Archeologico come quello di Taranto, guidato intelligentemente da Eva Degl’Innocenti, significa aprirsi ad una multidisciplinarità e ad un modello articolato, in cui veramente il bene materiale si confronta con quello immateriale. I simboli della Magna Grecia qui si incontrano con le culture demoetnoantropologiche e bene fa la direttrice a far discutere di tali questioni.

* Responsabile nazionale del Progetto Etnie – Letterature – Mediterraneo del Mibact

Pirandello è un sapere di una archeologia Magno Greca nel momento in cui Girgenti diventa la greca Agrigento e Leonida si lega ad una cultura che è quella saffica e di Alceo (tutti punti che in Pirandello sono vitali), in cui il mito cerca di scavare nella magia, nella alchimia e anche nella spiritualità sciamanica.

Pirandello non ha un solo Mediterraneo. Il suo mare, viene chiamato nei sui testi, addirittura “mare d’Affrica”,  riesce a legare la tradizione adriatica balcanica con quella dei dervishi danzanti. Appunto, “La Giara” è un testo contaminato e contaminate in una Magna Grecia che è espressione di un Mediterraneo diffuso.

Il Museo archeologico MarTa è il contenitore essenziale per unire sistemi etno – antropologici con quelli archeologici. L’esempio è dato dalla presenza – metafora di Archita nei “Colloqui con i personaggi” del Pirandello delle “Novelle”. Archita è il transito pitagorico tra Crotone e Sibari nell’immagininario delle donne raccontate nelle “Novelle”.

Quando Pirandello intreccia il Destino alla Avventura dei personaggi, e questa ad una griglia di simboli greci, non fa altro che recuperare il  Platone della  “VII Lettera” nella quale si legge  “ …Sembra che Archita si sia recato presso Dionisio; perché io, prima di ripartire avevo unito Archita e i Tarantini in rapporti di ospitalità e di amicizia con Dionisio…”.

La Magna Grecia vive nell’opera di Pirandello non come epoca morta, come reperto depositato, ma come testimonianza di lettura in cui il teatro è costantemente aperto all’inquieto vivere dei giorni attraverso la conoscenza della memoria.
Pirandello era stato in Puglia nel 1932, aveva visitato i resti della Magna Grecia e il mondo barocco, per incontrare Marta Abba, che recitava, nel dicembre del 1932, nei teatri di Taranto, Lecce e Bari. Ma questa è un’altra storia.

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