Imparare a leggere dopo i 6 anni e uso tecnologie dalla prima media. Come si comportano i manager di Google e Twitter con i loro figli

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Assieme ai programmi televisivi, ai cartoni più popolari, ai giocattoli parlanti e ai Dvd caratterizzati da cambio di scena velocissimi, l’uso precoce di mouse, computer, smarthpone, spesso concessi ai bambini per placare il timore parentale che rimangano indietro, le nuove tecnologie non solo sarebbero una perdita di tempo, visto che i ragazzi impareranno in pochi minuti tutto quel che c’è da sapere a tempo debito, ma creerebbero gravi problemi ai bambini e al loro sviluppo naturale, riducendo anziché aumentando le opportunità per il proprio futuro.

Assieme ai programmi televisivi, ai cartoni più popolari, ai giocattoli parlanti e ai Dvd caratterizzati da cambio di scena velocissimi, l’uso precoce di mouse, computer, smarthpone, spesso concessi ai bambini per placare il timore parentale che rimangano indietro, le nuove tecnologie non solo sarebbero una perdita di tempo, visto che i ragazzi impareranno in pochi minuti tutto quel che c’è da sapere a tempo debito, ma creerebbero gravi problemi ai bambini e al loro sviluppo naturale, riducendo anziché aumentando le opportunità per il proprio futuro.

Peraltro, gli stessi alti dirigenti della Silicon Valley, a partire dai manager di Google impediscono ai propri figli di maneggiare il pc e di collegarsi allo stesso Google prima dell’età della prima media.

Pure la tendenza a far imparare a leggere a scrivere prima dei sei, sette anni, sarebbe inutile e dannoso come dimostra l’analisi dei dati dei rapporti annuali Pisa secondo i quali i bambini più bravi risultano quelli di Stati come la Finlandia dove si inizia tardissimo a imparare a leggere e a scrivere, mentre la Spagna dove si inizia prima dei cinque anni, è lo Stato con il maggior numero di prescrizioni di farmaci somministrati ai bambini e ai ragazzi.

E’ quanto emerge dalle pagine di “Educare allo stupore”, il libro di Catherine L’Ecuyer, Edizioni Ultra.

Nei giorni scorsi abbiamo riferito di uno studio pubblicato su Archives of Disease in childhood e condotto da Deirdre Murray dell'Università di Cork in Irlanda che ha dimostrato che i bambini già a 2 anni sono 'esperti' nell'uso delle tecnologie touchscreen, maneggiano agevolmente tablet e smartphone, sanno sbloccare lo schermo, scorrere le pagine, usare alcune app e riconoscerne le icone corrispondenti. 

E' emerso che l'87 per cento dei genitori 'presta' il proprio apparecchio touchscreen al bambino per una media di 15 minuti al giorno, e che quasi i due terzi dei genitori (62 per cento) hanno scaricato qualche app specifica da far usare al figlioletto. Inoltre 9 genitori su 10 (91 per cento) hanno riferito che il proprio figlio che ha un'età media di 24 mesi, è capace di scorrere le pagine sul proprio tablet o telefono; la metà (50 per cento) ha riferito che è capace di sbloccare lo schermo, quasi i due terzi (64 per cento) hanno riferito che è in grado di cercare attivamente cose che gli interessano sul touchscren, magari la galleria fotografica o le canzoncine su you-tube. 

Secondo i ricercatori questi nuovi media potrebbero racchiudere in sé un potenziale applicativo non indifferente per la valutazione del grado di sviluppo del bambino e anche per interventi mirati in caso di bambini con deficit o ritardi di sviluppo.

Evidentemente le cose non stanno in una maniera univoca. Il libro “Educare allo stupore”, che vanta una ricca bibliografia relativa a studi scientifici spesso sconosciuti ai più, e che si richiama pure a esperienze connesse con la vita di Einstein e Montessori, mette in discussione tutto: dall’uso delle nuove tecnologie in età prescolare alla sovra-stimolazione come causa di problemi di apprendimento.

I nostri bambini crescono circondati da un ambiente sempre più frenetico ed esigente, che complica ulteriormente il difficile compito di educarli: questa è la tesi dell’autrice.

Sentiamo allora l'obbligo di programmare per loro una serie infinita di attività che ci rassicurano sulla buona riuscita del loro futuro, ma che nel complesso li privano del tempo libero, del gioco, del contatto con la natura, del silenzio, ovvero dei doni più preziosi della loro età, di ciò che da sempre la caratterizza in modo unico e irripetibile.

La vita dei bambini si è trasformata in una vera e propria gara di corsa, che li induce a saltare delle tappe fondamentali. Molti si stanno così perdendo il meglio della vita: l'emozione di esplorare il mondo, di inoltrarsi nel cuore della realtà. Un rumore assordante zittisce le loro domande e satura i loro sensi, arrestando quella lenta acquisizione che nasce dalla meraviglia di scoprire le cose per la prima volta. entusiasmante, nel rispetto delle esigenze intrinseche del bambino, della sua innocenza, dei suoi tempi, del suo senso del mistero e della sua sete di bellezza.

Non ci sono più i bambini di una volta, constatano le nonne molto spesso. “E non c’è dubbio”, scrive Catherine L’Ecuyer .

“Di questi tempi, bisogna regredire a una fascia d’età sempre più giovane per imbattersi nello stupore di un bambino. E intanto, notiamo l’incremento progressivo del numero di piccoli, futuri adolescenti, smarriti, iperattivi, con difficoltà a stabilire legami, a riconoscere l’autorità, a gestire la propria sfera emotiva, con tendenze , a volte, violente, bambini irriconoscenti la cui principale motivazione proviene dalla sollecitazione esterna”.

Viceversa, il bambino sottratto alla sovra-stimolazione e che non ha ricevuto risposte esaustive ed è stato lasciato libero di scoprirle attraverso il gioco, con i suoi tempi, probabilmente, “esprimerà la sua genialità indipendentemente dal potenziale intellettivo, perché è naturalmente abituato a intraprendere il processo educativo partendo dal proprio sé.”

E “quando questo bambino pieno di stupore arriverà all’adolescenza si dedicherà allo studio con più disinvoltura, perché avrà dalla sua parte una curiosità intellettuale”.

Ovviamente, non tutti i problemi si possono superare con lo stupore ma lo stupore consentirà all’adolescente “di leggere più facilmente i romanzi e di trovare piacevoli le lunghe e splendide descrizioni dei paesaggi e delle personalità dei protagonisti. Le opere di Cervantes, Tolkien e C. S. Lewis non lo annoieranno mai”.

I risultati migliori non sono ottenibili con il ricorso all’intensificazione e alla precocità degli stimoli. “La maggior parte degli esperti – si legge nel libro – concorda con l’assunto che i bambini possiedono la maturità intellettiva necessaria per cominciare un apprendimento formale – leggere e scrivere, ecc. – solo a partire dai sei anni.

Se anticipiamo delle fasi che ancora non gli spettano, li sottoponiamo a una condizione di frustrazione che potrebbe ripercuotersi sull’autostima e creare una spirale di insuccessi tali da influenzare l’evoluzione del loro futuro apprendimento”.

L’autrice ricorre ai dati dei rapporti annuali PISA. E spiega come in Spagna il tempo dedicato allo svolgimento dei compiti è quattro volte superiore a quello della Finlandia. In Catalogna, il 98 per cento dei bambini rimane a scuola a tempo pieno già a tre anni, mentre in Finlandia solo il 53 per cento resta in asilo per tutto il giorno, ma a sei anni. In Spagna, si inizia a imparare a leggere e a scrivere a tre anni, mentre in Finlandia a sette.

Ma nel rapporto PISA precedente alla stesura del volume la Finlandia si trova ai primi posti, la Spagna agli ultimi. Nella maggior parte dei Paesi in testa alla relazione annuale PISA, i bambini frequentano la scuola più tardi e cominciano a imparare a leggere e a scrivere a partire dai sette anni. La Spagna, invece, è il terzo Paese al mondo per prescrizioni di farmaci ai minori. “Con più stimoli, non otterremo migliori risultati.

L’infanzia – scrive l’autrice – è una stagione di preparazione, in cui, giocando, si impara a pensare e a predisporre una mente che, solo in seguito, verrà ammobiliata. Per questo, noi genitori non dobbiamo spazientirci se i bambini non sono in grado di scrivere il loro nome, a tre anni, e di leggere, a quattro”.

Ma torniamo all’ansia che coinvolge i genitori, il loro timore di restare indietro con le tecnologie. Una paura infondata, secondo l’autrice del libro. Il principio “quanto più, quanto prima, tanto meglio”, è un principio da rigettare.

Si legge nel libro, che consigliamo di leggere agli insegnanti, magari ricorrendo al bonus-formazione: “Questa idea li spinge a pensare che i figli resteranno indietro se non avranno in mano un mouse appena compiuti due, tre o quattro anni. I nostri bambini sono dei nativi digitali, non sono degli immigrati digitali come noi. Loro non resteranno indietro. Non perderanno alcun treno, perché il treno delle innovazioni tecnologiche non può essere perso. Passa ogni secondo. E al ritmo con cui si muove il mondo, ogni treno sarà obsoleto percorsi cinquecento metri. La maggior parte delle nuove tecnologie sul mercato quando il piccolo ha tre anni, molto probabilmente non ci sarà più quando frequenterà le medie, il liceo o entrerà nel mercato del lavoro, quindi introdurlo a tutto questo a un’età così precoce potrebbe considerarsi una perdita di tempo”.

L’avere usato prima dei nostri figli i telefoni cellulari grandi quanto una scatola, insomma, non ci ha consento di usare oggi a occhi chiusi gli smartphone di ultima generazione, non è stato certo grazie a quello. E i nostri figli impareranno in un batter d’occhi, quando sarà il momento, tutto quanto servirà per usare telefoni e rete.

Peraltro, ci sarà pure un motivo, scrive l’autrice di “Educare allo stupore”, se “gli alti dirigenti della Silicon Valley mandano i loro figli in una scuola d’élite che sbandiera ai quattro venti di non impiegare la tecnologia nelle sue aule ?”

Il computer “intralcia il ragionamento, disumanizza l’apprendimento, le interazioni umane e riduce l’attenzione degli alunni”.

Uno dei genitori, riferisce l’autrice, laureato in Ingegneria e appartenente al Dipartimento per le Comunicazioni di Google, afferma: “Mia figlia, che frequenta la quinta elementare, non sa usare Google e mio figlio, che è in terza media, ha appena cominciato. La tecnologia ha il suo tempo e luogo. E’ facilissima. E’ come imparare a usare il dentifricio. In Google e in tutti gli altri siti, realizziamo una tecnologia talmente semplice che la potrebbe usare chiunque. Non c’è ragione per cui i bambini non la possano apprendere da grandi”.

Del resto, aggiungiamo noi, un articolo pubblicato sul New York Times ha rivelato che il fondatore dell’Apple, Steve Jobs, quasi proibiva ai propri figli l’utilizzo di dispositivi elettronici.

Il fondatore di Twitter, Blogger e Medium, Evan Williams, e sua moglie, Sara Williams, per esempio, hanno regalato ai loro due bambini centinaia di libri che possono leggere quando vogliono invece che un iPad.

E Chris Anderson, già direttore di Wired e ora amministratore delegato di Robotica 3D, ha rivelato: "I miei figli accusano me e mia moglie di essere fascisti, dicono che nessuno dei loro amici subisce le stesse regole”. Ma “abbiamo visto i pericoli della tecnologia in prima persona. L'ho visto in me stesso, io non voglio che succeda ai miei figli”.

Tuttavia, conclude l’autrice del libro, non si tratta di demonizzare le nuove tecnologie, “ma di essere molto cauti con tutto ciò che rischia di soffocare lo stupore, questo impulso che nasce nel profondo del bambino e che lo porta a interrogarsi, interessarsi, immaginare, ricercare, verificare, inventare, che lo rende, in sostanza, capace di pensare, cioè proprio quello che caratterizza un essere umano”.

Solo lo stupore, par di capire, garantisce che i nostri bambini possano un giorno abituarsi alla lettura: “Leggere, è questo il treno su cui devono salire e che non possiamo permetterci di perdere, perché passa di rado e porta molto lontani”. 

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