Oggi Don Milani andrebbe in galera

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Abbiamo da poco ricordato il cinquantesimo della morte di Don Milani, esaltandone le doti di docente, educatore e pedagogo.

Aldilà dei facili entusiasmi dovremmo essere realisti: oggi la giustizia italiana metterebbe il prete toscano dietro le sbarre per violazione degli articoli 571 e 572 del codice di procedura penale (rispettivamente abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti). Facile dunque cogliere la schizofrenia odierna dell’opinione pubblica che da una parte acclama il burbero parroco di Barbiana, solito ricorrere a sganassoni educativi e ancor più rudimentali metodi correttivi, e dall’altra chiede ergastolo e forca per maestre ultrasessantenni che alzano la voce e allungano qualche scappellotto ai bimbi loro affidati. Una palese contraddizione che  suscita non poche perplessità.

Non passa settimana che le telecamere nascoste in una qualche scuola non diano conto di “violenze” ai danni della piccola utenza. In verità  sembra che la cosa non  faccia più notizia e tali episodi vengono riportati oramai dalla sola cronaca locale in quanto non più “degni” di interesse nazionale.
Il copione è quello di sempre: gogna mediatica, sentenza popolare magari a mezzo tv in un talk-show di grido, processo e sentenza. Il tutto sembra abbastanza semplice e scorrevole, ma così non è. In articoli precedenti ho messo in evidenza le palesi storture dei metodi d’indagine utilizzati: totale ignoranza della giustizia a proposito del mondo della scuola; nessuna formazione di tipo educativo, pedagogico e assistenziale degli inquirenti che sbobinano i filmati incriminati e ne effettuano le trascrizioni; tempi di videoregistrazione illimitati e mai stabiliti ex-ante (“pesca a strascico”); accuse fondate su trailer di pochi minuti a fronte di registrazioni di centinaia e centinaia di ore; assenza di criteri oggettivi per stabilire l’abitualità/sporadicità di un gesto violento per stabilire se si tratta di indole violenta della maestra o esaurimento psicofisico da helping profession etc etc.

Fin qui nulla di nuovo sotto il sole anche se vale la pena domandarsi perché il MIUR non fa un mea culpa proponendosi di correre ai ripari e ovviando alle sue tante inadempienze. Dobbiamo riconoscere che il potere legislativo ha legiferato nel 2008 (art. 28 DL 81/08) introducendo la tutela della salute dei docenti soggetti allo Stress Lavoro Correlato, (salvo dimenticarsene completamente in sede di riforma previdenziale Monti-Fornero). Il potere esecutivo si è però ben guardato dal finanziare la suddetta attività di prevenzione e dal controllarne l’attuazione, lasciando che i dirigenti scolastici prima e il corpo docente poi rimanessero all’oscuro circa le loro malattie professionali e la prevenzione di legge.

A seguito dei problemi intervenuti (tra questi i presunti maltrattamenti), il potere giudiziario è entrato a gamba tesa nel campo della scuola cercando, ingenuamente, di vicariare le mancanze del sistema scolastico dovute alla latitanza del MIUR (espressione del suddetto potere esecutivo). Ma alle buone intenzioni della Giustizia non seguono altrettanti successi, anche per i suddetti limiti operativi nell’attuazione delle indagini.

Nei processi si assiste infatti a imbarazzanti situazioni in cui il GIP è contro il PM, questi ricorre al Tribunale del Riesame che gli dà ragione (evento piuttosto infrequente), la sentenza del giudice di primo grado è appellata rispettivamente dal PM, dal Procuratore Generale e dagli avvocati delle parti. Insomma un vero caos dal quale nessuno riesce a uscire perché il settore è nuovo e di difficile lettura. Siamo certi che delle urla, alcuni scappellotti e altrettanti gesti di stizza a opera di una maestra-nonna ultrasessantenne – nata proprio ai tempi di Don Milani – meritino tutto questo? E’ vero che i metodi educativi sono cambiati, ma per moderare la severità di una maestra non può e non deve bastare il dirigente che ne è comunque responsabile?

Ma i giudici non sembrano chiederselo, indifferenti di fronte al fatto che la giustizia italiana è ulteriormente gravata e ingolfata da un fenomeno che potrebbe avere ben altra soluzione: certamente più rapida, adeguata e assai meno dispendiosa. Nella vicenda non possono infine mancare le famiglie il cui bambino, a loro giudizio, avrebbe subito un danno da risarcire con cifre superiori ai cinque zeri. Forse qualcuno (magari i loro stessi avvocati) dovrebbe raccontare loro a quanto ammonta lo stipendio di un docente che non riuscirebbe a mettere insieme una siffatta cifra in una vita di lavoro.

Se dunque i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) bistrattano la scuola, non ci resta che sperare nei sindacati. Tranquilli, era una battuta.

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