Sud penalizzato nell’istruzione. Lo dimostra il rapporto SVIMEZ. Si allungano i tempi di transizione da scuola a lavoro
red – SVIMEZ, l’associazione per lo sviluppo nell’industria del Mezzogiorno, ha pubblicato il rapporto 2013. Tra gli argomenti, la disoccupazione nel Sud Italia, tempi difficili soprattutto per le donne. Il Sud penalizzato nell’istruzione, c’è bisogno di una seria politica di investimenti e non di scaricare la colpa sui docenti con corsi di formazione punitivi. Sud paga numero eccessivo dipendenti statali del Nord
red – SVIMEZ, l’associazione per lo sviluppo nell’industria del Mezzogiorno, ha pubblicato il rapporto 2013. Tra gli argomenti, la disoccupazione nel Sud Italia, tempi difficili soprattutto per le donne. Il Sud penalizzato nell’istruzione, c’è bisogno di una seria politica di investimenti e non di scaricare la colpa sui docenti con corsi di formazione punitivi. Sud paga numero eccessivo dipendenti statali del Nord
Dati drammatici, il tasso di disoccupazione reale, nelle aree del Mezzogiorno d’Italia, supera il 28%, con il 60% di essi che risulta disoccupato da più di un anno.
Il calcolo è stato effettuato dall’associazione sommando anche i cosiddetti Neet, coloro che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine.
A farne le spese, maggiormente, i giovani ed in particolare le giovani donne.
Un dato allarmante riguarda le difficoltà per diplomati e laureati che nel Sud presentano tassi di occupazione (rispettivamente del 31,3% e del 48,7%) decisamente più bassi rispetto a quelli del resto del Paese (rispettivamente, 56,8% e 71,5%). E si assiste altresì a un deterioramento qualitativo dell’occupazione femminile.
Il raffronto con i dati di inizio 2008 evidenzia che, su scala nazionale, la sostanziale stabilità dell’occupazione femminile sottende una flessione del 12,2% delle professioni qualificate, intellettuali e tecniche, e un incremento di quasi il 31% di quelle non qualificate.
Il deterioramento qualitativo dell’occupazione femminile è al Sud una realtà purtroppo consolidata: una donna occupata ogni 5 ha un contratto a termine non per sua scelta ma per alimentare un bilancio familiare sempre più esiguo a causa della crisi.
Poche cifre fotografano in modo chiaro la gravità della situazione: nel 2012 1.850 mila giovani al Sud che non studiano e non lavorano (Neet) rappresentano un incredibile spreco di cervelli; oltre 1.300.000 meridionali emigrati al Centro-Nord dal 2001 al 2011 e 180 mila, di cui 20.000 laureati, in fuga all’estero nello stesso periodo, sono le spie evidenti di un Mezzogiorno in profondo e preoccupante mutamento.
Da un’area giovane e ricca di menti e di braccia, il Sud si trasforma sempre più in un’area anziana, economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese. Un’area che sarà caratterizzata nei prossimi anni e decenni da uno stravolgimento demografico dalle conseguenze imprevedibili. In base alle previsioni ISTAT, infatti, il Sud, alla fine del prossimo cinquantennio, perderà oltre un quinto della sua popolazione attuale, circa 4,2 milioni di abitanti, rispetto al resto del Paese che, invece, ne guadagnerà 4,5 milioni.
La perdita di popolazione interesserà da qui al 2065 tutte le classi di età più giovani del Mezzogiorno, con una conseguente erosione della base della piramide dell’età, una sorta di rovesciamento rispetto a quella del Centro-Nord.
Il Sud, dimostra il raporto, è maggiormente penalizzato in campi quali l’Istruzione, la Salute, la Sicurezza e la Ricerca e lo sviluppo. Ciò attesta forti differenze in termini di offerta di servizi forniti dalla Pubblica Amministrazione, che nel Sud sono mediamente più carenti.
Ciò che più colpisce è, in particolare, la tendenza all’ampliamento del divario storico Nord – Sud anche ai “nuovi” servizi che la Pubblica Amministrazione eroga sulla base delle innovazioni intervenute nel corso dell’ultimo decennio. Tale disservizio si riflette sui cittadini e sul sistema delle imprese, che lo scontano in termini di maggiori costi e di minore efficienza. Il che contribuisce ad allontanare ulteriormente l’area meridionale da quegli standard di competitività indispensabili per attrarre le necessarie risorse aggiuntive per lo sviluppo dall’esterno dell’area.
E la minor efficienza, che si traduce in un sostanziale razionamento nella dotazione di risorse, favorisce a sua volta l’instaurarsi di quel rapporto perverso molto spesso denunciato tra sistema politico locale e Pubblica Amministrazione, che oggettivamente ostacola il processo di riqualificazione e innovazione della PA meridionale.
Si accredita così l’immagine di un settore pubblico meridionale elefantiaco e sempre più invasivo. Dai primi risultati del Censimento 2011, invece, emerge, rispetto a quello del 2001, una PA dimagrita in termini di personale negli enti locali e nelle aziende erogatrici di sevizi sul territorio del 6,1% nel Mezzogiorno e del 14% nel Centro-Nord. Diversamente da quanto spesso si crede, la presenza della PA, se rapportata alla popolazione, resta comunque più elevata nel Centro- Nord: 31 addetti ogni 1.000 abitanti, contro i 26 del Mezzogiorno; dieci anni prima erano rispettivamente 38 e 28.
E questo per sfatare un altro falso mito.
D’altro canto, il rapporto dovrebbe far riflettere il Ministero dell’istruzione, per quanto riguarda l’ambito della ricerca, e la maggiore necesità di investimento al Sud, per affrontare le problematiche qualitative del servizio.
Ministero che vorrebbe affrontarle imponendo formazione coatta per i docenti i cui alunni non raggiungeranno la sufficienza nelle prove Invalsi.
Un ridicolo palliativo che nasconde il vero problema del Sud, la mancanza di una seria politica di investimenti, istruzione inclusa.
Prima di affrescare le pareti bisogna creare le fondamenta.