Valutazione, 20 anni per ispezionare tutte le scuole. Alle “mancette” forse era preferibile una progressione di carriera

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Giovedì scorso alla Camera dei Deputati la Fondazione Giovanni Agnelli è tornata sulla sperimentazione VSQ, Valutazione per lo Sviluppo della Qualità nelle scuole, per ribadire quanto già scritto nel rapporto pubblicato a febbraio 2015: l’abbinamento valutazione / sistema premiale non ha innescato i processi di miglioramento della didattica che ci si sarebbe aspettati.

Giovedì scorso alla Camera dei Deputati la Fondazione Giovanni Agnelli è tornata sulla sperimentazione VSQ, Valutazione per lo Sviluppo della Qualità nelle scuole, per ribadire quanto già scritto nel rapporto pubblicato a febbraio 2015: l’abbinamento valutazione / sistema premiale non ha innescato i processi di miglioramento della didattica che ci si sarebbe aspettati.

Le scuole, cioè, non necessariamente aumentano il loro impegno se sanno di poter ricevere un tornaconto di natura economica. Di più: il 40 per cento degli istituti secondari di primo grado coinvolti in questo ‘collaudo’ del sistema di valutazione a tre gambe (Invalsi, ispettori esterni, Indire) ha optato per una distribuzione a pioggia dei contributi ricevuti, mostrando un evidente imbarazzo e una difficoltà di digestione della logica premiale.

Porre oggi nuovamente l’accento su questo ‘insuccesso’ del progetto ministeriale VSQ è, a nostro avviso, prova della serietà con cui la ricerca sull’andamento del progetto è stata condotta, ma ancora una volta anche sintomo dell’incertezza metodologica che sovrintende a tutti i tentativi di applicare metriche e logiche di mercato al settore dell’istruzione e alla definizione del cosiddetto ‘capitale umano’ (conclusioni simili a quelle a cui, pur da altre premesse, giungeva anche l’ex presidente dell’Invalsi Paolo Sestito nel suo ultimo libro, La scuola imperfetta, leggi la recensione).

Più che appropriato il monito dell’istituto di ricerca torinese a riflettere sulle anomalie che certamente creerà la sovrapposizione tra il SNV e le nuove indicazioni sulla valutazione provenienti dalla Buona Scuola, primo tra tutti il rischio che i diversi piani non si muovano all’unisono, come ha spiegato il Direttore Andrea Gavosto in questa intervista.

Direttore, in tema di valutazione abbiamo assistito negli ultimi tempi a un duplice innesto: al Sistema Nazionale di Valutazione si è sovrapposta prima la legge 107 (che riprende la valutazione dei dirigenti e introduce i bonus per i docenti) e poi l’autovalutazione (che da step previsto dal SNV sembra oggi, invece, brillare di luce propria). Il ministro Giannini lo chiama ‘sistema integrato’, sappiamo invece che la Fondazione che lei dirige ha espresso alcune riserve, ce ne vuole parlare?

“In realtà il Sistema Nazionale di Valutazione, il cosiddetto modello a ‘tre gambe’, aveva una sua logica rivolta alla valutazione delle scuole come istituzioni attraverso visite ispettive da parte di esterni, autovalutazione e piani di miglioramento. Con la legge 107 torna alla ribalta il tema della valutazione del Dirigente Scolastico, di cui ancora non si conoscono i dettagli, e si inizia a porre il tema della valutazione dei docenti, dal momento che l’assegnazione del bonus da parte del dirigente implica necessariamente un meccanismo di giudizio sul loro operato. Il nostro timore è che questi tre piani di valutazione non necessariamente avanzino in maniera coerente tra loro, che non si muovano all’unisono”.

Quali esiti potrebbe produrre questa incoerenza?

“Le faccio subito un esempio. Prendiamo una scuola debole in matematica: molto probabilmente non riuscirebbe ad ottenere il premio previsto dal SNV, ma nulla impedirebbe ai docenti di matematica di quella scuola di ricevere il bonus previsto dalla 107. Un esito paradossale, comprensibile solo partendo dalla premessa che i due piani di valutazione obbediscono a logiche indipendenti l’una dall’altra”.

Da quest’anno partiranno le visite dei Nev, i nuclei esterni di valutazione, ma in realtà si è concluso ormai da più di un anno in sordina la sperimentazione VSQ. E’ proprio Fondazione Agnelli, responsabile della ricerca sull’andamento del progetto, a rimarcare che VSQ non ha migliorato gli apprendimenti dei ragazzi, pur avendo abituato le scuole a rendicontare meglio il proprio modo di lavorare. Che lezione se ne dovrebbe trarre, allora? Che la valutazione serve per rendere efficiente la scuola solo a livello organizzativo-amministrativo? D’ora in poi bisognerà essere quanto meno più cauti nel dire docenti valutati = alunni più preparati… 

“La nostra Fondazione ha cercato di fare un’analisi scientificamente corretta mettendo a confronto le scuole VSQ con scuole delle stesse province non coinvolte nella sperimentazione e con scuole di province vicine. E’ avvenuto in effetti che le scuole coinvolte nel progetto non abbiano ottenuto punteggi migliori delle altre nelle prove Invalsi di terza media, cosa invece nel primo anno di sperimentazione. Per spiegare questo risultato inatteso, abbiamo fatto due ipotesi: in terza media il cheating – cioè gli ‘aiutini’ che gli stessi docenti danno agli alunni – nelle scuole non VSQ potrebbe aver gonfiato i loro risultati, ricordiamoci che il voto Invalsi fa media con gli altri per la definizione del voto d’uscita. La seconda ipotesi è un calo di tensione da parte delle scuole VSQ, motivato anche dal fatto che nel corso della sperimentazione l’alternanza dei diversi ministri potrebbe aver smorzato l’entusiasmo e l’interesse verso l’iniziativa ministeriale. Tuttavia non voglio eludere la sua domanda, che è molto importante. Gli esiti di VSQ mettono senz’altro in luce che l’abbinamento valutazione / sistema premiale non innesca i processi di miglioramento della didattica che ci saremmo aspettati, le scuole non reagiscono a stimoli di natura monetaria, mentre questo non intacca di certo l’importanza della valutazione come momento per capire che cosa funziona e che cosa invece necessita di una riflessione e di un cambiamento”.

Forse potremmo semplificare dicendo che alla scuola non piacciono le ‘mancette’, sotto forma di premi o bonus, mentre diverse associazioni professionali e sindacali si battono da anni per una carriera dei docenti.

“Anche io sarei molto favorevole a questa ipotesi, penso anzi che un’idea di avanzamento professionale si sarebbe potuta introdurre già con la legge 107. E’ paradossale che la scuola sia l’unico settore del pubblico impiego a non prevedere una carriera, mentre sarebbe la vera spinta al miglioramento, all’aggiornamento, all’assunzione di responsabilità dei singoli e quindi anche delle istituzioni nel loro complesso”.

Questo in teoria si pensa di poterlo fare anche attraverso l’autovalutazione.

“Penso che la redazione dei Rav abbia in generale richiesto un grande sforzo compilativo alle scuole, spesso sprovviste degli strumenti idonei per capire i propri punti di forza e di debolezza. Alcune, per carità, hanno preso il Rav molto seriamente, ma sono state la minoranza. L’impostazione originale, che concepiva la valutazione esterna come input per l’autodiagnosi, era a mio avviso senz’altro preferibile”.

Che cosa pensa degli obiettivi di miglioramento che le scuole si sono date? Molte, per esempio, hanno deciso di puntare alle competenze chiave di cittadinanza, i cui esiti saranno difficilmente misurabili.

“Senz’altro, tuttavia ci sarà molto da fare sul tema dell’inclusione delle seconde generazioni, che ormai rappresentano il 55 per cento della popolazione scolastica di origine non italiana”.

Finora non ce la siamo cavata male con l’inclusione…

“Sì, ma abbiamo accolto immigrati di prima generazione, per i quali lo scoglio più duro era la lingua. I loro figli incontreranno, ma già succede, altre difficoltà, si confronteranno con i figli degli italiani, che hanno un diverso status socio-economico e diversi risultati scolastici. La Francia ci insegna che non sarà poi così semplice, quindi tutto sommato bene che le scuole abbiano coscienza di questo”.

Tornando al nostro tema, ho un’ultima domanda sulla valutazione esterna. Lei ha indicato come altri fattori potenzialmente molto critici i ritardi nella formazione dei Nev (nuclei di valutazione esterna), il numero esiguo di visite ispettive previste in un anno, l’incertezza sui criteri delle scuole da visitare per prime. Ha suggerito dei correttivi?

“Per quanto riguarda i criteri di scelta, in realtà anche in questo caso mi sentirei di dire che l’impostazione iniziale andava abbastanza bene: alla luce dell’analisi dei dati emersi dalle prove Invalsi e dai Rav, si sarebbe dovuta dare la precedenza alle scuole con la discrasia più grossa tra ‘percepito’ e ‘documentato’. Senz’altro giusto che un 5 per cento venga, invece, estratto a sorte: anche gli istituti migliori rischiano di sedersi sugli allori. Il vero problema restano però i numeri: se nel Regno Unito tutte le scuole possono essere ispezionate nel giro di tre o quattro anni, qui da noi scendere dal 10 per cento di visite all’anno inizialmente previsto al 5 significa, invece, immaginare di fare altrettanto in circa 20 anni, un intervallo temporale che rischia di vanificare lo sforzo compiuto”.

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