Pensione anticipata, costerà ai docenti un prestito superiore a 500 euro. Conviene?

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inviato da Gregorio Macchione – L’APE (Anticipo Pensionistico), in base all’accordo siglato il 24 u.s., presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal Governo e dalle OO.SS., si propone di introdurre una nuova forma di sostegno all’uscita flessibile dal mercato del lavoro

Per l’APE è  previsto nell’accordo un periodo di sperimentazione della durata di due anni.

Anche il personale della scuola (prima di essere collocato in pensione qualche anno fa, io ero DSGA in un Istituto Scolastico Superiore) potrà usufruire dell’APE e accedere su base volontaria al pensionamento anticipato,  a condizione di:

Avere  un’età anagrafica pari o superiore a 63 anni.
Maturare entro 3 anni e 7 mesi una pensione di vecchiaia d’importo “non inferiore a un certo limite (certificato dall’INPS)”, limite che al momento non è stato ancora determinato.

2. L’APE volontaria

Ecco cosa prevede, tra l’atro, il suddetto accordo alla voce “APE volontaria”1/ del Punto 6:

“L’APE è richiesta presso l’INPS ed è finanziata da un prestito corrisposto da un istituto di credito. Contestualmente al prestito, il richiedente accende un’assicurazione contro il rischio di premorienza con una compagnia assicuratrice.

L’APE è esente da imposte ed è erogata mensilmente per 12 mensilità.

La restituzione del prestito (comprensiva degli interessi bancari e degli oneri concernenti la polizza assicurativa) avviene a partire della data di pensionamento con rate di ammortamento constanti per una durata di 20 anni.

In caso di decesso del soggetto che ha avuto accesso all’APE, il capitale residuo sarà rimborsato dall’assicurazione con la quale è stata stipulata la polizza contro il rischio premorienza, e quindi non si rifletterà sull’eventuale pensione di reversibilità o sugli eredi. Il lavoratore o la lavoratrice interessati scelgono l’istituto di credito e la società assicuratrice fra quelli aderenti a un’apposita convenzione stipulata con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella quale saranno definite le condizioni standard di miglior favore”.

L’APE non è una pensione, essa è un prestito commisurato  alla futura pensione di vecchiaia, accordato da un istituto di credito al lavoratore,  e, in quanto prestito, è esente da IRPEF; in quanto prestito, esso, come tutti i prestiti, ha un costo; infatti, l’importo da restituire all’istituto di credito,  in rate mensili per una durata di venti anni,  comprende:

L’importo netto ricevuto.
Gli interessi bancari.
Gli oneri relativi alla polizza assicurativa.

3.  L’APE volontaria e i docenti

È stato scritto che un anticipo pensionistico di tre anni rispetto alla maturazione della pensione di vecchiaia comporterà una riduzione complessiva  di almeno il 25% della rata mensile di pensione.

Si può quindi fare una simulazione sulla convenienza di richiedere o di non richiedere  l’APE  facendo riferimento a un docente che intende usufruire dell’Anticipo Pensionistico di tre anni in attesa di maturare il diritto a una pensione mensile netta di € 2.000,00.

L’istituto di credito erogherà al docente il prestito APE in 12 rate mensili per tre anni. Nell’accordo citato, non si parla di tredicesima mensilità: si tratta di un prestito e non di una pensione!

Al trentasettesimo mese al docente sarà finalmente corrisposta la rata di pensione spettante decurtata dei 500,00 Euro che l’INPS, ogni mese e per 20 anni,  trasferirà all’istituto di credito che ha concesso il prestito. In altre parole, il docente riceverà mensilmente una pensione di € 1.500,00.

Credo opportuno ripeterlo: il docente con l’APE riceve un prestito, il cui costo, purtroppo, va ben oltre la rata mensile di   € 500,00.

4. APE volontaria – Pensione  e  IRPEF

Il nostro ipotetico docente riceverà dunque mensilmente una pensione di € 1.500,00, ma pagherà l’IRPEF come se ricevesse una pensione di   € 2.000,00 così come, quando un docente chiede  un prestito con cessione del quinto dello stipendio, l’IRPEF (l’imposta sullo stipendio che il datore di lavoro trasferisce direttamente all’Erario) è calcolata sull’imponibile fiscale comprendente anche la quota “ceduta” al creditore che gli aveva erogato il prestito.

Anche la pensione è assoggettata in Italia all’IRPEF, e lo è in misura superiore a quanto avviene in altri paesi europei, tanto che alcuni nostri connazionali pensionati hanno deciso di trasferirsi insieme alle loro pensioni (comprensive di netto e di quota IRPEF) in paesi dove il carico fiscale è molto più leggero e sopportabile.

Infatti, in un proprio  studio sulle pensioni, nel 2013  la  CONFERSENTI  scriveva:
“Italiani i più tartassati d’Europa: un nostro pensionato medio paga 4mila euro di fisco, un tedesco solo 39 euro”

La ricerca della CONFESERCENTI era accompagnata dal grafico n. 1 riportato qui di seguito:

Grafico n. 1 (anno 2013; ndr)

tass2
Ritorniamo al nostro ipotetico docente per dire che una pensione mensile di € 1.500,00 per 12 mensilità + una tredicesima mensilità (per un totale netto annuo di € 19.500,00) dovrebbe derivare da un imponibile fiscale pari  a € 24.320,00 e da una conseguente ritenuta fiscale annua di € 4.820,00.

Per il nostro pensionato non è così, perché l’INPS contabilmente gli liquida annualmente  una pensione mensile di € 2.000,00 per 12 mensilità + una tredicesima mensilità, per un totale netto annuo di € 26.000,   trasferendone purtroppo una parte (12 rate di € 500 ciascuna)  all’istituto di credito che ha erogato il prestito APE. Infatti, il nostro docente sulla certificazione fiscale (CUD) che l’INPS gli rilascerà si troverà, tra le altre,  le seguenti voci:
Imponibile Lordo annuo: € 34.830
IRPEF annua trattenuta:   € 8.830
Se ne ricava che l’INPS ha liquidato a favore del docente  € 26.000,00 netti,  di cui € 20.000,00 versati al docente stesso e € 6.000,00 trasferiti all’istituto di credito che aveva concesso il prestito APE.

In conclusione, il nostro docente paga di IRPEF annualmente  € 8.830,00 e non  l’importo di € 4.820,00 che avrebbe dovuto versare ove la sua pensione fosse stata davvero di € 1.500 mensili.
Insomma, per 20 anni, al  nostro docente sono annualmente trattenuti, sotto la voce  IRPEF,  €  4.010,00  (€ 8.830,00 – € 4.820,00 = € 4.010,00)  in più rispetto a quanto avrebbe pagato se la sua pensione mensile fosse stata realmente di € 1.500,00. In venti anni pagherà quindi € 4.010,00 x 20 = € 80.200,00
Dal punto di vista temporale, successivamente al triennio dell’APE, e rispetto alla sua reale effettiva  ricchezza finanziaria in quello specifico arco temporale annuale, si tratta di maggiori trattenute di IRPEF, ancorché dovute a seguito del debito APE contratto, corrispondenti a € 334,00 mensili.

Nei miei calcoli, per semplificare, ho volutamente trascurato le addizionali regionali e comunali, che pure a ogni pensionato sono regolarmente trattenute dall’INPS, con modalità paragonabili a quanto avviene per l’IRPEF.

5. Mancato guadagno.

Andare in pensione tre anni prima dall’avere maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, ovviamente, ha poi alcuni inconvenienti.

Il nostro ipotetico docente, al termine dei tre anni di APE, potrebbe calcolare il seguente mancato guadagno rispetto a un suo collega che sia rimasto in servizio senza chiedere l’APE:

A) Stipendi: 36 mensilità + 3 tredicesime = 39 mensilità. Il nostro docente avrebbe dovuto avere diritto almeno a uno stipendio netto mensile di € 2.200,00, per cui 39 x € 2.200,00 =  € 85.500,00.
B) Indennità di Buonuscita: 3 mensilità, pari a € 2.000,00 x 3 = € 6.000,00.
C) Maturazione di una pensione mensile maggiore; € 50 mensili per ciascun’annualità del triennio  = € 50 x 3 = 150 mensili ( un mancato introito, nei successivi 20 anni, di 260 mensilità (13me incluse) x € 150 = € 39.000.
D) Gli stipendi dei docenti sono attualmente cristallizzati ai livelli retributivi del contratto biennale 2008-2009. Finalmente sembra che il Governo in questo particolare momento  sia intenzionato a un loro adeguamento. Io immagino che a regime durante il triennio si dovrebbe ottenere come minimo un aumento mensile lordo intorno ai 100 Euro, che dovrebbe poi  fare lievitare la rata mensile di pensione, anche grazie alla maggiore rivalutazione del montante retributivo e   soprattutto in funzione del numero delle annualità che assumono come base di calcolo l’ultimo stipendio percepito, di almeno 50-70 Euro netti (in venti anni determinerà l’incremento delle relative 260  rate mensili, 13me incluse, per un maggiore  importo complessivo che va dai 13.000,00 Euro ai 18.200,00 Euro.
E) Gli aumenti contrattuali si riverbereranno positivamente  anche sull’ammontare della Buonuscita, soprattutto per le annualità calcolate sull’ultimo stipendio percepito: ipotizzo  un maggiore importo complessivo  di  almeno € 1.000,00.
F) Se durante il triennio di permanenza in servizio il docente dovesse ottenere un passaggio di posizione stipendiale, molto presumibilmente in tal caso dalla penultima posizione (fascia dai 28 ai 34 anni di servizio) all’ultima posizione (da 35 anni di servizio in poi), egli avrebbe diritto a un aumento annuo di poco più di € 1.500,00, che migliorerebbe notevolmente e significativamente  la vicinissima condizione e vita pensionistica.

Oltre a tutto questo mancato guadagno, il nostro ipotetico docente  che ha usufruito dell’APE si ritroverebbe  all’inizio della  sua vita di pensionato con un debito APE di € 120.000,00, da pagare in venti anni.

6. Strumenti disponibili alternativi all’APE.

Ovviamente, mi rendo conto che l’APE è una buona opportunità per chi è rimasto senza pensione  e senza lavoro, anche se l’APE purtroppo significa consumare anzi tempo parte del nostro futuro.

Inoltre, vi possono essere molti motivi che spingono a chiedere l’APE: motivi di salute, di famiglia, ecc.
A questo proposito, tuttavia, non posso non dire che la nostra Costituzione  e le leggi che a essa si sono ispirate tutelano la  salute  di ogni cittadino, così come tutelano la famiglia, con gli istituti di cui ai congedi per malattia, con la Legge  104, ecc.

Inoltre, per l’assistenza a qualche familiare si può fare ricorso a una badante; per rendere eventualmente meno gravoso l’impegno lavorativo si può scegliere il tempo parziale riducendo le ore settimanali d’insegnamento  anche sino alla metà dell’orario intero di cattedra.

Taccio degli acciacchi di salute  che a noi pensionati di solito ci assalgono, quasi  che gli acciacchi intuissero la nostra ridotta capacità  a difenderci, e taccio anche sulle difficoltà di accedere alle cure sanitarie davvero gratuite (in una fase della vita durante la quale tali cure sono sempre più necessarie),  e gratuite come a buon diritto si aspetterebbe chi durante tutta una vita di lavoro si è visto mensilmente trattenere quei contributi con i quali è stato istituito e mantenuto in vita  il nostro sistema sanitario e i suoi operatori.

7. Il debito dell’APE volontaria,  un reddito da assoggettare all’IRPEF?

Per quei lavoratori che hanno necessità di chiedere l’APE “volontaria” mi auguro che in sede legislativa la quota di pensione corrispondente al debito APE sostenuto dal lavoratore  possa almeno essere non conteggiata nell’imponibile fiscale del lavoratore ed estromessa dal totale dei redditi percepiti, così come d’altra parte, nel  reddito di quanti  usufruiscono dell’APE “agevolata”,  non figura l’onere sostenuto a loro favore direttamente dallo Stato.

Insomma,  non si comprende bene perché, a chi si paga di tasca propria l’APE “volontaria”, non sia riconosciuto, sul calcolo dell’imponibile fiscale, lo stesso trattamento riservato a quanti l’APE  “agevolata”  è invece pagata dallo Stato, cioè da tutti noi.

Se si lasciano così le cose,  i primi appariranno meno bisognosi  di quanto, a causa del debito APE, bisognosi  lo sono davvero  e i secondi appariranno più bisognosi di quanto, grazie al debito APE pagato dallo Stato, lo siano effettivamente.

Se l’APE  “agevolata” a carico dello Stato non è un reddito, e non lo è,  anche il debito dell’APE “volontaria”, che è  a carico del lavoratore,  non dovrebbe essere incluso nell’imponibile fiscale del lavoratore.

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