Pensioni. Insegnare è un lavoro usurante in tutti gli ordini di scuola. FLP Scuola Foggia: basta dividere insegnanti in categorie

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Il secondo comma dell’art.38 della Costituzione si occupa della previdenza sociale che, a differenza dell’assistenza di cui al primo comma, concerne i soli lavoratori.

Il dettato costituzionale intende incidere sulle prestazioni economiche e sanitarie per tutelare, oltre che dai rischi lavorativi di infortuni, invalidità ecc., da eventi naturali quali la vecchiaia collegata alla tipologia del lavoro svolto

Si tratta di una previdenza sociale obbligatoria, che grava in parte sullo Stato ed in parte sui datori di lavoro che, nel caso del personale della scuola, si identificano nello stesso soggetto.
Posto in questi termini, appare evidente che la tutela della vecchiaia è uno dei concetti fondativi del sistema previdenziale. D’altra parte definire “vecchiaia anagrafica” ossia il limite di età pensionabile, molto spesso non corrisponde a “vecchiaia biologica” che è un limite soggettivo. A ciò deve aggiungersi che il calcolo della prestazione pensionistica si basa, oltre che sull’età anagrafica, anche sulla carriera lavorativa, e, in particolare, sugli anni e l’entità della contribuzione lavorativa, come oggi avviene anche nel sistema pubblico, con l’introduzione del calcolo della misura pensionistica, per le anzianità dal 1.1.2012, con il solo sistema contributivo.
Quanto detto, ci porta anche ad affermare che soggetti aventi pari età e pari contribuzione, dovrebbero avere, dal punto di vista previdenziale, un identico e sostanziale trattamento giuridico e normativo e, quindi, aver svolto identica “intensità lavorativa”.
Ed è è proprio in questo senso che il riconoscimento legislativo “dell’usura da lavoro” porta a creare differenziazioni all’interno di categorie aventi pari età anagrafiche e contributive.
Riconoscere l’usura da lavoro significa ammettere, diversamente da prima, che il lavoro non è uguale per tutti, e che la vecchiaia da tutelare non è definita solo dall’età anagrafica. Significa riconoscere che esistono lavori che creano nel tempo differenziali di aspettative di vita e differenze nella capacità di lavoro delle quali il sistema previdenziale deve farsi carico, garantendo a tutti il diritto a una condizione di riposo in stato di salute soddisfacente e una sicurezza economica equa a seconda delle diverse tipologie di lavoro.
Ad onor del vero, il nostro sistema previdenziale si è interessato della questione ed ha previsto l’istituzione dell’anticipo pensionistico per alcune categorie di lavoro tramite la cosiddetta legge sui lavori usuranti, entrata in vigore nel 2011 dopo un altalenante dibattito durato quasi 20 anni.

Il legislatore, in sostanza, ha introdotto nel sistema previdenziale, una differenza oggettiva fra “le tipologie di lavori”, che viene commisurata alla a riduzione dell’aspettativa di vita.
E’ dunque la riduzione dell’aspettativa di vita, rapportata alla tipologia di lavoro, che ha indotto il legislatore alla definizione dei lavori usuranti.
Ma qualcuno è in grado di stabilire il nesso di causalità esistente fra tipologia di lavoro, l’usura e la riduzione di aspettativa di vita?
Gli studi sulla materia portano a conclusioni divergenti, a risposte non univoche, e, più che altro, a risposte non certe e strutturate. ,
La legge definisce innanzitutto i lavoratori soggetti ad “usura particolare”, classificandoli come coloro che occupati in “lavori per il cui svolgimento è richiesto uno sforzo psicofisico particolarmente intenso e continuativo condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee” (D.Lgs. 374/1993). Nella definizione di un saggio di De Zorzi, il lavoro usurante comprende attività lavorative “con caratteristiche di particolare stress energetico o psichico, con modificazioni del bioritmo e turbe della ciclicità/alternanza della veglia e del sonno, con esposizione obbligata e non altrimenti bonificabile a variazioni climatico/ambientali, che esercitano i loro effetti negativi su una popolazione di lavoratori sani e malati con la stessa intensità” (De Zorzi, 1996). L’usura, per essere comprovata, deve partire da una precisa menomazione (nell’accezione generica di limitazione, svantaggio, peggioramento) che viene quindi riferita all’attività lavorativa svolta a distanza di tempo, oltre il normale deterioramento fisiologico.
Nel 1959 Pellegrini individuava nel lavoro usurante caratteristiche di invecchiamento precoce, causate da un lavoro che non permette un ripristino integrale delle energie impegnate in esso. Un lavoro usurante può anche causare danni e sofferenze che non raggiungono significatività necessaria per il riconoscimento di una malattia (o invalidità), tuttavia si caratterizzano per la compromissione dell’efficienza psicofisica. Fatta questa necessaria ed utile premessa, che deve essere da corollario per quanto si affermerà in seguito, e tornando all’attività di insegnamento, dobbiamo rifarci a quanto recentemente asserito circa la “sindrome di Bornout”.
Infatti, alcune categorie di lavoratori, a causa di particolari fattori stressogeni legati all’attività professionale, sono soggetti a rischio di tale sindrome. Tale condizione è caratterizzata da particolari stati d’animo come ansia, esaurimento fisico, panico, irritabilità, agitazione, senso di colpa, ridotta autostima. Autorevoli studi, poi, hanno accertato che tale affezione rappresenta un fenomeno di portata internazionale, che ricorre frequentemente negli insegnanti.
Un recente studio commissionato dall’ente previdenziale INPDAP, partendo dall’analisi degli accertamenti sanitari per l’inabilità al lavoro, ha operato un confronto tra quattro macrocategorie professionali di dipendenti dell’Amministrazione Pubblica: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori.

Ciò che è emerso è che la categoria degli insegnanti è soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche superiore rispetto a quelle delle altre categorie in esame.

L’INPDAP ha analizzato circa 3000 casi gestiti dalla ASL di Milano ed è emerso che gli insegnanti sono maggiormente esposti a disturbi da sindrome di Burnout. Tra i fattori che determinano tali disturbi vi sono tutta una serie di condizioni stressogene a cui essi sono sottoposti: il rapporto con gli studenti e i genitori, le classi spesso troppo numerose, la situazione di precariato che si protrae per anni, la conflittualità tra

colleghi, la costante delega da parte delle famiglie, l’avvento dell’era informatica e delle nuove tecnologie, il continuo susseguirsi di riforme, la retribuzione insoddisfacente e, non ultima, la scarsa considerazione da parte dell’opinione pubblica. Lo studio evidenzia, inoltre, come le donne siano più facilmente esposte alla sindrome di Burnout, in quanto più esposte a situazioni di empatia nei rapporti con gli alunni e con i colleghi.

Proprio per venire incontro a tale esigenza,il legislatore bene ha pensato(sic!!),con la riforma Fornero,di protrarre il collocamento a riposo anche per il personale della scuola di altri 5 anni !!!!!!!!!!

Non vi è dubbio che quello dell’insegnante e’ un lavoro usurante sul piano psicologico.

Capita molto spesso di imbattersi in scuole con un alto numero di insegnanti ultrasessantenni che incontrano una serie difficoltà a reggere ritmi e stress collegati al loro lavoro. E’ naturale domandarsi, come si fa a chiedere a docenti 63enni di lavorare sino a 67 anni e oltre (quando già 65 anni era per la scuola una età anagraficamente alta) di aggiornarsi, imbattersi in nuovi strumenti tecnologici, come ad esempio il registro elettronico, o tecnologie da imparare praticamente da zero e senza alcuna formazione? Come si può parlare di scuola innovativa quando si trattiene altro tempo docenti con forti problemi legati al lavoro che svolgono? Si può chiedere loro di aggiornarsi,essere motivati, migliorare?

Di questo il Premier e la Ministra non si preoccupano !

Si può chiedere, senza voler far differenziazioni, a un docente della scuola dell’infanzia di aggiornarsi, innovare e restare a prestare servizio in sezioni con bambini di 3 anni? Si può chiedere ad un docente di scuola primaria di continuare a prestare servizio nelle prime classi sottoponendosi a stress da prestazioni didattiche che comportano grave nocumento per la salute ?
Il mestiere dell’insegnante, spesso maltrattato, sottovalutato, criticato e mal gestito dai vari ministri che si susseguono al governo, rappresenta, invece, non solo il principale canale per offrire cultura e per formare i nostri giovani, ma anche un mestiere ricco di responsabilità e di impegno che sottopone chi lo svolge a continui stress psicologici. E’ sicuramente inconfutabile che il lavoro dell’insegnante è l’unico nel quale il lavoratore si trova a strettissimo contatto l’utenza per oltre 4 ore al giorno, per 5 giorni a settimana. Gli studi che dimostrano il collegamento tra il lavoro docente e burnout sono numerosi. Spagna (Betoret 2009 e Moya 2010), Finlandia (Santavirta 2007), Norvegia (Slaalvik 2011).
In Italia, la correlazione tra stress da insegnamento e patologie è stata confermata dallo studio decennale ‘Getsemani’ Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti, da cui è emerso che la categoria degli insegnanti è quella che di più conduce verso patologie psichiatriche e inabilità al lavoro. Al nostro Premier vorremmo sottoporre l’analisi di questa riflessione, e fare una domanda, lui che è molto attento alla sorte dei docenti, alla buona scuola, alla innovazione, etc, etc (!!!!) :

Al nostro Premier vorremmo chiedere: ha conoscenza che la riforma delle pensioni approvata dal Governo Monti lega le aspettative di vita all’innalzamento dei ‘tetti’ pensionistici ? In questo caso, le è noto che le prospettive sono ancora più nere: basta dire che nel 2050 si potrà lasciare il lavoro nel pubblico solamente a 69,9 anni. E per le pensioni di anzianità non andrà meglio: se nel 2016 alle donne verranno chiesti 41 anni e dieci mesi di contributi versati, sempre nel 2050 gli anni diventeranno addirittura 45 (46 per gli uomini), di questo ne è a conoscenza ? Pure i requisiti per la pensione di vecchiaia saranno sempre più alti, fino a che alle donne si richiederanno gli stessi requisiti degli uomini: già nel 2018 per entrambi i sessi serviranno quasi 67 anni, anche di questo il suo fido presidente dell’INPS Boeri lo ha messo a conoscenza ?

Siccome siamo sicuri che non si sapranno dare risposte a tali interrogativi, riteniamo che la migliore risposta sia che per la scuola siano applicati i requisiti per richiedere l’anticipo per la pensione riconducibili ai lavori usuranti.

Il beneficio pensionistico per tali lavoratori è cos’ disciplinato: :

ad almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, per le pensioni con decorrenza entro il 31 dicembre 2017;
ad almeno la metà della vita lavorativa per le pensioni con decorrenza dall’1 gennaio 2018 in poi.
Se ci sono questi requisiti, chi fa lavori usuranti può lasciare 3 anni prima degli altri. L’età pensionabile, però, è destinata a salire nel corso degli anni, in parallelo con quella richiesta a tutti gli altri lavoratori.
dal 2016 al 2018 serviranno 61 anni e 7 mesi; nel 2019 e 2020 61 anni e 11 mesi; nel 2021 62 anni e 2 mesi. (Sempre meno dei 67 anni della scuola)
queste categorie di lavoratori, con la novità della Legge di Stabilità 2015, fino al 31 dicembre 2017, potranno andare in pensione prima, senza preoccuparsi di eventuali decurtazioni e trattenute sul valore dei loro assegni pensionistici finali.

Chiedere, in sostanza, l’equiparazione a tale tipologia di lavoratori, non ci sembra uno scandalo e sarebbe veramente il viatico per fare “una buona scuola”, con un rinnovamento della classe docente, con forze fresche e disponibili alle innovazioni tecnologiche su cui investire per una scuola di qualità, dando spazio a tanti docenti di ruolo collocati al nord e a tanti precari rimasti ancora fuori dall’immissione in ruolo.

D’altra parte, non siamo forse il paese in cui 2/3 dei docenti sono over 50 anni ? In cui vengono immessi in ruolo docenti ad un anno dalla pensione o già in pensione? Se si vuole veramente investire sulla scuola, si cominci dal riconoscere il lavoro dei docenti come lavoro usurante. Il lavoro dei docenti, oggi e ancor più in futuro, richiede la pienezza delle forze psicofisiche legate anche all’età anagrafica, che non può prevedere il collocamento a riposo a 67 anni !!!!

MA ANCOR PIÙ: BASTA DIVIDERE I DOCENTI !! LA FUNZIONE E’ IDENTICA A PRESCINDERE IN QUALE ORDINE DI SCUOLA SI INSEGNA !!!

LA SEGRETERIA PROVINCIALE FLP Scuola Foggia

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